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 2008  marzo 23 Domenica calendario

«Non mostro mai debolezza: combatterò contro ogni ostacolo». Parola di Mehboba Ahdyar, 19 anni, afghana, professione atleta

«Non mostro mai debolezza: combatterò contro ogni ostacolo». Parola di Mehboba Ahdyar, 19 anni, afghana, professione atleta. Mezzofondista per la precisione. Soprattutto: l’unica donna a rappresentare nei prossimi, controversi Giochi Olimpici di Pechino il suo ancor più controverso Paese, insieme a tre compagni (maschi) di squadra. Minacciata e ostacolata da numerosissimi connazionali (vicini di casa, ex talebani, perfino poliziotti), nonostante (o forse a causa) del ruolo prestigioso che svolgerà tra pochi mesi. Mehboba, che oggi vive in una casa di fango di uno dei quartieri più poveri di Kabul, ha scoperto l’atletica da bambina, sotto i talebani. Correva in cortile, allora, visto l’assoluto divieto per le donne non solo a dedicarsi a sport di ogni genere, ma a correre. E a mostrarsi prive di burqa. Profuga con la famiglia a Islamabad, nei parchi della grande città pachistana iniziò a far più sul serio, ma senza l’appoggio di allenatori o squadre sportive, che ora ha trovato. Tornata a casa ha così vinto varie corse nazionali (non ha mai gareggiato fuori dall’Afghanistan), l’ultima con un premio di ben mille dollari. Cosa che ha fatto riflettere qualcuno dei suoi detrattori. «Se c’è riuscita quella ragazza, perché non provarci anche noi?», hanno detto dei giovanotti del quartiere ai giornalisti che la volevano intervistare. Proprio la presenza di quegli «uomini stranieri» in casa degli Ahdyar ha creato nuovi guai alla famiglia della ragazza più veloce dell’Afghanistan. Dopo le telefonate anonime di minaccia, gli insulti della gente del quartiere, l’ostilità dei tanti (quasi tutti) ancora impregnati del maschilismo imperante con i talebani, ci si è messa pure la polizia. Lunedì scorso il padre di Mehboba è stato arrestato (e poi rilasciato), insieme a un giornalista francese e al suo interprete che si trovano in casa. Lei si è rifiutata di seguire la polizia, che ha rinunciato ad arrestarla. E ora chiede vendetta («naturale, è afghana», commenta un amico), ovvero l’arresto dell’uomo («sappiamo benissimo chi è») che aveva sporto denuncia. «Combatterò ogni ostacolo », ripete Mehboba, pensando probabilmente di non essere la prima a dover affrontare tanti problemi per correre. «Debuttante » afghana alle Olimpiadi era stata Robina Muqimyar, nel 2004, anno che aveva segnato il ritorno dell’Afghanistan ai Giochi, dopo che il regime talebano era stato bandito dalle Olimpiadi 2000 di Sydney. E subito prima c’era stata la centometrista Lima Azimi, stra-intervistata e coccolata dai giornalisti stranieri ai Mondiali di Parigi 2003 («sei l’apripista dell’emancipazione femminile afghana»). Glorie vicine, ma ormai passate. Adesso tocca a Mohbeba. Che foulard in testa, tuta a maniche lunghe e calzoni, insiste ad allenarsi nelle vie del quartiere (di notte), sulle colline sopra Kabul, nel deserto. Soprattutto allo stadio nazionale, dove gli studenti di Dio fucilavano i nemici e oggi la faccia del comandante-martire Massud sorride da immensi cartelli agli atleti del nuovo Afghanistan. Dalla parte della nuova promessa, più che i risultati sportivi (sui 1.500 metri il suo tempo è 4 minuti e 50 secondi, un minuto e passa oltre il record olimpico, sugli 800 non è meglio), ci sono le autorità, gli amici, la famiglia. «La presenza di atleti afghani ai prossimi Giochi è più importante di eventuali medaglie », dichiara il vicepresidente del Comitato olimpico afghano, Mohmood Dashli. «Mia figlia è un’eroina, l’ammiro e spero si piazzi bene a Pechino », dice la mamma, Moha Jan. Che aggiunge: «Siamo spaventati dalle minacce, certo, ma questo non ci impedirà di sostenere Mohbeba». Che ora, finalmente, partirà per allenarsi tranquilla e sicura in Malaysia. Cinque mesi di duro lavoro prima dei Giochi, lontana da Kabul, dagli (ex) talebani, dai maschilisti e dagli invidiosi. Cecilia Zecchinelli