Sergio Romano, Corriere della Sera 22/3/2008, 22 marzo 2008
Sono d’accordo sul fatto che gli americani avrebbero fatto meglio, per combattere Al Qaeda, ad allearsi con Saddam
Sono d’accordo sul fatto che gli americani avrebbero fatto meglio, per combattere Al Qaeda, ad allearsi con Saddam. Ma LEI dimentica che il dittatore iracheno fece l’errore di invadere il Kuwait, sostenuto dagli Usa. In quel periodo mi trovavo al Cairo e mi ricordo l’apprezzamento entusiasta verso gli Usa. Allora la sensazione era che gli americani non volessero infierire su Saddam. In quel momento, però, interferenze politiche contribuirono a un corso diverso degli avvenimenti. Forse avvennero per colpa proprio di qualche Paese europeo, come la Francia, che per garantire una propria presenza e per quella forma di antiamericanismo gollista, non mise i suoi buoni uffici al servizio di una riconciliazione. chiaro che la disunione occidentale è sempre stata la migliore arma di cui i fondamentalisti islamici si sono avvalsi, dato che non hanno il fine di creare uno Stato palestinese o di mettere pace nel Medio Oriente. Roberto Pepe roberto.pepe@tele2.it Caro Pepe, I l Kuwait aveva eccellenti rapporti con gli Stati Uniti, e poté riconquistare l’indipendenza grazie al loro aiuto. Ma gli americani, paradossalmente, dettero un involontario contributo al conflitto. Le cose andarono così. La guerra dell’Iraq contro l’Iran durò otto anni, dal 1980 al 1988, e svuotò le casse dello Stato iracheno. Saddam Hussein poté contare sull’aiuto finanziario di alcuni Paesi arabi (fra cui principalmente il Kuwait) egualmente interessati a impedire che lo Stato degli ayatollah divenisse la potenza egemone del Golfo Persico. Ma quando l’Iraq, nel 1990, chiese di rinegoziare l’accordo sui prestiti concessi durante la guerra, il governo dell’emirato rifiutò qualsiasi trattativa. E quando Saddam riaprì la questione dei confini fra i due Paesi (un vecchio contenzioso degli anni in cui la Gran Bretagna controllava entrambi) il Kuwait adottò lo stesso atteggiamento. Mentre l’Iraq lanciava segnali sempre più minacciosi e ammassava truppe alla frontiera, gli americani stavano a guardare. Si seppe qualche mese dopo che nei giorni di maggior tensione l’ambasciatore americano, la signora April Glaspie, ebbe un lungo colloquio con Saddam a cui disse, sulla base di istruzioni ricevute dal suo governo: «Non abbiamo alcuna opinione sui vostri conflitti interarabi, come il contenzioso con il Kuwait. Il segretario di Stato Baker mi ha chiesto di sottolineare ciò che avevamo già detto negli anni Sessanta: che la questione del Kuwait non ci concerne». Tradotta in linguaggio corrente quella frase sembrò significare che l’America, se l’Iraq avesse invaso il Kuwait, sarebbe rimasta alla finestra. Così, infatti, la interpretò Saddam. Questo episodio non giustifica la brutalità con cui il leader iracheno, qualche settimana dopo, invase e saccheggiò il Kuwait. Ma dimostra che le grandi crisi internazionali, non appena l’osservatore si avvicina all’evento e inforca gli occhiali, sono sempre più sfaccettate di quanto non sembri allorché le guarda da lontano. Sappiamo che cosa accadde nei mesi seguenti. Il presidente Bush sr. decise che occorreva reagire alla soppressione di uno Stato sovrano e mise in campo contro l’Iraq una straordinaria coalizione guidata dagli Stati Uniti. Ma dopo la liberazione del Kuwait e l’occupazione di una parte del territorio iracheno, ritenne che la distruzione del regime di Saddam avrebbe creato un vuoto politico di cui gli Stati Uniti, volenti o nolenti, sarebbero divenuti responsabili. Questa fu la parte positiva della sua politica. La parte negativa fu quella di perpetuare il conflitto assoggettando l’Iraq a un embargo difficilmente tollerabile e installando truppe americane in un Paese, l’Arabia Saudita, che custodisce i due principali luoghi santi dell’Islam. Non credo che il fondamentalismo islamico, allora fenomeno sporadico e marginale, sia stato indirettamente favorito dalle ambizioni golliste della diplomazia francese. Credo invece che sia stato fortemente alimentato dal sentimento d’indignazione di una parte del mondo musulmano per una presenza militare straniera nella penisola arabica che molti consideravano sacrilega.