Luigi Grassia, La Stampa 22/3/2008, 22 marzo 2008
Se uno legge che la Spagna sta conquistando il Messico è autorizzato a pensare, di primo acchito, che la notizia sia vecchia di 500 anni (mal contati)
Se uno legge che la Spagna sta conquistando il Messico è autorizzato a pensare, di primo acchito, che la notizia sia vecchia di 500 anni (mal contati). E invece il fatto è vero e vale per il presente: è in atto una specie di «Reconquista», per lo meno economica (ma in parte anche politica) dell’antico Vicereame del Messico, che per fare qualche esempio ha portato le banche iberiche Santander e Bbva a controllare il 40% del sistema del credito messicano, i gruppi energetici Iberdrola, Union Fenosa e Gas Natural a generare il 70% dell’elettricità del Messico e la stessa Gas Natural a posizionarsi come primo operatore nella distribuzione nazionale di metano, mentre la Repsol è in prima fila per acquisire una quota del monopolista pubblico Pemex in via di privatizzazione. Nei trasporti alcune società spagnole controllano svariati aeroporti messicani, incluso quello della capitale, e una compagnia di Madrid gestisce la ferrovia metropolitana di Città del Messico; in una lucrosa «nicchia» economica come la gestione della sicurezza privata, la spagnola Eulen si è aggiudicata la fornitura di questo servizio al già citato gruppo petrolifero Pemex e all’aeroporto internazionale di Città del Messico. Per non parlare dell’editoria, dove il vantaggio della comune lingua spagnola ha reso più facile al gruppo Prisa (quello che a Madrid pubblica El País) conquistare il controllo di diversi quotidiani e periodici messicani, diventare socio del mega-gruppo messicano Televisa (che dispone di canali televisivi e reti radiofoniche) e pubblicare attraverso le sue consociate il 40 per cento dei testi scolastici del Messico. E nel turismo la catena iberica Sol Melia si è annessa quella messicana Mayan Riviera, e altri imprenditori spagnoli controllano 127 grandi alberghi in tutto il Messico. Grazie a tutto questo la Spagna risulta oggi il secondo investitore internazionale in Messico (è superata solo dagli Stati Uniti) e in dieci anni l’interscambio commerciale è passato da uno a quattro miliardi di euro. All’invasione economica e culturale si aggiunge un dato politico: al momento il Secretario de Gobernación (carica che in Messico è considerata la seconda del Paese dopo quella di Presidente, in un sistema politico analogo a quello degli Stati Uniti in cui manca la figura del primo ministro) è un cittadino spagnolo di nascita, Juan Camilo Mouriño, che certo dispone anche di un passaporto messicano ma secondo gli oppositori a norma di Costituzione non potrebbe svolgere quella funzione, visto che la legge fondamentale del Messico riserva le più alte cariche pubbliche ai cittadini messicani di nascita oppure che rientrino in altre tipologie che non riguarderebbero (siamo sempre alle accuse) Mouriño. Questa possibile anomalia (diciamo solo «possibile» perché è meglio non addentrarsi nell’interpretazione delle leggi, sempre opinabile in Messico come in Italia) è scaturita da un’interferenza dell’ex premier conservatore spagnolo Aznar, il quale nelle elezioni messicane del 2006 si dichiarò a favore del candidato conservatore messicano Felipe Calderón (un’altra cosa discutibile sulla base della Costituzione del Messico, Paese molto suscettibile nei confronti delle ingerenze straniere) e quando Calderón vinse, Aznar gli caldeggiò la nomina di Mouriño a Secretario de Gobernación. La politica si salda all’economia perché la famiglia Mourinho controlla un impero economico bicontinentale che dall’originaria provincia spagnola della Galizia si è esteso al Messico, creando una fortuna soprattutto nel settore dell’energia. Di più vecchia data data è l’influenza dei 50 mila rifugiati dalla guerra civile spagnola che furono accolti in Messico negli Anni 30; all’epoca vennero battezzati i «Bolscevichi», ma adesso i loro discendenti sono protagonisti in quasi tutti i settori economici. E avendo conservato coscienza della loro origine spagnola possono essere considerati come una specie di testa di ponte in Messico della nuova Spagna post-franchista e democratica. tutto rose e fiori? No. Certo il periodo coloniale è lontano due secoli, e ormai i rancori storici sono sopiti, eppure in Messico c’è una parola per designare gli spagnoli («gachupín») che non è molto più gentile di «gringo» per riferirsi agli statunitensi. E se Winston Churchill poteva dire, per scherzo, che «inglesi e americani hanno tutto in comune, tranne, naturalmente, la lingua», la stessa cosa può dirsi di spagnoli e messicani: quando parlano si capiscono alla perfezione, ma l’accento e alcuni vocaboli sono differenti, e in Messico tengono a sottolineare di avere una lingua diversa dal castigliano. Che cosa vogliono ”sti gachupín? Stampa Articolo