La Stampa 15 marzo 2008, Lucia Annunziata Andrea Bajani, La Stampa 12 marzo 2008, 15 marzo 2008
Insegnanti, studenti e il bisturi delle certezze. La Stampa 15 marzo 2008. Sono un’insegnante di matematica di ruolo da 15 anni al Liceo Scientifico
Insegnanti, studenti e il bisturi delle certezze. La Stampa 15 marzo 2008. Sono un’insegnante di matematica di ruolo da 15 anni al Liceo Scientifico. Faccio notare al Sig. Crepaldi che, in base al suo ragionamento, gli attuali insegnanti asini, per proprietà transitiva, dovrebbero aver avuto a loro volta insegnanti asini e via di seguito, fino alla nascita del sistema scolastico. Evidentemente il ragionamento è fallace. Io, pur consapevole dei miei limiti umani, non ritengo di essere asina, e le persone più colte e intelligenti che conosco sono tra i miei colleghi. Siamo una delle poche categorie dove sussistono ancora interessi spirituali, etici e culturali e non solo la ricerca dell’«utile», fondamento del tardo-capitalismo; siamo una categoria di «poveri», forse per questo poco rispettati dall’utenza, ma non di poveri di spirito. In compenso negli ultimi quindici anni ho patito e patisco una crescita esponenziale dell’asineria degli allievi, classe più, classe meno; le eccezioni ci sono sempre, ma insegnare, soprattutto matematica, è diventata una fatica massacrante. In merito a questa situazione, credo che le cause siano proprio quelle indicate da Andrea Bajani nel suo editoriale del 12 marzo, che condivido pienamente. Aggiungerei come concausa la massificazione dell’istruzione secondaria superiore, dove le scelte di indirizzo sono dettate spesso dalle ambizioni dei genitori e non dalle propensioni dei ragazzi. Famiglia e scuola hanno abdicato all’educazione in tutti i sensi. Per inciso, i giovani sono spesso molto maleducati nel significato più immediato del termine. La scuola da sistema educativo è diventata azienda, con scopi molto diversi e più triviali che quello di formare persone colte e critiche... Finché non si tornerà ad una scuola che esige e seleziona, ci saranno sempre più asini convinti che nella vita l’importante è sfangarla, magari disonestamente, come d’altronde la classe politica insegna. Cordiali saluti. FABRIZIA DE BERNARDI Perché sono «asini» i ragazzi? Colpa degli insegnanti, dei genitori, o degli stessi ragazzi? Queste domande tornano periodicamente nelle lettere, ma anche nel dibattito nazionale. Chi ha una risposta definitiva, è fortunato. I ragazzi, come sappiamo, sono materia viva, al massimo della sua complessità. Sono esseri umani, e dunque unici, nel momento più delicato della vita: la crescita. Parlano poco, sono pieni di euforie e insicurezze, sfuggono il mondo degli adulti, e ne chiedono l’attenzione. Difficile il compito dei genitori e degli insegnanti. Non c’è una formula «sociale» per spiegare tutto questo: la massificazione, la caduta della buona educazione, la mancanza di rispetto degli insegnanti. Tutto vero e tutto misteriosamente non vero di fronte a ogni caso singolo di rapporto fra persone. Rispondo così non per sfuggire, ma per rammentare di non usare in questioni così delicate il bisturi delle certezze totali. So che ne riparleremo. Lucia Annunziata ASINI A SCUOLA (E A CASA). La Stampa 12 marzo 2008. La scuola italiana è rimasta schiacciata sotto le macerie del discredito di istituzioni e famiglia. Gli studenti italiani, riportano le pagelle vergate alla fine del quadrimestre, sono per la maggior parte somari, con debiti formativi trascinati come palle al piede, lacune che sembrano mari, e un generale disinteresse nei confronti di chi sta dietro la cattedra. Le cronache, le indagini degli psicologi, le tabelle, e i grafici a torta dipingono una gioventù patologica allo sbando, picchiatori voyeuristi nei gabinetti scolastici, compulsivi smanettatori persi nei meandri di Internet o nell’isteria da pollice opponibile della messaggistica cellulare. E appunto somari a scuola, voti bassi e facce da chissenefrega. E la scuola va giù, si grida al palazzo che crolla, il fumo che viene su quando l’edificio si schianta al suolo, e intorno è tutto un unanime urlare allo scandalo. Come fosse per caso che è saltato in aria, o come fossero gli stessi ragazzi, o soltanto loro, ad avere innescato l’ordigno, ad averlo messo a ticchettare sotto la scuola. Che è un modo tutto sommato rassicurante per assistere al crollo, e magari farci anche qualche foto ricordo, un buon modo per dire: «Ai nostri tempi era diverso». E invece la scuola è venuta giù erosa giorno per giorno da un’idea di istruzione messa all’asta del migliore offerente, percepita come un servizio da negoziare nel rapporto con studenti che da studenti son diventati clienti. Perché la scuola italiana è franata con i presidi che imbavagliano gli insegnanti nell’esercitare il loro rigore per paura che i clienti se ne vadano alla concorrenza, magari parlando con i giornali, gettando una cattiva luce sull’istituto. La scuola italiana è franata sotto le pressioni dei genitori che arrivano a scuola contestando in cagnesco i voti troppo bassi dei figli, il carico eccessivo di compiti a casa, persino le correzioni delle versioni latine. La scuola italiana è franata con gli sms e le telefonate delle mamme e dei padri italiani in orario scolastico per raccomandare ai figli di andare a mangiare dalla nonna, piuttosto che di comprare il pane prima di tornare a casa. Mi chiedo, senza che questo deresponsabilizzi in alcun modo i ragazzi, come è possibile che gli studenti riconoscano un qualche ruolo a un’istituzione che da tutti è vissuta quale un qualsiasi servizio superfluo, alla stregua di una compagnia telefonica, una catena di negozi di abbigliamento, una discoteca, o un cinema multisala? Perché la scuola italiana è rimasta schiacciata sotto le macerie di chi ha smesso di crederci, prendendo a picconate sistematiche, con la logica finanziaria dei debiti e dei crediti, delle transazioni formative, delle negoziazioni pedagogiche, la crescita culturale di un Paese che rischia di rimanere bloccato. Perché a vedere quelle pagelle, quel disinteresse, quel disincanto, non si riesce a pensare all’Italia futura, di cui ci si riempie la bocca quando si parla dei giovani. In quelle insufficienze, e in quelle facce si vede tutto il disincanto e il menefreghismo degli adulti. Andrea Bajani