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 2008  marzo 25 Martedì calendario

Daumier, la Francia sulla graticola. Avvenire 25 marzo 2008. Il luogo comune vuole che dietro ogni scrittore o artista satirico si celi un moralista

Daumier, la Francia sulla graticola. Avvenire 25 marzo 2008. Il luogo comune vuole che dietro ogni scrittore o artista satirico si celi un moralista. Uno, cioè, che, armato di cattiveria e di disgusto per le miserie umane, enfatizza i difetti del prossimo rendendoli comici e ca paci di sferzare la vittima stessa del l’attacco satirico. Honoré Daumier fu, forse, il capostipite di una satira che ha conosciuto via via forme sem pre più aggressive, e oggi anche vio lente, dove l’obiettivo oggi non è più denunciare il peccato prendendosi gioco del peccatore, ma scorticare vi vo qualcuno per eseguire, infine, co me il gladiatore nell’arena, la con danna a morte del nemico davanti a una folla di pollici rovesciati. Come spesso accade quando ci si oc cupa di un artista francese che ha vis suto e operato nella parte centrale del XIX secolo, le idee più durature e an cora capaci di far pensare le ebbe Baudelaire. Scrivendo nel 1857 rac­conta che Daumier era un artista dal talento naturale e un uomo onesto e ricco di bonomia, con un’etica ma tura che lo metteva al riparo dall’e­sasperazione e dagli eccessi ideolo gici: «Spesso – scrive Baudelaire – rifiuta di trattare certi temi satirici molto belli e molto violenti, per ché, dice Daumier, oltrepassano il limi te del comico e pos sono ferire la co scienza del genere u mano ». Chi ricorda i ritratti caricaturali che Dau mier ha realizzato in scultura, non avrà mancato si sentire, guardandoli, un sen­timento sferzante ma al contempo an che un afflato poeti co che salvano l’ope ra di questo artista grandissimo dall’es sere arruolato in qualche partito, seb bene il suo impegno sia sempre stato in direzione repubbli­cana, e fanno intuire la sua predisposizio ne a parlare il lin guaggio visivo con i ronia, ma anche con senso del tragico. Cadevano il 26 feb braio scorso i due cento anni dalla na scita di Daumier. Pa rigi gli dedica a que sto proposito una mostra emozionan te, ma anche dissimulatrice. Alla Bibliothèque Nationale sono esposti in fatti 220 fogli con le litografie satiriche che Daumier pubblicò su alcuni giornali o riviste satiriche, fin da quando nel 1830 esordì prendendo di mira Luigi Filippo con alcune caricature che fanno capire quanto genio e coraggio, ironia e senso civile della critica fossero in lui già dosati in parti eguali. Nel catalogo della mostra. Sé golène Le Men ricorda che quando Daumier pubblicò nella prima metà degli anni Trenta le sue caricature, per la Francia fu come scoprire un nuo vo linguaggio visivo. Sempre Baude laire parla di un «punto di vista» che si biforca: può prendere la strada lun go la quale la conoscenza tecnica si unisce a una capacità di tenere sotto controllo la forma e di restituire qual cosa di nuovo (e questo era possibi le a Daumier, dice Baudelaire, anche per la sua «memoria meravigliosa e quasi divina» che gli consentiva di ri cordare i volti e le situazioni lavoran­do poi senza avere modelli sotto gli occhi); oppure può essere la strada che sbocca nel «punto di vista mora le ». Daumier è grande poiché le tie ne in pugno entrambe grazie a una si curezza interiore, che è anche una certezza di mano, bravura che si di pana nel segno preciso e di prima («mai una testa che stoni col corpo che la sostiene», nota ancora Baude­laire). Qualcuno disse che Daumier era uo mo privo d’immaginazione, capace cioè di fare la caricatura ma soltanto illustrando una didascalia scritta da altri. Queste litografie dicono che non è così, e le ricerche degli studiosi han no appurato che lui stesso in molti ca si scriveva i commenti per le sue im magini (con un connotato verbale al tamente comico e satirico). Della sua vita e della sua personalità si sa poco, mentre del suo lavoro si conosce gran parte di quel che c’è da sapere. Lo ac cusarono anche di ambiguità, ovve ro di una non immediatezza