GRAZIA MARIA MOTTOLA, Corriere della Sera 22/3/2008, 22 marzo 2008
VARI PEZZI SULL’ACQUA USCITI SUL CORRIERE DELLA SERA DEL 22/3/2008
U
na giungla. Di tariffe, regole, contenziosi. Con aumenti incontrollati, investimenti non adeguati, cittadini insoddisfatti. Un problema ancora aperto quello del servizio idrico nazionale, a quattordici anni dalla legge Galli che avrebbe dovuto riordinare il settore, aprendo le porte ai privati. Oggi più che mai, nella Giornata mondiale dell’acqua.
A mettere il dito sulla piaga, è, in primo luogo, il Coviri (Comitato per la vigilanza sull’uso delle risorse idriche), organo della pubblica amministrazione che risponde direttamente al Parlamento. Che non è l’unico «controllore»: prolificano ovunque comitati e associazioni di consumatori con l’occhio attento sui rubinetti d’Italia. Un movimento trasversale, confluito nel «Forum per l’acqua bene comune » che ha raccolto oltre 400 mila firme a sostegno di una proposta di legge per ritornare al vecchio servizio pubblico. «Era iniziato l’iter per l’esame alla Camera – spiega uno dei portavoce, Marco Bersani ”. Per adesso un obiettivo è già stato raggiunto: il blocco di nuovi affidamenti alle Spa».
Gli aumenti
Incrementi a macchia di leopardo. Da zero a 22 per cento, negli ultimi tre anni (20052007), secondo una ricerca di Cittadinanza attiva, organizzazione di consumatori specializzata nei servizi di pubblica utilità. A Milano, Campobasso, Catanzaro, città virtuose, con bollette per l’uso domestico senza rincari, si contrappone Firenze, che vanta aumenti record: +8 per cento tra il 2005 e il 2006, +14 per cento nei dodici mesi successivi. E non è sola. Seguono Perugia (+15 per cento, dal 2005 al 2007), Torino e Genova (+14 per cento), Ancona (+10 per cento).
Che cosa significa? Un esempio per tutti: se una famiglia di tre persone con un consumo annuo di 192 metri cubi, vive a Milano spende 105,80 euro; se si trova a Firenze, ne sborsa più del triplo, precisamente 352. « uno scandalo – spiega Giustino Trincia, vicesegretario dell’organizzazione ”, questi dati dimostrano che non esiste un vero controllo e indirizzo sull’attività dei gestori. Ma c’è di più: i cittadini pagano, ma le bollette sono incomprensibili e poco trasparenti ». Non va meglio per uffici e negozi. Uno studio della Nus Consulting sulle tariffe commerciali (2007), evidenzia altre disparità: 23 centesimi di euro, prezzo medio a metro cubo per un consumo annuo di 40 mila metri cubi (con contatore di 50 mm) a Milano, 60 a Genova, 117 a Torino, 130 a Cagliari, 157 a Palermo, 163 a Bologna. Prezzo medio: 94,20 centesimi, tre in più rispetto al 2006. In cinque anni, rincari medi del 27 per cento.
Difficile comprendere l’affollato mondo delle tariffe del sistema idrico italiano. Ci ha provato il Coviri in uno dei capitoli della prossima relazione al Parlamento, redatta sulla base di un questionario inviato agli Ato (Ambiti territoriali ottimali, 92 soggetti pubblici creati a seguito della legge Galli, con anche il compito di regolamentare la gestione del servizio, oggi affidato a società, pubbliche, private, o a partecipazione mista). Hanno risposto in 56. Con un esito sorprendente: a ogni Ato risulta corrispondere più di una tariffa.
Il Coviri ne ha scoperte 356, vale a dire 356 diversi bacini tariffari, che giustificano il variegato panorama delle bollette. Un dato «sottostimato», scrive il Comitato. Che lo spiega così: «Ci sono una pluralità di gestori nello stesso Ato, e tariffe differenti per un unico gestore nel perimetro del medesimo territorio ».
