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 2008  marzo 23 Domenica calendario

Il teorema "Affetti & Affari". Repubblica 23 marzo 2008. «Mio nonno ha fatto il capannone piccolo, mio padre il capannone grande, io il capannone grandissimo; mio figlio si droga, ha capito che non riuscirà mai a fare un capannone più grande del mio»

Il teorema "Affetti & Affari". Repubblica 23 marzo 2008. «Mio nonno ha fatto il capannone piccolo, mio padre il capannone grande, io il capannone grandissimo; mio figlio si droga, ha capito che non riuscirà mai a fare un capannone più grande del mio». L´apologo contenuto in uno spettacolo del comico Antonio Albanese sintetizza amaramente una questione chiave del capitalismo del terzo millennio che da noi, nella patria del capitalismo familiare e molecolare, sta assumendo connotati più acuti che altrove. Tanto che è al centro dell´attenzione di economisti, sociologi, psicologi e degli "wealth advisor", i nuovi consulenti della ricchezza che si offrono per suggerire come esorcizzare la patologica mortalità delle aziende. Come si fa se l´erede di seconda o terza generazione non ha il sacro fuoco dell´imprenditore-dominus schumpeteriano, se gli piace la musica, la poesia, la filosofia, se magari preferisce alla ciminiera i rally, il gioco d´azzardo e la bella vita? Come si fa se il gruppo familiare è cresciuto a dismisura producendo scarse doti imprenditoriali e perversi rapporti di clan? I Rothschild fecero un trucco diciamo dinastico: su diciotto matrimoni dei nipoti di Mayer Amschel Rothschild sedici furono tra cugini primi. Ma non bastò a evitare la diaspora familiare. Anzi le guerre fratricide nel clan si moltiplicarono. Maurice, figlio di Edmond, fu espulso dal gruppo perché troppo donnaiolo, ma poi suo figlio Edmond tornò al vertice della dinastia. I Rockefeller, alla quarta generazione, si sono trovati con cento eredi, di cui ventotto candidati alla leadership, quando alla fine prevalse David Junior. I quaranta eredi Taittinger in Francia persero l´azienda già alla seconda generazione, alla morte del fondatore. Gianni Agnelli, il quale aveva creato alla terza generazione un´accomandita che vincolava a un patto di consanguineità il trenta per cento del capitale, lasciò centosettanta eredi. Sembrava che tutto filasse liscio con Gianluigi Gabetti che istruiva il giovane nipote Jaki Elkann e con Sergio Marchionne, un manager esterno che l´Avvocato non aveva mai neanche visto, finché i conti della Fiat non hanno cominciato a migliorare e Margherita, figlia dell´Avvocato e madre di Jaki, ha aperto un doloroso conflitto familiare, sostenendo di essere stata sacrificata nelle divisione dell´eredità paterna. «Mia madre ha avuto tutto ciò che le spettava», ha replicato secco il figlio. «Mia figlia deve sapere che il rispetto non è un diritto che si eredita, ma te lo devi guadagnare», ha rincarato la vedova dell´Avvocato, Marella. Grandi saghe che spesso si trasformano in faide, come quella dei Marzotto che, giunti alla sesta generazione, si sono "atomizzati". Il comando era stato lasciato al Conte Pietro, come lo chiamano a Valdagno, fin da quando quattro dei suoi fratelli si dedicavano soprattutto a gareggiare in Ferrari. Cresciuti gli eredi, sono esplosi i conflitti e oggi Pietro, ex storico vicepresidente della Confindustria, dichiara di fare «il pensionato». «Che volete? - chiosa Antonio Favrin, che per decenni era stato al fianco di Pietro - quando si arriva già alla terza o quarta generazione, la famiglia è un concetto vago». Quando, più che una famiglia, non diventa una confederazione di famiglie, come quella di Leonardo Del Vecchio, primo al mondo negli occhiali con trentamila dipendenti e quattro miliardi di fatturato, che ha sei figli da tre madri diverse. I Benetton, i Barilla, i Ferrero, grandi famiglie che hanno trovato o stanno