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 2008  marzo 19 Mercoledì calendario

FELISA

FELISA Amedeo Milano 1946. Manager. Dal 2008 amministratore delegato della Ferrari. Laurea in Ingegneria Meccanica al Politecnico, importante dirigente all’Alfa Romeo, nel 1990 entrò in Ferrari come direttore tecnico divenendo l’artefice dei successi delle auto più vendute del Cavallino. «[…] amatissimo in fabbrica e non solo nel board, non ne ha sbagliata una. lui’ definizione non di uno qualsiasi: di Luca Cordero di Montezemolo – il papà delle Gran turismo. Nel senso che sì, è il presidente l’autore del successo Ferrari, è lui che ha trasformato un’azienda in cassa integrazione nel gioiello tornato a sfornare macchine da sogno. E sì, è stato Pininfarina a firmare il design simbolo del made in Italy. Ma Felisa era sempre lì. Accanto all’uno e all’altro (però fuori dai riflettori, che non ama), a seguire le ”creature” dal primo disegno abbozzato all’ultimo collaudo su strada. [...] lo si può chiamare un ”Montezemolo boy”. A Maranello ci stava da un anno – provenienza Alfa – quando nel ”91 il presidente arrivò con la mission, allora quasi impossibile, del rilancio aziendale prima ancora che sportivo. Non fa cose strane, per farsi notare: da buon ingegnere è concreto, pragmatico, sempre ”sul prodotto”. Ovviamente, proprio per questo Montezemolo lo nota. Lavorano insieme – Felisa come direttore tecnico – alle prime due vetture della svolta, quelle che diranno se davvero la Ferrari, insieme ai bilanci, si è giocata anche storia, passione, tradizione, mito. La risposta ha le linee della F456 e della F355. Due successi immediati. Il mito che comincia a riapparire. Felisa, da lì in poi, è l’indiscusso uomo delle Gt. Senza distrazioni: anche la F1 accende il suo tifo, chiaro, ma nel gioco di squadra ferrarista per lui è più laboratorio di tecnologia che bandiere e cappellini. Pure per questo, nel team che Montezemolo costruisce, per l’’ingegnere” crescono via via le responsabilità. A maggior ragione visto che mostra un altro talento: eccellenza tecnologica sempre, budget sforati mai. Anzi. [...]» (Raffaella Polato, ”Corriere della Sera” 19/3/2008).