La Stampa 15 marzo 2008, Piero Bianucci, 15 marzo 2008
CUPOLE DI LUCE CI HANNO RUBATO LA STELLA POLARE
La Stampa 15 marzo 2008.
Domani è la Giornata nazionale dei Planetari, mirabili macchine che proiettano stelle e pianeti su una cupola simulando la volta celeste. In Italia tra grandi e piccoli ne abbiamo un centinaio. Storico è quello donato da Hoepli nel 1930 alla città di Milano. Torino da qualche mese ha un planetario ad alta tecnologia digitale accanto all’Osservatorio astronomico sulla collina di Pino. Roma, dopo una lunga attesa, qualche anno fa è riuscita a riconquistare il suo planetario. Sono strumenti didattici dal fascino potente, che permettono a tutti di prendere confidenza con lo spettacolo dell’universo. Ma proprio perché hanno tanta presa sul nostro immaginario e sulla nostra intelligenza, fanno venire il desiderio di vedere gli astri veri, di entrare in contatto con il cosmo tramite quei sottili raggi di luce che raggiungono i nostri occhi da distanze abissali.
Bene. Torino, Milano, Roma sono città a cinque stelle. Andrebbe benissimo se fossero alberghi. Ma le stelle in questione non c’entrano con il turismo, sono quelle reali. L’inquinamento luminoso, buon alleato delle polveri sottili, le sta cancellando in un chiarore lattescente che fa della notte un perenne crepuscolo. Nei paesi sviluppati la luce dispersa verso l’alto raddoppia ogni dieci anni. La Stella Polare che guidò Ulisse e Cristoforo Colombo è già scomparsa dai cieli delle città. Ora toccherà anche alle stelle più brillanti. facile calcolare che di questo passo nel 2050 dalle regioni abitate non si potrà vedere più nessuna stella, neppure Sirio, la più luminosa del cielo.
Chiunque abbia volato di notte sa che le luci delle città e delle strade disegnano perfettamente la geografia che scorre sotto l’aereo. Su Milano, Roma, Torino, Napoli si innalzano cupole di luce visibili a trecento chilometri di distanza. Certo, esistono forme di inquinamento più gravi per la salute e più minacciose per il destino del pianeta. I gas-serra rischiano di modificare il clima, i liquami si infiltrano nelle falde acquifere, la diossina dei rifiuti bruciati nelle strade causa malformazioni nei bambini che stanno per nascere. Ma l’inquinamento luminoso compie un misfatto più sottile, che riguarda le emozioni e la cultura. Il cielo è bellezza. l’altra metà del paesaggio. Soprattutto, è la finestra della Terra aperta sull’universo, l’unica finestra che ci permetta di guardare fuori.
Ancora trent’anni fa, era abbastanza facile vedere la Via Lattea, una scia di stelle che va da un orizzonte all’altro: è la nostra galassia, trecento miliardi di astri come il Sole, una metropoli stellare a forma di girandola, larga centomila anni luce. Ma se il cielo è buio, l’occhio umano può spingersi molto più lontano: riusciamo a vedere la galassia di Andromeda, a oltre due milioni di anni luce da noi. Ciò significa che quando la luce che ora raggiunge i nostri occhi è partita da quella galassia, la nostra specie, Homo sapiens, non era ancora apparsa, nelle savane si aggirava Homo erectus. La visione del cielo, insieme con l’emozione estetica, fa nascere le domande più profonde della filosofia e della scienza sull’origine dell’universo, l’evoluzione dell’uomo, il senso dell’esistenza. Senza lo spettacolo delle stelle la scienza, la letteratura, l’arte, la poesia non sarebbero le stesse.
Per avere notti più buie non è necessario ridurre l’illuminazione delle strade e delle città. Basta orientare la luce dove serve, verso il basso, e impedire che se ne disperda verso l’alto. In questo modo, solo in Italia, si potrebbero risparmiare 300 milioni di euro in energia elettrica migliorando nello stesso tempo l’illuminazione pubblica. Eppure lo spreco di luci continua. Amministratori pubblici e privati illuminano dal basso verso l’alto palazzi e monumenti. Molte discoteche per richiamare il loro pubblico sparano verso lo spazio potenti raggi laser. Aziende specializzate offrono pubblicità come se il cielo fosse uno schermo a loro disposizione.
Questi comportamenti fanno sorgere, almeno provocatoriamente, una questione giuridica: di chi è il cielo? Delle amministrazioni comunali, delle discoteche, dei pubblicitari? Il comune senso del diritto fa piuttosto pensare che il cielo sia di tutti. E infatti nel 1992 l’Unesco lo ha proclamato «patrimonio dell’umanità». Se amministratori e cittadini se ne ricordassero, non sarebbe male.
Piero Bianucci