cercando equilibri per il futuro, saggiamente ammaestrati dai rovesci, dalla disfatte, dalle stragi aziendali del passato, che hanno visto divorzi familiar-aziendali, la perdita del controllo delle società e clamorosi fallimenti. Chi abbia mezza età ricorderà quel Felicino Riva che, in delirio di onnipotenza, pensò che il cotonificio Valle Susa potesse fabbricare auto in concorrenza con la Fiat. O Angelo Rizzoli Junior che, oberato dai debiti e dalla politica, finì nella mani della Loggia P2 di Gelli e Ortolani. O ancora Raul Gardini, morto suicida ai tempi di Tangentopoli, che col cognato Carlo Sama portò al disastro l´impero di Serafino Ferruzzi. E poi i Buitoni, i Mondadori, che con la morte di Mario Formenton, marito della figlia di Arnoldo, Cristina, persero la bussola «per un pugno di dollari», come allora si disse. O ancora, più di recente, Vittorio Cecchi Gori, che in un colpo solo ha perso la casa di produzione paterna, la Fiorentina e anche la moglie. O le donne Bertone, Lilli, la vedova del fondatore, e Barbara, sua figlia, che stanno accompagnando al disastro il piccolo gioiello industriale fondato da Nuccio. Grandi e piccole storie degne di Thomas Mann e Luchino Visconti. Storie note e meno note. Si sono separati anni fa i fratelli Bulgari, Vittorio e Giuliano Tabacchi della Safilo, i Riello, Pino e Piero Bisazza, imprenditori vicentini del mosaico di seconda generazione. Ma si sono anche risollevati. Sono finiti alle carte bollate i fratelli Coin, Vittorio e Pier Giorgio, i Fossati della Star, i Garavoglia della Campari. Per la serie "Affetti & Affari" e la ricorrente impossibilità di coniugare "coesione sentimentale" e "business", Nunzia Penelope in Vecchi e Potenti, appena uscito in libreria per Baldini Castoldi Dalai, scandaglia due casi interessanti di passaggio generazionale, i Romiti e i Caprotti. Cesare Romiti e i due figli, Maurizio e Piergiorgio, sono stati via via estromessi da Gemina, da Impregilo, da Aeroporti di Roma e infine si sono ritrovati in minoranza anche nella Miotir, la cassaforte di famiglia. Si dice che la decadenza familiare sia dovuta alle scarse doti imprenditoriali dei due eredi. Il vecchio coriaceo, che si attribuisce la qualità di essere «molto, ma molto cattivo», difende naturalmente i figli: «Il loro vero handicap è chiamarsi Romiti» e attribuisce le recenti sfortune alla nemesi che tocca a chi come lui ha avuto troppo potere. Molto, ma molto più cattivo di Romiti, almeno a quel che ha denunciato una cassiera dell´Esselunga cui sarebbe stato impedito persino di andare a far pipì in orario di lavoro, Bernardo Caprotti, classe 1925, uomo tutto di un pezzo che ha in odio "i rossi" e i sindacati, il quale nel 1957, in società con Nelson Rockefeller, aprì a Milano il primo supermercato italiano e oggi controlla una delle più grandi catene di distribuzione. Il figlio Giuseppe, assai diverso dal padre, ha studiato alla Sorbona, si è laureato in storia e la sua tesi è stata pubblicata da Franco Angeli. Nel 2002, quando diventa amministratore delegato, annuncia che sarà molto diverso dal padre e che non intende litigare con i sindacati. Passano neanche due anni e Bernardo mette fisicamente alla porta il figlio con tutti i suoi dirigenti, caricandoli in Mercedes. Ottuagenario, torna al comando. «Avevamo sugli scaffali l´Argentil - bolla l´incapacità del figlio - a cinque euro, mentre i nostri concorrenti lo vendevano al trenta per cento in meno». «Altro che passaggio generazionale, bisognerebbe piuttosto parlare di recupero generazionale», ironizza Romiti, pensando di certo a sé stesso, a Gianni Agnelli, a Enrico Cuccia, a Leopoldo Pirelli. Leopoldo si ritira nel 1990, quando fallisce il tentativo di scalata alla Continental. Gli succede l´ex genero Marco Tronchetti Provera, il quale porta la Pirelli dalle gomme alla telefonia: non più