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 2008  marzo 15 Sabato calendario

Aerei e telefoni nei guai. Corriere della Sera 15 marzo 2008. Le difficoltà di Alitalia e Telecom, di gravità diversa ma di uguale clamore, fanno emergere quali siano i danni generati dalle tendenze ondivaghe e conservatrici dei governi nella regolazione dei mercati e nella politica industriale

Aerei e telefoni nei guai. Corriere della Sera 15 marzo 2008. Le difficoltà di Alitalia e Telecom, di gravità diversa ma di uguale clamore, fanno emergere quali siano i danni generati dalle tendenze ondivaghe e conservatrici dei governi nella regolazione dei mercati e nella politica industriale. Al momento, la compagnia di bandiera appare in bilico tra l’offerta d’acquisto di Air France-Klm e il ricorso alla legge Marzano per evitare il rischio di depauperare l’impresa di fronte ai creditori. L’ultima parola spetterà al nuovo governo, ma la proposta francese è ormai fatta e il consiglio di amministrazione di Alitalia, che ha già varato un piano provvisorio gradito a Parigi, dovrebbe dire la sua prima delle elezioni. La prospettiva dell’amministrazione straordinaria parla da sé. Ma anche la cessione ad Air France rappresenta una sconfitta epocale per l’Italia più che per chi sta curando l’ultima fase. Si potranno criticare il premier Romano Prodi e il ministro dell’Economia, Tommaso Padoa-Schioppa, che pure hanno avuto il merito di non metterci più un euro, per aver tentato di privatizzare Alitalia attraverso un’asta piena di condizioni che oggi, non essendosi presentato nessuno, sono scomparse nella trattativa privata con monsieur Spinetta. La verità è che, negli ultimi 20 anni, Alitalia ha bruciato ricchezza per 15-16 miliardi ove si consideri il costo dei capitali impiegati per lo più dallo Stato, con la complicità dell’arco costituzionale e del resto. Fino a metà anni 90, la classe politica italiana ha sostenuto la resistenza conservatrice del management contro la liberalizzazione dei cieli favorendo, tuttavia, il proliferare clientelare dei piccoli aeroporti. E quando, provvisoriamente risanata da Domenico Cempella, Alitalia riuscì a pattuire una fusione tra uguali con l’olandese Klm che avrebbe lanciato Malpensa come hub, Roma e Milano riuscirono a confondere tanto le carte che gli olandesi pagarono pur di uscirne. Alitalia è finita così, perché non c’è stata un’idea generale dell’industria del trasporto aereo e la politica ha temuto che la fusione diluisse la partecipazione dello Stato determinando la privatizzazione della società. E pensare che la stessa classe politica privatizzava Telecom, Autostrade, Fiumicino e scendeva al 34% di Aem a Milano! La liberalizzazione è comunque arrivata. La quota di mercato domestico di Alitalia è scesa sotto il 50% con il resto sparpagliato tra capitalisti senza capitali. E ora, con Air France, Alitalia non viene nemmeno privatizzata, ma consegnata alla compagnia di bandiera francese, controllata dal governo di Parigi e largamente monopolista sul mercato interno. Non è una beffa? Nello stesso periodo, la fine degli anni 90, in cui Alitalia affronta obtorto collo la deregolazione dei voli, su impulso dell’Unione europea parte la liberalizzazione delle telecomunicazioni. In questo contesto, la Telecom viene privatizzata con l’obiettivo prioritario di fare cassa e senza preoccuparsi delle prospettive industriali: in particolare, senza considerare che un soggetto capace di generare un autofinanziamento così grande, e con un debito così piccolo, sarebbe diventato preda di ogni speculazione anziché soggetto di sviluppo nazionale e internazionale. Mentre la regolazione cambiava più volte orientamento, l’Italia ha affidato il futuro delle telecomunicazioni, che sono servizio ma anche rete, al mero confronto tra l’Autorità delle Comunicazioni e l’ex monopolista che ha cercato, com’è nel dna di tutti gli incumbent, di catturare il regolatore ottenendo non di rado l’effetto contrario. Ora il pensiero liberalizzatore discute dell’opportunità di scorporare l’infrastruttura non replicabile dal servizio. Ma più ancora del commissario europeo Viviane Reding, sono le banche d’affari ad augurarsi un simile esito in Telecom. E’ loro convinzione che la rete potrebbe essere ceduta in larga parte, magari anche in Borsa, a prezzi vicini a quelli delle utilities, e dunque più alti dei corsi delle telecomunicazioni. L’approccio finanziario non è ingiustificato, tanto più che la legge finanziaria 2008 fa venir meno alcuni problemi fiscali. Del resto, a questi prezzi, Telecom è di nuovo tecnicamente scalabile non solo dal partner Telefonica ma anche, in teoria, dai fondi di private equity. Certo, di questi tempi non è facile reperire finanziamenti, ma va anche detto che, dati i vincoli patrimoniali, le banche italiane faticherebbero a erigere barriere. La difesa di Telecom passerebbe allora alla politica. E lo scorporo della rete, da provvedimento lungimirante del riformismo liberalizzatore, diventerebbe una poison pill nazionalista. Forse ci vuole altro. Sul Sole 24 Ore, Mauro Sentinelli, uno dei grandi delle telecomunicazioni, ha illustrato Ubiquitous Japan, il nuovo progetto per collegare tutti i giapponesi in larghissima banda, fino a 100 megabit al secondo. Il governo di Tokio stima che generi 1.500 miliardi di dollari di prodotto interno lordo aggiuntivo, un terzo del pil attuale. Ma servono 50 miliardi di investimenti, soprattutto a opera di Nippon telegraph and telephone. E poiché i benefici sono a pioggia e per Ntt c’è poco, lo Stato darà sussidi legati al progetto, e sorveglierà da vicino. L’Europa e l’Italia, conclude Sentinelli, dovrebbero pensarci. Aggiungiamo noi: come non è bastato proclamare hub Malpensa e sventolare il tricolore per avere un aeroporto perno di sviluppo e una grande compagnia di bandiera, ma ci sarebbe voluto un buon progetto com’era Alitalia-Klm, così allo Stato italiano non basterà ragionare sulla rete delle telecomunicazioni in termini finanziari o nazionalistici senza un’idea industriale forte alle spalle. Massimo Mucchetti