Così procede alla conta dei più numerosi: 164 bacini tariffari in Piemonte, 48 in Lombardia, 38 in Veneto, 40 nelle Marche. Poi passa alle bollette, per le quali sottolinea «un generale aumento», pari al 46 per cento, per la spesa media annua (su un consumo di 200 metri cubi) dal 2002 al 2006. Tariffe più alte, si legge nel rapporto, anche a fronte della copertura di investimenti previsti nei piani degli Ato.
Di fatto, evidenzia il Coviri, solo la metà degli interventi programmati negli ultimi tre anni sono stati realizzati: su 4.381 milioni di euro in cantiere per nuove infrastrutture, manutenzione straordinaria e altro, ne sono stati spesi 2.147, «un dato preoccupante, che investe la valutazione sulla effettiva capacità riorganizzativa prevista dalla riforma, di superare le attuali criticità del servizio».
Rete colabrodo
Investimenti minimi, quindi, a fronte di infrastrutture vetuste, bisognose di ammodernamenti. Come dimostrano i dati sulle disfunzioni della rete. Se, secondo gli ultimi dati Istat, le dispersioni di acqua riguardano il 30 per cento di quanto immesso nelle condutture, uno studio di Mediobanca stila l’elenco delle società con maggiori perdite: a guidare i gestori meno virtuosi c’è l’Acquedotto pugliese, con il 50 per cento del prodotto perso (nel 2006), segue Acegas-Aps (Trieste-Padova) con il 38,6, Acea (Roma-Frosinone- Toscana) con il 35,4, Asm Brescia con il 32, Smat (Torino) e Vesta (Venezia) con il 30.
Nella stima che riguarda le perdite fisiche, quelle collegate proprio a falle delle tubature, l’Acquedotto pugliese mantiene il primato con il 37,7 per cento, seguito da Vesta (26).
Alla carenze di infrastrutture si lega anche il recente allarme siccità lanciato dall’Anbi (Associazione nazionale per bonifiche irrigazioni e miglioramenti fondiari). «Mancano centinaia di milioni di metri cubi negli invasi del Sud – avverte il presidente Massimo Gargano ”; in autunno ha piovuto di meno; le dighe, sporche di detriti, non si riempiono come dovrebbero; al di sotto delle medie stagionali anche i livelli di fiumi e laghi. I rischi? Non avere sufficienti riserve per l’estate e veder compromesso il turismo». La soluzione ci sarebbe: «Un progetto da un miliardo di euro per raccogliere senza dispersioni l’acqua piovana». I tempi? Solo tre anni.
Grazia Maria Mottola
Nel libro L’acqua nella storia, appena uscito da Sugarco (pp. 221, 16,80 euro), Giuseppe Altamore riassume vicende durate molti secoli. Furono i sumeri, nell’antica Mesopotamia, a introdurre il primo governo delle acque.
Seguirono le grandi opere idrauliche costruite dai romani, poi la decadenza medievale, con il bagno visto quasi come foriero di peccato, fino alla rivoluzione igienica di due secoli fa. E oggi, in un pianeta sempre più popolato, l’acqua è diventata un bene esauribile e prezioso, fonte di enormi profitti e possibile causa di guerre.