manifattura, ma rendite degli ex monopoli. Le cose non sono andate come Tronchetti - che ha blindato finanziariamente i tre figli - voleva e come l´ex suocero aveva sperato al momento di cedergli il comando. Poi c´è pure qualche famiglia imprenditoriale virtuosa o fortunata. Gianni Brera sosteneva che il clan dei Moratti, baluardo del capitalismo meneghino, è qualcosa di molto simile a certe spassose comunità inventate da Frank Capra. Si vogliono tutti bene e incattiviscono solo per l´Inter, il loro "hobby dannato". Sarà proprio così? I patti di famiglia, comunque, cominciano ad andare di moda. Li hanno precorsi le famiglie che controllano la De Agostini: «Il nonno Marco Boroli - ha raccontato il nipote Marco Drago - ebbe sei figli, che a loro volta ne ebbero diciannove, fino a una quarta generazione composta da quarantuno eredi». Che fare? Distribuire le forti plusvalenze agli azionisti o reinvestire? Così fu costituita una Sicav lussemburghese per accentrare tutto il patrimonio sotto un "global custodian" e due comitati sul modello del "family office" britannico. Fila d´accordo con i figli, che controllano vari rami di attività, Mario Carraro, che produce sistemi di trasmissione per veicoli su strada e fuoristrada in mezzo mondo. Non segnalano problemi familiari i De Longhi e gli Stefanel. Giovanni Rana ha lasciato gran parte della gestione al figlio Gianluca. Quando la rete familiare è buona e i conflitti sono governati, l´azienda corre meno pericoli e i rampolli vanno persino in libera uscita. Emma Marcegaglia, che tra poche settimane entra in carica come presidente della Confindustria, gode di una situazione perfetta, come è lei. Il padre Steno ha dato la guida del gruppo alla moglie Mira, al figlio Antonio e, per l´appunto, a Emma. Se la presidente sarà troppo impegnata nella giostra confindustriale, la rete familiare è pronta a sopperire. Il suo predecessore Luca di Montezemolo, sessantunenne neo-nonno ad opera di Matteo, ha già pensato ai figli grandi cui ha affidato le aziende familiari, deve solo decidere cosa fare lui da grande: Ferrari, ferrovie private o politica? Ormai stabilmente in politica da quasi tre lustri è Riccardo Illy, della dinastia del caffè, che i sondaggi danno il 13 aprile come riconfermato governatore del Friuli-Venezia Giulia. Vittorio Merloni, classe 1933, ha un patto sottoscritto da più di un decennio, i quattro figli hanno piccole quote azionarie e stipendi di cui si lamentano, ma la primogenita Maria Paola può andare a fare la parlamentare del Partito democratico. La dipartita veltroniana di Massimo Calearo, ex presidente di Federmeccanica e degli industriali vicentini, è stata invece criticata in un´intervista dalla mamma non tanto per l´abbandono dell´azienda, ma per l´imprevedibile candidatura a sinistra, invece che a destra. Mentre Ettore Riello ha rispettato la fede berlusconiana nelle liste del Pdl. La sindrome Buddenbrook non colpisce soltanto le grandi famiglie e le imprese che sono sotto i riflettori, ma anche quei milioni di piccole o medie aziende a struttura familiare spesso messe su da ex operai, che rappresentano il novantatré per cento del totale. La Banca d´Italia ha stimato che sei imprese italiane su dieci sono sull´orlo della successione nel governo aziendale, visto che hanno azionisti di controllo intorno ai sessant´anni. Se non si attrezzano in tempo il rischio è alto, dal momento che le statistiche rivelano che alla seconda generazione la moria aziendale tocca il settanta per cento, mentre alla terza arrivano soltanto tre aziende su cento. La prima generazione crea, la seconda (qualche volta) conserva, la terza distrugge, avvertono gli "wealth advisor", e il «capannone grandissimo» di Albanese così non vede quasi mai la luce. Perché - si sa - non c´è niente di peggio che coniugare Affetti & Affari. ALBERTO STATERA