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 2008  marzo 15 Sabato calendario

Mankell. La Repubblica 15 marzo 2008. Fredrik è un uomo-isola in cerca di espiazione. Un tempo, dopo la catastrofe, sognava di porre fine ai suoi giorni

Mankell. La Repubblica 15 marzo 2008. Fredrik è un uomo-isola in cerca di espiazione. Un tempo, dopo la catastrofe, sognava di porre fine ai suoi giorni. Il terremoto esistenziale - scopriamo a metà libro - consisteva nell´aver amputato a una donna il braccio sbagliato: all´epoca Fredrik era un chirurgo. Ma invece di suicidarsi ha scelto la solitudine immota di un´isoletta al largo di Stoccolma. Qui ogni mattina rompe il ghiaccio per immergersi in un buco d´acqua scura, rito che non riesce a lavare le sue colpe. Però la vita è più forte: prima dal suo passato affiora l´ex amata, poi Fredrik scopre di avere una figlia adulta, poi ritrova la vittima del suo intervento chirurgico sbagliato... E tutto si ricompone in un angoscioso puzzle dell´anima, con l´esito di un giallo psicologico imprigionato nel candore abbacinante dell´inverno svedese. S´intitola Scarpe italiane (ricorre la metafora della calzatura perfetta che avvolge e sostiene il piede come «la mano morbida dell´amore che delicatamente spinge il destino») l´ultimo, straziante romanzo di Henning Mankell, scrittore di vasto successo grazie alla serie sul commissario Kurt Wallander, protagonista di nove episodi tradotti in 38 lingue e capaci di vendere 25 milioni di copie. Celebrato non solo per il suo Maigret scandinavo (tra i suoi titoli recenti figurano il romanzo storico Il ritorno del maestro di danza e Il cervello di Kennedy, viaggio infernale sulle tracce dei crimini generati dalla speculazione sull´Aids in Africa), Menkell, nato a Stoccolma nel 1948 e cresciuto nell´algida zona dello Härjedalen, si divide tra la Svezia e il Mozambico, dov´è regista teatrale. Scrittura secca, climax da tragedia greca, spleen di una società ormai orfana di gioia: è forse lui l´autore più notevole del fortunato filone del mistery nordico. Mankell, quali sono le motivazioni di un romanzo desolato come Scarpe italiane, col suo senso di morte persistente? « la storia di un vecchio, della donna che amò da giovane e dell´ultimo periodo vissuto insieme prima della morte di lei, quando il protagonista viene messo a confronto con la vita da cui ha cercato di fuggire. Soprattutto è una storia sulla dignità, sul diritto di innamorarsi a più di cinquant´anni e sulla passione e il dolore che questa condizione può provocare. L´età dei personaggi è un elemento fondamentale per capire il libro. terrificante il culto della giovinezza che domina la nostra società. Non si apprezzano la saggezza dei vecchi e l´esperienza che possono trasmettere». Aleggia nel romanzo l´influsso di suo suocero Ingmar Bergman (lei ha sposato la regista teatrale Eva Bergman, figlia di Ingmar e della danzatrice Ellen Lundström). Che rapporti avevate? «Ho passato con lui varie estati nell´isola di Farö, dove girò Persona e L´ora del lupo. Paesaggi piatti e pietrosi che rammentano quelli africani. Eravamo grandi amici e parlavamo molto di musica, in particolare di Bach. La musica è parte importante del processo creativo, e a me piace filosofare sulle sensazioni uniche che può darci». Da oltre vent´anni lei vive tra la Svezia e l´Africa, scelta contraddittoria e presumibilmente faticosa. «Due osservatori sul mondo così distanti possono aiutarmi a capire come vanno le cose. Da giovane andai in Africa perché sentivo il bisogno di una prospettiva lontana dall´egocentrismo europeo, ed è ancora questo il motivo che mi fa vivere nel continente, dove abito al 70 per cento. Non si tratta di una