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 2008  marzo 27 Giovedì calendario

Le nostre uniche vite. la Repubblica, giovedì 27 marzo Durante i nostri anni in rue du Bac, abbiamo progressivamente conosciuto una relativa agiatezza materiale

Le nostre uniche vite. la Repubblica, giovedì 27 marzo Durante i nostri anni in rue du Bac, abbiamo progressivamente conosciuto una relativa agiatezza materiale. Ma non abbiamo mai portato il nostro tenore di vita e di consumo all´altezza del nostro potere d´acquisto. C´era tra noi un accordo tacito su questo argomento. Avevamo gli stessi valori, voglio dire una stessa concezione di ciò che dà un senso alla vita o minaccia di toglierglielo. Per quanto mi ricordi, ho sempre detestato il modo di vivere detto «opulento» e i suoi sprechi. Tu rifiutavi di seguire la moda e la giudicavi secondo i criteri che ti erano propri. Rifiutavi di lasciare che la pubblicità e il marketing ti instillassero dei bisogni che non provavi. In vacanza, alloggiavamo o «dagli abitanti», in Spagna, o in alberghi e pensioni modesti, in Italia. Solo nel 1968, per la prima volta, siamo andati in un grande hotel moderno, a Pugnochiuso. Dopo dieci anni, abbiamo finito per comprare una vecchia Austin. Non ci ha impedito di considerare la motorizzazione individuale una scelta politica esecrabile che aizza gli individui gli uni contro gli altri pretendendo di offrir loro il mezzo per sottrarsi al destino comune. Avevi per le spese correnti un budget che decidevi e gestivi secondo i nostri bisogni. Questo mi ricorda che fin dall´età di sette anni avevi concluso che, per essere vero, l´amore deve disprezzare il danaro. Tu lo disprezzavi. Spesso ne abbiamo dato. Abbiamo preso l´abitudine di passare i fine settimana in campagna. Poi, per non dover abitare in una locanda, abbiamo comprato una casetta a 50 chilometri da Parigi. Facevamo con ogni tempo delle passeggiate di due ore. Avevi una connivenza contagiosa con tutto ciò che è vivo e mi hai insegnato a guardare e ad amare i campi, i boschi e gli animali. Ti ascoltavano così attentamente quando gli parlavi che avevo l´impressione che capissero le tue parole. Tu mi svelavi la ricchezza della vita ed io l´amavo attraverso di te - a meno che non fosse l´inverso (ma fa lo stesso). Poco dopo esserci sistemati nella casetta, hai adottato un gatto grigio tigrato che, visibilmente affamato, aspettava sempre davanti alla nostra porta. L´abbiamo guarito dalla rogna. La prima volta che mi è saltato spontaneamente sulle ginocchia, ho avuto la sensazione che mi facesse un grande onore. La nostra etica - se così posso chiamarla - ci preparava ad accogliere con gioia il Maggio ´68 e ciò che ne è seguito. (...) Siamo andati insieme in Belgio, nei Paesi Bassi, in Inghilterra, poi, nel 1970, a Cambridge (Massachusetts). Cinque anni prima, a New York, avevamo detestato la civiltà americana con i suoi sprechi, il suo smog, le sue patatine con ketchup e Coca-Cola, la brutalità e i ritmi infernali della sua vita urbana - non supponevamo che presto niente di tutto ciò avrebbe risparmiato Parigi. A Cambridge, siamo stati sedotti dall´ospitalità e dall´interesse che i nostri ospiti nutrivano per le idee nuove. Abbiamo scoperto una specie di controsocietà che scavava le sue gallerie sotto la crosta della società apparente, aspettando di poter emergere in pieno giorno. Non abbiamo mai visto tanti «esistenzialisti», cioè gente decisa a «cambiare la vita» senza aspettarsi niente dal potere politico, tentando di vivere insieme in un altro modo, di mettere in pratica i loro scopi alternativi. (...) Nel 1973, tu lavoravi alle edizioni Galilée per mettere in piedi un ufficio per i diritti con l´estero. L´avresti diretto per tre anni. I fine settimana, facevamo dei picnic sul cantiere della nostra futura casa. Tutto ci univa. Ma la tua vita era rovinata da alcune contratture e da mal di testa inspiegabili. Il tuo fisioterapista sospettava che fossi ipernervosa: