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 2008  marzo 23 Domenica calendario

Antidivi. Repubblica 23 marzo 2008. Sir Michael Caine ancora oggi ha qualche problema con l´odore del pesce

Antidivi. Repubblica 23 marzo 2008. Sir Michael Caine ancora oggi ha qualche problema con l´odore del pesce. Quando era ragazzino il padre lavorava come scaricatore al mercato di Billinsgate, la sera ne portava a casa cesti interi. Quello che non si riusciva a stipare nel piccolo frigo finiva nella camera da letto di Michael e del fratello Stanley, il posto più freddo del bilocale illuminato a gas di Southwark, a sud di Londra. Michael Caine è fiero di tutt´e due le cose, di quel titolo di sir ricevuto dalla Regina e sfoggiato nei titoli di testa degli ultimi film e di quel passato da figlio di pulitore di pesce. «Mi considero un simbolo e un esempio per la classe operaia britannica», proclama serissimo, l´accento cockney che non ha mai voluto perdere e che negli anni della gavetta gli ha negato l´accesso ai palcoscenici shakespeariani del West End. Michael Caine è uno di quegli attori che viaggia con il baule degli aneddoti. Ha il gusto per la battuta continua. Prende in mano l´edizione italiana del suo manuale Recitare davanti alla macchina da presa. Lo sfoglia e poi: «Bello. Chissà cosa c´è scritto». E ride. Gli piace sorprendere e dalla giacca di tweed vecchio stile tira fuori l´ipod con la compilation Cained: tra i suoi brani preferiti No ordinary Morning di Chicane e Sinnerman di Nina Simone remixato da Felix da Housecat. A settantaquattro anni, novanta film e due Oscar, Caine dichiara di essere in pensione. Lo fa per celia, perché spesso in passato è stato accusato di essere uno di quegli attori disponibili a qualunque film, per soldi. Nel suo manuale confessa: «Recitare è un´ossessione a tempo pieno». Si è da poco tolto lo sfizio di portare al cinema Sleuth, remake di uno dei film che ne lanciarono l´infinita carriera (il titolo italiano era Gli insospettabili). Stavolta interpreta il ruolo che, allora, era stato di Laurence Olivier, un altro sir del cinema. Tratto da una pièce teatrale, ambientato in una villa, il film di Joseph L. Mankiewicz era incentrato sul drammatico confronto tra due uomini: un ricco anziano e il giovane amante della moglie che lo incontra per convincerlo a concedere il divorzio. Scene di un´ambigua lotta di classe vissute, allora, dentro e fuori il set: «Quando i giornali appresero che avrei affiancato il più grande e nobile attore britannico gridarono allo scandalo. Erano certi che sarei uscito distrutto dal confronto. Ricordo che pochi giorni prima dell´inizio delle riprese Olivier mi mandò un biglietto: "Se ti stai chiedendo come ti devi rivolgere a me, sappi che puoi chiamarmi Laurence", c´era scritto. Una bella concessione, che di quel personaggio racconta tutto». Stavolta nel ruolo di Milo, giovane parrucchiere italiano che sfida l´anziano milionario, c´è Jude Law, che, tra l´altro, produce il film. Trantacinque anni, estrazione popolare, l´attore aspira, dopo essersi già prodotto nel remake di Alfie, ad accreditarsi come l´erede di Caine. Michael benedice il passaggio del testimone: «Jude Law ha un grande talento e l´idea di far riscrivere la sceneggiatura a Harold Pinter è stata geniale. Per non parlare della scelta di Kenneth Branagh come regista. Due uomini claustrofobicamente soli. Abbiamo girato in sequenza, pagine su pagine del copione recitate a memoria senza sosta. Un´esperienza eccitante e a fine riprese ho quasi collassato». Caine, spiazzante per scelta di vita, demolisce il mito della gavetta dei tempi andati. «Non credete alle balle sul pedigree teatrale. Ai miei tempi noi tutti arrivavamo dal teatro e un po´ dalla tv ed eravamo, tutti, sopra le righe. Diciamolo. Altro che recitazione naturalistica. Oggi, invece, gli attori sono già pronti per il cinema. Io sono stato il primo della mia generazione a voler fare l´attore dopo aver visto il mio primo film western in una sala cinematografica. Se leggi le biografie di attori alla Olivier ti dicono cose tipo: "L´autista mi portò a teatro e quella notte decisi che avrei fatto l´attore". Io fui ispirato dalla parrocchia». A Caine piace indugiare nel ricordo degli inizi faticosi, sfoderare episodi ricostruiti ad arte. Uno dei pezzi forti riguarda quando da Maurice Joseph Micklewhite divenne Caine: «Avevo scelto Michael Scott», racconta. «Lo cambiai quando fui scritturato per il mio primo ruolo televisivo. Aspettavo il verdetto telefonico dal mio agente, ero in Leicester Square. Al momento concordato lo chiamai per sapere se fosse andato bene e lui mi disse che avevo avuto una parte, ma avrei dovuto cambiare il nome perché c´era già un altro attore nel sindacato che si chiamava Michael Scott. Dovevo decidere in fretta. D´un tratto vidi che nel cinema di fronte alla cabina davano L´ammutinamento del Caine con uno dei miei attori preferiti, Humphrey Bogart: "Caine", dissi. E mi andò bene, perché avrei potuto chiamarmi anche Michael Caricadeicentouno». I ricordi dell´attore si colorano di polemica quando torna alla Swingin´ London degli anni