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 2008  marzo 14 Venerdì calendario

L’Unità alla famiglia Caso. ItaliaOggi 14 marzo 2008. La famiglia Caso è in pole position per diventare la nuova proprietaria dell’Unità

L’Unità alla famiglia Caso. ItaliaOggi 14 marzo 2008. La famiglia Caso è in pole position per diventare la nuova proprietaria dell’Unità. Dopo una trattativa lunga e difficile, l’accordo potrebbe essere raggiunto e ufficializzato già dopo Pasqua. Secondo quanto risulta a ItaliaOggi infatti, tra i legali delle due parti girerebbero già alcune bozze di lettere d’intenti, pronte per essere firmate dopo la due diligence da parte dei compratori. Il prezzo? Sempre secondo indiscrezioni, il valore reale della transazione si aggirerebbe intorno ai 3-4 milioni di euro, ma Gian Gaetano e Fabio Caso, attraverso la Hopit, rileverebbero non la totalità del pacchetto azionario, bensì una quota di maggioranza, vicina al 60%. Una cifra così bassa sarebbe motivata dal peso di cause civili in corso stimabili intorno ai 60 milioni di euro. Una cifra, peraltro, smentita da fonti vicine agli imprenditori che vorrebbero, invece, accreditare la valutazione della testata intorno ai 23 milioni di euro. La voce che l’intesa fosse stata raggiunta è circolata già nella mattinata di ieri anche se non è stata confermata (ma nemmeno smentita) dai vertici dell’Unità. Contattata telefonicamente, Marialina Marcucci, amministratore delegato della Nie, la società che detiene il controllo del quotidiano della sinistra, ha così commentato: «La famiglia Caso è uno dei player che sono interessati all’acquisto del quotidiano, ma non confermo che sia stato raggiunto alcun tipo di accordo». Marcucci ha anche aggiunto: «l’aumento di capitale di due milioni di euro che abbiamo deliberato a luglio sarà sottoscritto dagli attuali soci». Le trattative tra la Nie e la famiglia Caso sarebbero però già in fase molto avanzata e l’unico ostacolo sarebbe di carattere tecnico: la due diligence da effettuare sui conti del quotidiano. Una formalità che potrebbe essere sbrigata nelle prossime settimane, per arrivare ad una firma dopo Pasqua. Anche nell’ipotesi di ingresso della famiglia Caso, sempre secondo indiscrezioni, Marialina Marcucci resterebbe in sella ai vertici del giornale. Il caso Dieci. Quello dei Caso non è un nome nuovo nell’editoria, nella quale avevano già provato a cimentarsi nel 2001, con l’esperienza del Globo, free-press romana fondata grazie a un finanziamento iniziale dell’Unione europea e poi chiusa dopo breve. Ma la loro incursione più famosa nel settore, soprattutto per le polemiche che ha generato, resta quella legata all’avventura di Dieci, il quotidiano sportivo diretto da Ivan Zazzaroni ed edito dai Caso insieme con Alberto Donati. Testimonial del quotidiano era stato Roberto Baggio, ma il progetto era finito rovinosamente, dopo 96 giorni in edicola, nel giugno 2007. La coppia Caso-Donati scoppio quasi subito (sembra per problemi legati alla ripartizione dei ricavi delle vendite in edicola) e questo fu un primo passo che affossò Dieci, a cui si aggiunsero gli stipendi dei trenta redattori assunti, rimasti bloccati per mesi, e il mancato pagamento degli altri collaboratori. Una vicenda che aveva scatenato non poche polemiche e che aveva visto anche Zazzaroni dimettersi come gesto plateale di difesa nei confronti della redazione. Con ripercussioni sindacali soprattutto per il modo con cui erano stati licenziati i redattori, «rei» di aver scioperato per chiedere il pagamento degli stipendi. Al loro rientro in redazione avevano trovato una lettera del presidente di garanzia di Editoriale Dieci, Mauro Conta ad attenderli sulla porta: «A seguito», si leggeva nel messaggio, «delle immotivate argomentazioni poste dal comitato di redazione e della conseguente decisione di astenersi dall’attività lavorativa, l’Editore ritiene che si renda necessario procedere al licenziamento per giusta causa di tutta la redazione di Dieci. Si riserva altresì di valutare una richiesta di danni subiti a causa della reiterata posizione assunta da tutta la redazione». Dopo l’uscita di Zazzaroni e il licenziamento dei redattori, il giornale non ha più ripreso le pubblicazioni. E la società è stata messa in liquidazione nell’ottobre scorso. La cassaforte di famiglia. Se i Caso dovessero ritentare la strada dell’editoria con L’Unità, sicuramente l’operazione passerà attraverso la Hopit, la cassaforte della famiglia. La holding nasce nel 2004 come finanziaria di partecipazione, e si struttura in due subholding: la Nettel spa, società attiva nel campo delle tlc e la Giornali Associati, che serve ai Caso per gli investimenti nell’editoria. Hopit, sul versante internazionale ha interessi in Nicaragua, dove è concessionaria delle ferrovie e dei trasporti intermodali con il Consorcio Ferronica SA; Russia, dove ha una partecipazione in una banca moscovita e in Montenegro. Quanto vale il gruppo? Ecco qualche numero: il capitale sociale della capogruppo Hopit spa è di 50 milioni di euro e nel 2006 ha registrato un utile netto di 466 mila euro. Utile che però deriva non dalla gestione operativa, il cui risultato è negativo per 481 mila euro, ma da proventi straordinari. Sempre nel 2006 l’intero gruppo ha registrato un utile di 56,4 mila euro a fronte di un risultato operativo negativo per oltre un milione di euro sempre per il motivo citato prima. I debiti consolidati del gruppo sono pari a 14 milioni di euro, di cui 12,7 milioni verso i fornitori. L’altro pretendente. Il nome dei Caso circolava da tempo nei corridoi dell’Unità, assieme a quello di Francesco Di Stefano, il fondatore di Europa7, anche lui interessato al quotidiano. Dopo l’abbandono della trattativa da parte degli Angelucci, il cdr aveva chiesto all’azienda di «perseguire strade che siano affidabili e che non si perdano altri mesi per non concludere niente». Lo stesso cdr poco più di dieci giorni fa aveva emesso un comunicato in cui invitata esplicitamente lo stesso Di Stefano in qualche modo a farsi avanti, esprimendo così la sua «preferenza» tra i possibili compratori rimasti. Di certo, fanno sapere dal cdr, «l’Unità non è un giornale che si può vendere a chiunque, a prescindere dalla sua collocazione politica». Jarvis Macchi