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 2008  marzo 23 Domenica calendario

Manager esterni, figli e nipoti a stecchetto. repubblica 23 marzo 2008. C´è il metodo Warren Buffett, l´uomo più ricco del mondo, che ha deciso di donare i suoi sessanta miliardi di patrimonio in beneficenza lasciando a figli e nipoti una cifra simbolica (si fa per dire) di qualche milione di dollari («devono imparare ad arrangiarsi da soli», ha spiegato)

Manager esterni, figli e nipoti a stecchetto. repubblica 23 marzo 2008. C´è il metodo Warren Buffett, l´uomo più ricco del mondo, che ha deciso di donare i suoi sessanta miliardi di patrimonio in beneficenza lasciando a figli e nipoti una cifra simbolica (si fa per dire) di qualche milione di dollari («devono imparare ad arrangiarsi da soli», ha spiegato). C´è il metodo Ingvar Kamprad, numero uno di Ikea (trentuno miliardi sul conto corrente), che un giorno ha riunito i tre figli annunciando che avrebbe girato l´azienda a colui che avrebbe gestito meglio una singola divisione del gruppo. Ci sono clan con quindici rami dinastici che vanno d´amore e d´accordo nella gestione dell´impero di casa e fratelli che si scannano tra di loro mandando gambe all´aria l´azienda di papà. Una ricetta infallibile per la gestione dei passaggi generazionali nelle imprese non esiste. Troppe variabili umane, finanziarie ed economiche. Ognuno tende a fare da sé, fidandosi di fiuto e intuito come ha fatto (di solito con successo) per tutta la vita. Eppure negli ultimi anni è nata anche in Italia una vera e propria scuola (con tanto di frequentatissimi corsi d´aggiornamento) per aiutare i Paperoni a un passo dalla pensione e i loro rampolli a disinnescare le mille insidie e i pericoli di queste successioni imprenditoriali. «Sgombriamo subito il campo da un equivoco - mette le mani avanti Guido Corbetta, professore alla Bocconi di Strategia delle aziende familiari e "guru" di queste lezioni -. I passaggi generazionali non sono di sicuro la prima causa di mortalità delle grandi realtà dinastiche di casa nostra. Contano sì e no per un terzo». Molte scompaiono solo perché vengono comprate a peso d´oro, oppure perché zavorrate da troppi debiti o incapaci di tenere il passo con mercati che cambiano sempre più velocemente. Il problema però c´è: «Non si può negare - ammette Corbetta - e di solito, in base alla nostra esperienza, a far implodere aziende che hanno resistito ai venti della concorrenza per decenni sono tre classici errori: l´imprenditore che ritarda troppo la consegna delle chiavi dell´azienda ai figli, la miopia che porta a snobbare l´innesto di manager esterni, e la difficoltà, quando ci sono più eredi, a passare da una visione monocratica del potere, quella del padre-padrone, a una gestione condivisa del patrimonio di casa». L´era dei "bamboccioni" non ha cambiato molto le cose. Alberto Falck, il manager della dinastia dell´acciaio cui è intitolata la cattedra in Bocconi, diceva sempre che ogni erede deve «ricomprarsi l´azienda di famiglia». Conquistarsela sul campo. «Certo, se i padri non mollano il timone, ci sono pochi consigli da dare. L´unico è che i figli siano coesi tra loro», suggerisce Corbetta. Altro consiglio: evitare di coprire d´oro da subito i rampolli. «Costruire ricchezza costa fatica, i figli devono impararlo sulla loro pelle». Quindi - insegnano all´università milanese - non bisogna essere troppo attaccati alla poltrona. «La successione non è una strada a senso unico. Ci sono tante opzioni e percorsi alternativi. Qui conta la formazione. Nel senso che bisogna guardarsi attorno. Ci sono tante realtà che a un certo punto hanno deciso di fare un passo indietro. Lasciando il timone dell´azienda a un manager e limitandosi al ruolo di soci». Costa un po´ d´orgoglio ma in molti casi è stata la soluzione giusta per evitare di imbarcarsi in faide decennali. L´azienda è anche lei un po´ come un figlio. E lasciarla andare per la sua strada, alla fine, spesso la fa crescere. Un´altra raccomandazione classica dei corsi di Corbetta è quella di inserire in azienda persone terze. Collaboratori, amici. Gente comunque fuori dal ristretto circolo della famiglia, in grado di svolgere un ruolo di mediazione ed equilibrio nelle fasi di transizione in cui un imprenditore deve magari scegliere un erede tra tanti figli. «In situazioni di questo tipo è fondamentale la comunicazione. Non bisogna mai smettere di parlarsi. Meglio mettere tutto in piazza, e la presenza di attori estranei aiuta a tenere le discussioni nei binari della civiltà». Se l´obiettivo si allarga dai molti figli ai molti parenti seduti attorno allo stesso tavolo, la strada è ancora più in salita. «In questo caso il suggerimento è di affidare le redini dell´azienda a manager esterni», conclude Corbetta. «Ma attenzione: la famiglia deve in ogni caso tracciare la rotta. Serve unità. E l´unità c´è solo se si riesce senza traumi a individuare una leadership». E il metodo Warren Buffett? «In Italia per ora non ha attecchito», conclude Corbetta. «E in fondo spero non prenda mai piede. Le aziende familiari sono un patrimonio di conoscenze e di esperienze che sarebbe davvero un peccato buttare via». ETTORE LIVINI