scelta romantica. Sono convinto che l´esperienza africana abbia fatto di me un europeo migliore». Perché proprio il Mozambico? «Fui invitato a seguire la costruzione del primo teatro del paese, e ora vi lavoro da un paio di decenni. Monto i miei spettacoli e sono consulente di Manuela Soeiro, meravigliosa direttrice del Teatro Avenida di Maputo. Lavorare con attori neri, e constatare come recitare sia uguale in tutto il mondo, è per me un´avventura fantastica. Il teatro non chiede a nessuno di che colore abbia la pelle! Quando m´interrogano sulla differenza tra teatro europeo e africano rispondo: nessuna! Ma cambia il pubblico. Il 75 per cento della gente in Mozambico è analfabeta. Il che ovviamente fa una grande differenza». I suoi romanzi africani, da L´occhio del leopardo a Il figlio del vento, esprimono in modo esplicito il suo impegno politico e sociale. «In questi anni è diventato evidente che tutti i problemi dell´Africa, così come i suoi punti di forza, non vengono diffusi dai mass media europei: fatto che è già di per sé un tema. Per questo mi sono occupato sempre più dell´Africa nelle mie diverse dimensioni di scrittura: saggi, romanzi, cinema, teatro e giornalismo». Qual è stata la sua formazione? Le biografie parlano di un padre giudice che sarebbe all´origine della sua curiosità per il crimine e della sua competenza sui sistemi legali. «Un anno dopo la mia nascita, mia madre fece quello che a volte fanno gli uomini: se ne andò di casa. Mi crebbe mio padre, uomo energico e gentile, il cui interesse prioritario non erano i delitti ma la musica, passione che condivido. Amo Miles Davis, Charlie Parker e la lirica. Quanto mi piacerebbe scrivere nello stesso modo in cui Parker suona! Avevo sei anni quando mia nonna mi spinse alla scrittura, e fu esaltante scoprire di poter mettere le parole una dopo l´altra costruendo una frase, poi un´altra, ed ecco nascere una storia. Scrivere divenne per me un obiettivo assoluto». Quando iniziò a farlo professionalmente? «Lasciai la Svezia giovanissimo, nel ”66 ero a Parigi. Vi andava chiunque volesse intraprendere la carriera letteraria, così come i pittori dovevano andare a Roma. Sopravvivevo con lavori da immigrato mal pagati, ma fu in quel periodo che imparai a prendermi cura di me stesso. Nel ”68 tornai a Stoccolma e scrissi il primo dramma teatrale, The Amusement Park, e avevo 24 anni quando uscì il primo romanzo, The Stone-Blaster». Il personaggio che ha creato, l´ispettore Wallander, grasso e lento, è stato spesso paragonato a Maigret, e lei non sfugge a confronti con Simenon. «Scrittore immenso. Ma mentre le sue storie narrano soprattutto i crimini e non parlano della società, io uso il delitto come specchio del mondo dalla caduta del Muro in poi. Nei miei libri, la cui prima fonte d´ispirazione è la tragedia greca, coi suoi schemi e la sua forza, cerco anche di affrontare la complessità del rapporto tra democrazia e sistema giudiziario, problema comune ai paesi europei. Mi riferisco agli scandali e alla corruzione di polizia e magistratura. Se la giustizia è corrotta è inevitabile che si perda fiducia nella democrazia». Sembra che la popolarità di Wallander sia clamorosa in Svezia. «Quando gli svedesi furono chiamati a votare per l´Unione europea, in tanti mi chiesero come avrebbe votato Wallander. un anti-eroe, volubile e molto umano, capace di cambiare in ogni libro così come facciamo noi da un giorno all´altro. Facile identificarsi». Lei è fertilissimo: quanti romanzi ha scritto? «Quaranta, e il 25 per cento sono polizieschi. Il prossimo, The Chinaman, è una crime story sulla Cina odierna e la spaventosa posizione di potere che sta acquisendo nel mondo». LEONETTA BENTIVOGLIO