il medico, dopo degli inutili esami, ti ha prescritto dei tranquillanti. I tranquillanti ti hanno depresso al punto che con tuo stesso stupore ti capitava di piangere. Da allora non ne hai mai più presi. (...) Non potevi più distenderti, tanto la testa ti faceva soffrire. Passavi la notte in piedi sul balcone o seduta in poltrona. Avevo voluto credere che avevamo tutto in comune, ma tu eri da sola nel tuo sconforto. (...) Ho fatto a tua insaputa una tua foto, di schiena: cammini con i piedi nell´acqua sulla grande spiaggia di La Jolla. Hai cinquantadue anni. Sei meravigliosa. E´ una delle immagini di te che preferisco. Ho guardato a lungo questa foto al nostro ritorno, quando mi hai detto che ti domandavi se non avessi un cancro. Te lo domandavi già prima della nostra partenza per gli Stati Uniti ma non avevi voluto dirmelo. Perché? «Se devo morire, volevo prima vedere la California», mi hai detto tranquillamente. (...) Eri sfuggita alla morte e la vita prendeva un senso nuovo e un nuovo valore. Illich l´ha immediatamente capito quando l´hai rivisto alcuni mesi dopo, durante una serata. Lui ti ha guardata a lungo negli occhi e ti ha detto: «Lei ha visto l´altro lato». (...) Tu avevi visto «l´altro lato»; eri ritornata dal paese da dove non si ritorna. Questo aveva cambiato la tua ottica. Avevamo preso la stessa decisione senza consultarci. Un inglese romantico l´ha riassunta in una frase: «There is no wealth but life». Durante i tuoi mesi di convalescenza, ho deciso di andare in pensione a sessant´anni. Mi sono messo a contare le settimane che me ne separavano. Mi divertivo a cucinare, a cercare i prodotti biologici che ti avrebbero aiutata a riprendere le forze, a ordinare a place Wagram le preparazioni magistrali che ti raccomandava un omeopata. L´ecologia diventava uno stile di vita e una pratica quotidiana senza smettere di presupporre l´esigenza di un´altra civiltà. (...) Ventitré anni sono trascorsi da quando siamo andati a vivere in campagna. Prima nella «tua» casa, che sprigionava un´armonia meditativa. Non ce la siamo goduta che tre anni. Il cantiere di una centrale nucleare ci ha cacciato via. Abbiamo trovato un´altra casa, molto antica, fresca in estate, calda in inverno, con un grande terreno. Avresti potuto esservi felice. Là dove non c´era che un prato hai creato un giardino di siepi e di arbusti. Vi ho piantato duecento alberi. Per alcuni anni abbiamo viaggiato ancora un po´; ma le vibrazioni e le scosse dei mezzi di trasporto, quali che fossero, ti scatenavano dei mal di testa e dei dolori in tutto il corpo. L´aracnoidite ti ha costretta ad abbandonare a poco a poco la maggior parte delle tue attività preferite. Riesci a nascondere le tue sofferenze. I nostri amici ti trovano «in piena forma». Non voglio più - secondo la formula di Georges Bataille - «rimandare l´esistenza a dopo». Sono attento alla tua presenza come al tempo dei nostri inizi e mi piacerebbe fartelo sentire. Tu mi hai dato tutta la tua vita e tutto di te: mi piacerebbe poterti dare tutto di me per il tempo che ci resta. Hai appena compiuto ottantadue anni. Sei sempre bella, elegante e desiderabile. Sono cinquantotto anni che viviamo insieme e ti amo più che mai. Recentemente mi sono innamorato di te un´altra volta e porto di nuovo in me un vuoto divorante che solo il tuo corpo stretto contro il mio riempie. La notte vedo talvolta la figura di un uomo che, su una strada vuota e in un paesaggio deserto, cammina dietro un carro funebre. Quest´uomo sono io. Sei tu che il carro funebre trasporta. Non voglio assistere alla tua cremazione; non voglio ricevere un vaso con le tue ceneri. (...) Ci siamo spesso detti che se, per assurdo, avessimo una seconda vita, vorremmo trascorrerla insieme. André Gorz *** André Gorz si è ucciso nel settembre del 2007, assieme all’adorata moglie Dorine, affetta da un morbo degenerativo. Anticipiamo alcune pagine del suo testo "Lettera a D: storia di un amore", pubblicato da Sellerio.