Sessanta, vissuta con il compagno di stanza Terence Stamp e ispiratrice di tutto quello che poi arrivò. Caine è felice e fiero di quegli anni in cui «per la prima volta nella storia britannica i figli della classe operaia imponevano il loro stile di vita. Per la prima volta avevamo un nostro codice morale, che non era ideale, ma almeno onesto rispetto all´ipocrita società inglese dell´epoca». Caine s´infervora sulla persecuzione che i tabloid hanno riservato al suo giovane erede, bollato con una manciata di colleghi (tra cui Daniel Craig e Sienna Miller) come uno dei peccatori del quartiere bohémien di Primrose Hill: «Ci si diverte nello stesso modo, a Primrose come nei quartieri bene. Solo che sono i giornali a decidere chi massacrare. Oggi succede a Jude, allora a me». Fu turbolenta e vissuta l´ascesa di Caine. Scandita da film come Zulu, Ipcress, Get Carter, Alfie, The Italian Job. «Ero arrivato a bere due bottiglie di vodka al giorno. Feci tutto quel casino fino a quando, trent´anni fa, incontrai Shakira, l´angelo della mia vita. La vidi in tv in un pub mentre danzava nello spot di un caffè. Quella sera dissi al mio migliore amico che sarei andato in Brasile a cercare quella ragazza. E invece ho scoperto che era l´ex miss Guyana e viveva a un paio di quartieri di distanza dal mio. L´ho subito contattata. Lei non si è impressionata molto, ma poi l´ho convinta. Shakira è la donna che dà un senso, che mi dà un senso e una proporzione. Quando un giornale mi dedica una pagina, io gliela mostro: "Vedi, c´è scritto che sono un´icona". E lei: "Bene, ma adesso va a buttare la spazzatura"». Shakira cucina italiano, arte appresa da un cuoco bolognese: «Sono un infatuato del cibo, ho posseduto diversi ristoranti. Ho venduto tutto sette anni fa. Avere a che fare con cuochi famosi è peggio che trattare con divi capricciosi, un maledetto incubo. Io cucino le migliori patate arrosto del mondo, due chef sono venuti a casa mia per carpirne il segreto. E poi mi piace andare in giro ad assaggiare nuovi piatti, faccio viaggi enogastronomici con Roger Moore. Il mio più caro amico, insieme a Sean Connery. Con Roger facciamo lunghi viaggi in macchina. In realtà ne sto progettando uno in Italia, con le mie figlie». Con il nostro Paese Caine ha un antico legame cinematografico: «Con Vittorio De Sica girammo uno degli episodi di Sette volte donna. Mi dirigeva a gesti, non parlava inglese. Io non parlavo italiano e quindi stavo in silenzio. Un giorno nel pullman della produzione vide che cercavo discretamente di attirare la sua attenzione. Zittì l´intera troupe, dicendo: "Be quite, ladies and gentleman, perché mister Michael Caine deve dirci qualcosa. Allora, mister Caine, qual è la domanda?". E io: "Posso andare in bagno?"». Caine ride ancora. «Ricordo una scena girata a Parigi, agli Champs-Elysées. Io pedinavo Anita Ekberg e Shirley MacLaine; dietro, nel pulmino con la macchina da presa, c´era De Sica. Mentre giravamo fui accostato da due tizi con una fuoriserie che mi chiesero di che nazionalità fossi. "Inglese", risposi. E loro: "Complimenti per il buon gusto". Vittorio dentro il pulmino urlava furioso: gli avevano rovinato la scena». stato proprio De Sica a individuare e alimentare la vena per la commedia di Michael Caine. Più ruvido e livoroso fu il rapporto con Sophia Loren, che in giuria a Cannes nel ”66 si batté con successo per non far dare la Palma d´oro ad Alfie: «Era rimasta scioccata dalla scena dell´aborto. Lei ha odiato tanto quel film e non mi ha mai più rivolto parola. Nonostante la Loren, vincemmo un premio speciale della giuria e alla cerimonia finale fummo fischiati». Caine, il british del popolo, ha sperimentato, è andato contro vento. E a volte ha inventato. In Ipcress, nel ”65, coniò l´investigatore Harry Palmer, il primo antieroe nella storia dello spionaggio cinematografico. Ruppe uno schema. E oggi racconta: «La produzione mi negava gli occhiali da miope dicendo che sembravo gay. Poi lamentava che non potevo cucinare per una donna perché sembravo gay. Io rispondevo, come sempre, andando avanti a testa bassa. Anche nella vita mi sono scontrato con il pregiudizio, il suo potere regressivo. Un tizio, un vicino di casa, si presentò nell´appartamento al centro di Londra dove mi ero appena trasferito. Era una casa di prestigio, è innegabile, e lui voleva mettermi in guardia dalle invasioni degli immigrati arricchiti: "S´infilano dappertutto". Io lo feci accomodare in salotto, gli presentai la mia moglie indiana e dissi: "Sa com´è, s´infilano dappertutto!"». L´ultima volta che il caratteriale Caine ha avuto voglia di menar le mani è stato durante la promozione di Batman Begins di Christopher Nolan, in cui interpreta il fido maggiordomo dell´uomo pipistrello (ha appena finito di girare il sequel The Dark Knight e annuncia che Heat Ledger, il giovane divo australiano recentemente scomparso, sarà spettacolare nel ruolo di Joker). «Un giornalista mi ha chiesto se mi ero sentito particolarmente a mio agio nei panni del servitore, viste le mie origini. Non ha idea, quell´uomo, di quanto sia stato vicino ad essere strangolato». ARIANNA FINOS