MILANO – «Da quando ci sono gli Ato, abbiamo una precisa conoscenza della condizione del sistema idrico e degli interventi da attuare». Difende la riforma Luciano Baggiani, presidente dell’associazione che riunisce gli Ambiti territoriali ottimali, introdotti nel 1994 con la legge Galli. Anche se suggerisce qualche aggiustamento: «La novità della riforma è di avere introdotto una separazione tra regolamentazione e gestione del sistema. Ma un problema esiste: la possibilità di un conflitto di interessi qualora un sindaco, che aderisce all’Ato, sia anche socio gestore. Di fatto controllore e controllato coinciderebbero. La soluzione? Creare un organismo autonomo all’interno dell’Ato con deleghe precise a livello decisionale e di controllo». Non di poco contro il tema delle tariffe, delle quali il presidente Baggiani riconosce gli aumenti. Ma una spiegazione ce l’ha: «Credo che alla base ci sia un problema di mentalità. La gente deve capire che l’acqua non si paga, perché è gratis. Quello che costa e che finisce in bolletta, è il servizio idrico nella sua interezza: tutto ciò che serve affinché l’acqua arrivi nei rubinetti, e quello che segue una volta utilizzata. Non solo fogna e depurazione, ma anche determinati trattamenti che rendono l’acqua potabile e di qualità. Per questo sono necessari gli investimenti ». Ecco il nodo cruciale: «Se le tariffe sono lievitate è anche perché devono coprire i costi degli interventi necessari per migliorare il servizio. Questo per contratto. Da un lato la legge ha costretto i gestori a impegnarsi nel realizzare gli investimenti, dall’altro ha creato una garanzia per la loro attuazione: caricando i costi sulle tariffe è sicuro che nell’arco di tempo stabilito dai piani degli Ato, gli ammodernamenti verranno realizzati. Poi c’è un’ultima questione: la scommessa è portare gli italiani a bere sempre più acqua dei rubinetti, e meno minerale: così il risparmio è assicurato».
Gra. Mot.
Luciano Baggiani
è il presidente dell’associazione che riunisce gli Ambiti territoriali ottimali, Ato, introdotti nel 1994 con la legge Galli che aveva il compito di riordinare l’intero settore
MILANO – «Bollette poco trasparenti, caricate di onori impropri». Non condanna la legge Galli, Domenico Bonaccorsi, vicepresidente di Anfida, associazione che riunisce i proprietari di acquedotti privati (lui stesso possiede le Acque di Casalotto, in Sicilia), ma qualche riserva ce l’ha.
«Le bollette rincarate? vero, e le ragioni ci sono. Ma il problema è che i cittadini non sanno esattamente che cosa vanno a pagare. Basti pensare che veniamo da un passato in cui si è sempre pensato che l’acqua non costasse nulla. Ma quello è stato un errore di comunicazione, ecco perché oggi la gente si stupisce di vedere importi più alti».
Bollette più care a fronte di investimenti necessari a migliorare il servizio, calcolate con tariffe diverse («Dipende anche dal costo d’origine dell’acqua diverso nelle varie parti d’Italia»). Ma la questione è un’altra. «Quello che non si dice è che ci sono altre voci che pesano sulle bollette. Per esempio i costi degli stessi Ato». Spesa corrente media: novantotto centesimi di euro per ogni italiano, per un totale approssimativo di 55 milioni di euro all’anno (601 mila per Ato). Compresi i costi del personale: 535 addetti, dei quali 351 contratti a tempo determinato. Solo nell’Ato Pescarese (Abruzzo) se ne spendono 787.745 per diciassette dipendenti. «In generale è una cifra pazzesca – spiega Domenico Bonaccorsi ”, credo che gli Ambiti territoriali ottimali siano troppi, dovrebbero essere ridotti». Non mancano i lati positivi della riforma: «La legge Galli ha portato a un progressivo abbandono della gestione in economia del sistema idrico, e questo è solo un bene. Vero è che negli affidamenti alle Spa ha resistito il modello pubblico o misto pubblico, che comunque porta a un problema: nella stessa società finiscono controllore e controllato».
Gra. Mot.
