Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2008  marzo 14 Venerdì calendario

Il grande affare della dialisi. Corriere della Sera 14 marzo 2008. In un’Italia economicamente in crisi e con i conti della spesa pubblica che non quadrano, una delle voci «in attivo » e in costante aumento in quanto a redditività è quella dei malati di rene che per vivere hanno bisogno di un filtraggio artificiale del sangue due o tre volte alla settimana per l’intera vita

Il grande affare della dialisi. Corriere della Sera 14 marzo 2008. In un’Italia economicamente in crisi e con i conti della spesa pubblica che non quadrano, una delle voci «in attivo » e in costante aumento in quanto a redditività è quella dei malati di rene che per vivere hanno bisogno di un filtraggio artificiale del sangue due o tre volte alla settimana per l’intera vita. Salvo trapianto di rene o di reni. Dai 45 ai 50 mila italiani sono in queste condizioni per un costo totale a carico del servizio sanitario nazionale che va da un minimo di un miliardo e 800 mila euro a 2 miliardi e mezzo di euro. Ogni paziente dializzato costa al Servizio sanitario nazionale minimo 40.000 euro l’anno. Soldi obbligati perché di salute si tratta. E cifre in aumento perché per prevenire le malattie renali poco si fa e perché poco più si sta facendo per incrementare i trapianti di rene proprio nelle Regioni dove più alta è la spesa per la dialisi. Dove da vent’anni a questa parte è questo il settore della sanità in cui il privato, convenzionato o no, trova sempre più spazio operativo e di guadagno. E il privato spesso coincide con le multinazionali che producono materiale di consumo per i cosiddetti «reni artificiali». Perfino la più economica dialisi peritoneale, che il malato può fare da solo e dovunque, trova poca promozione in un Paese che sembra prediligere la via più costosa e vincolante soprattutto per quei malati impegnati in attività che prevedono continui spostamenti e che non possono vivere ancorati a quei due, tre appuntamenti salvavita alla settimana. Malati che prima o poi trovano liberatorio il trapianto dopo un’attesa in lista che mediamente può superare i tre anni. Il problema è che i conti non sembrano tornare tra i nuovi malati che finiscono in dialisi e quelli trapiantati: più che raddoppiati i primi negli ultimi 10 anni. Da 20 mila a 45-50 mila. E allora? Il futuro è da bancarotta. A meno che… Due le strategie finora disattese, o attivate più a parole che nei fatti. Prevenzione delle malattie renali e aumento dei trapianti di rene. E ricerca in campo nefrologico. I numeri: almeno il 10% della popolazione dei Paesi industrializzati soffre di deficit della funzione renale. Soltanto in Italia, si contano 5 milioni di malati. Altri 5 milioni sono a rischio deficit renale e non lo sanno, anche perché la degenerazione è silente e fino a quando parte dei due reni funziona nessuno vuole certo immaginare il peggio. E’ anche scaramantico. Il caso Campania La Campania è maglia nera in tutte le voci che riguardano i reni. Un campano su cinque non li considera organi vitali, e uno su due non conosce l’insufficienza renale, che però in questa Regione colpisce oltre 600 mila abitanti. Un milione in Lombardia, dove però i trapianti si fanno e i posti dialisi pubblici sono predominanti (solo il 15 per cento i privati) per gli oltre 7.000 dializzati. In Campania invece i dializzati sono oltre 5.000 assistiti nell’82 per cento dei casi in centri privati (la Sicilia segue con il 76 per cento, poi il Lazio con il 53). Con costi che vanno da 155 a 350-400 euro a seduta. Ogni Regione ha le sue tariffe ambulatoriali. E le multinazionali scendono in campo: i produttori di filtri, aghi, materiali di consumo, offrono dialisi a prezzi stracciati in loro centri. Alcune ne hanno 100-150 in Italia. Comprano quote dialisi e guadagnano su questa voce della sanità. Lo studio Usa In altri Paesi industrializzati a volte la logica del profitto fa risparmiare su materiali e qualità del personale, con una mortalità più alta che nel pubblico (lavoro pubblicato sulla rivista americana Jama). Uno studio fatto su un numero enorme di ammalati in dialisi negli Stati Uniti. Tutti in centri privati: un po’ non-profit, la maggior parte for-profit. Ne è venuto un dato allarmante. Nei centri for-profit si muore di più, al punto che se da domani tutti quelli che fanno dialisi negli Stati Uniti si rivolgessero solo a strutture non-profit ci sarebbero ogni anno, fra i dializzati, 2.500 morti in meno. «Forse perché – spiega Giuseppe Remuzzi, nefrologo e trapiantologo degli Ospedali Riuniti di Bergamo – nelle strutture for-profit si risparmia sui farmaci oppure si riduce il tempo di dialisi. Ma tutti i medici sanno benissimo che se si riduce il numero di ore di dialisi si muore di più. Chi si affida a centri dialisi for-profit ha anche meno probabilità di avere un trapianto di rene. Dato che la dialisi rende, i centri non hanno grande interesse ad avviare i pazienti a una lista di trapianto». Eppure il privato for-profit per la dialisi si sta diffondendo in tutto il mondo: America Latina, Europa e Asia. Ma farsi curare in un ospedale di Milano o in un centro privato del Sud è la stessa cosa? Forse sì, forse non si rischia quanto negli Stati Uniti. Colpisce però che il pubblico sia scarsamente presente in un settore da investimento. E il «povero» Sud forse non risparmia: meno trapianti, meno donatori, meno informazione ai fini di prevenzione, più malati che ogni anno finiscono in dialisi, più guadagni per chi ha posti dialisi, più costi per il Servizio sanitario che comunque paga. Sì perché in Italia, a fine 2007, erano stati trapiantati 1.588 reni e 6.804 malati erano in lista d’attesa. Ma mentre in Toscana i donatori sono oltre 40 per milione di abitanti (35 la Spagna, 21 il totale dell’Italia), in Campania sono circa 10. E chi si oppone supera i 40. Come mai? I donatori da vivente poi sono così pochi che la media italiana è di 5,7 contro i 44 della capofila Svezia. La ricerca Nel campo della ricerca i medici italiani sono all’avanguardia. L’ultima scoperta, dai risvolti interessanti, è quella condotta dalla Fondazione D’Amico per la Ricerca sulle malattie renali. Dopo cinque anni di studio sui podociti (le cellule renali che svolgono un ruolo chiave nel meccanismo di filtraggio) i ricercatori hanno rilevato che queste cellule utilizzano per comunicare una serie di meccanismi simili a quelli dei neuroni. E che il sistema di comunicazione dei podociti è coinvolto nella perdita delle proteine nelle urine, fenomeno comune nella maggior parte delle malattie renali a cominciare dalla nefropatia diabetica. In vitro si è visto che fattori di crescita dei neuroni a contatto con i podociti renali danno a questi ultimi «ordini» rigenerativi. Nei topi stesso risultato. La milanese Fondazione D’Amico va avanti: dal cervello potrebbe arrivare la cura per evitare il finale in dialisi. La geografia delle donazioni In Toscana i donatori sono 40 per milione di abitanti, in Campania solo 10. E quelli che si oppongono decisamente superano i 40% Mario Pappagallo