visiva che impediva una chiave di lettura u- nivoca. Philippe Kaenel attribuisce questa eventuale polisemia alle am biguità stesse del vivere quotidiano e della fisiognomica che, com’è sap piamo, dietro una smorfia può mani festare sentimenti anche contrastan ti od opposti. Un critico scrisse che quando si interrogava Daumier sulla sua opera egli rispondeva a monosil labi... «i paroloni lo spaventano». D’al tra parte, questa sua scarsa familia rità col linguaggio verbale, quando si tratti di accompagnarlo alle immagi ni o di commentare le stesse, per Bau delaire erano il segno del «vero arti sta », tanto che il grande critico-poe ta arrivava a dire che le didascalie nel le sue litografie potevano persino es sere superflue. vero e non è vero: molte cose, senza quelle didascalie, oggi non si capirebbero all’istante, per lo meno nel rapporto con la storia francese, mentre resta intatta e sma gliante la forza del segno e la capacità di Daumier di provare un sentimen to umano anche verso quelli che sta per fustigare. La frusta e la pietas, ver rebbe da dire. Forse lui per primo si vedeva parte di quel genere umano di cui mostrava le miserie. Ma, in o gni caso, le sferze maggiori le rivolge ai potenti. Vedi la straordinaria tavo la Les Mannequins politiques riferita al governo Maret, il sesto della mo­narchia di Luglio, che durò appena tre giorni; oppure quella che ritrae trentacinque deputati dell’epoca (1834), molti dei quali avevano già a vuto l’onore di essere immortalati in dividualmente da Daumier, che s’in titola Le Ventre législatif. Non è tene ro con Luigi Filippo, che ritrae col te stone a pera che mostra tre diverse facce: una fresca e sorridente, una cu pa e appesantita, l’ultima in pieno di sfacimento; oppure quando mostra il re schiacciato dentro una pressa ti pografica (denunciando così i tenta tivi di mettere il bavaglio alla stampa, cosa che avverrà dopo l’attentato che il re subirà nel 1835: la questione ri torna con questo senso di eroica scon fitta nella tavola C’était vraiment bien la peine de nous faire tuer!, che ritrae tre rivoluzionari uccisi nel luglio del 1830 mentre escono dalla tomba e possono costatare che il loro sacrifi cio ebbe un senso...). Esilaranti sono poi alcune tavole dedicate ai giudici («Les gens de justice»); come del re­sto acuto e talvolta commovente è l’u morismo con cui Daumier striglia i borghesi, «Les bons bourgeois», vedi i due, marito e moglie, che se ne stan no col naso all’insù a guardare la vol ta stellata aspettando l’apparizione del pianeta Nettuno che l’astronomo Urbain Le Verrier, suo scopritore, a veva calcolato si sarebbe potuto ve dere a occhio nudo il 23 settembre 1846. La molteplicità di aneddoti e situa zioni che si possono gustare in que sta straordinaria scelta di fogli (da un insieme che ne conta ben quattro mila), ci fa però capire una cosa, che spiega cosa intendevo dicendo che questa mostra è anche dissimulatri ce: Daumier va a toccare i francesi nel loro orgoglio di popolo speciale, pa tria dei diritti dell’uomo e del senso civile. Li mette alla berlina nei vizi, nelle furberie, nelle meschinità, ne gli abusi dei poteri, ma anche delle libertà che creano nuove disegua glianze. Per questo la Francia gli ha sempre ricambiato la pariglia e a o gni occasione ufficiale, vedi gli anni versari, Daumier non ha mai avuto quel riconoscimento completo che meriterebbe. Nel 1979, per il primo centenario della morte, Parigi se ne dimenticò, e l’unica mostra impor tante gli venne allestita a Marsiglia. Ora lo celebrano con questa splendi da scelta di litografie, ma Daumier è molto più di un incisore, è un artista completo: pittore, scultore, sopraffi no disegnatore. Subisce un po’ la stes­sa sorte che toccò dopo la morte e fi no ai tempi recenti a Géricault, altro genio tormentato che aveva messo la Francia di fronte alla sua sconfitta morale dipingendo La zattera della Medusa: rispettati sì, celebrati con moderazione perché non si può ne gare loro una statura eccelsa, ma a­mati, questo mai. Perché colpevoli di lesa Grandeur... MAURIZIO CECCHETTI