Domenico Bonaccorsi
è il vicepresidente di Anfida, l’associazione che riunisce i titolari di acquedotti privati in Italia. Bonaccorsi è anche il proprietario di Acque di Casalotto, in Sicilia
MILANO – Comuni ribelli, pronti a sganciarsi dai gestori privati, decisi a tutto pur di tornare al vecchio sistema. Una rivoluzione nel cuore del Lazio. Capofila Aprilia, provincia di Latina, 64 mila abitanti, oltre 15 mila utenze: più della metà paga le bollette direttamente al municipio, secondo le tariffe di un tempo. Un bel risparmio, a danno della società Acqualatina, Spa affidataria del servizio idrico dal 2004, partecipata per il 51 per cento dall’Ato4 competente, per il resto da un gruppo di privati guidati dal colosso francese Veolia. Dall’introduzione della nuova gestione le bollette sono lievitate, da tariffe praticamente «politiche» a importi definiti «da capogiro». Aumenti in media del 92 per cento, negli ultimi quattro anni, secondo i calcoli del Comitato cittadino acqua pubblica Aprilia: 122,17 euro annui per un consumo di 190 metri cubi nel 2004; 235,76, invece, la somma da corrispondere oggi con le nuove tariffe. Come Aprilia, i Comuni di Anzio, Cori, Pontinia, Amaseno, Bassiano, Formia.
«Abbiamo iniziato l’iter per arrivare alla ripubblicizzazione del servizio – spiega Sandro Bartolomeo, sindaco di Formia ”, pensavamo che i privati avrebbero portato più efficienza, invece sono finiti persino sotto inchiesta». Dietro la «ribellione», anche uno scandalo giudiziario che, lo scorso gennaio, ha portato agli arresti di alcuni dei vertici della società di gestione. In totale 21 indagati, sei ai domiciliari (tornati liberi su decisione del Riesame), tre misure interdittive. Custodia cautelare in casa anche per Paride Martella (ora in libertà), ex presidente della provincia di Latina, ex presidente di Acqualatina, ex Udc, oggi Italia dei Valori. Che, rilasciato, non è tornato ad Acqualatina. Reintegrati, invece, Raimondo Besson, vicepresidente, e Silvano Morandi, amministratore delegato. Associazione per delinquere, truffa ai danni dello Stato, falso documentale: le accuse della Procura, al termine di tre anni di indagini condotte dal nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Latina. Gli investigatori hanno appurato irregolarità negli affidamenti
in house, in pratica appalti senza gare, che i soci privati assegnavano a società ricollegabili al loro gruppo. Con un risultato, secondo l’accusa: bilanci in rosso e danno per il socio pubblico, obbligato a ripianate a sue spese tutte le perdite. Che, scrive la Corte dei conti, ammontano a 5-6 milioni di euro. Illegittimo, per la Procura, il modo di affidare gli appalti, «aggirando le gare pubbliche», ma anche «l’unico sistema per garantire utili al socio privato, altrimenti condannato a restare in rosso per i prossimi 15 anni, dovendo sostenere le spese per interventi di ammodernamento».
Le indagini proseguono, in attesa dell’esito del ricorso in Cassazione da parte della Procura contro la sentenza del Riesame. La protesta degli utenti, invece, va oltre. Sotto accusa un programma informatico, acquistato da Acqualatina, pare, per un importo di oltre quattro milioni di euro, «che sfornerebbe bollette gonfiate». Centinaia le contestazioni in mano agli avvocati. Non ultimo il caso di un ristorante di Nettuno: «Diecimila euro di conguaglio da pagare, dopo la lettura del contatore avvenuta dopo 3 anni e mezzo – spiega il suo legale, Oriana Martellucci ”. Un’esagerazione: fino al 2003, prima della nuova gestione, la bolletta ammontava a 360 euro all’anno». E non è l’unica «bolletta impazzita ».
«Molti utenti sono passati da bollette di 80-90 euro all’anno, a 2-3mila euro – spiega Roberto Lessio, Legambiente Latina, che ha presentato uno dei primi esposti contro la Spa ”. Un’idea ce la siamo fatta: la macchina calcola consumi presunti, lontani da quelli storici, poi arrivano i conguagli, ma di fatto nulla è verificabile, perché non esiste una lettura del contatore precisa, fatta al momento del passaggio di gestione. Ora la confusione è totale, ma restano quelle cifre, davvero impossibili».
Gra. Mot.
L’inchiesta
Indagini della magistratura sulla società affidataria del servizio idrico dal 2004