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 2008  gennaio 10 Giovedì calendario

Maria divina Medea. L’espresso 10 gennaio 2008. Fra le innumerevoli celebrazioni in memoria di Maria Callas (trent’anni che ci manca

Maria divina Medea. L’espresso 10 gennaio 2008. Fra le innumerevoli celebrazioni in memoria di Maria Callas (trent’anni che ci manca...), particolarmente ’pregnante’ fu la testimonianza personale e professionale e addirittura ’tecnica’ degli amici e colleghi che le furono accanto, attenti, per tutta la carriera. Siamo all’Opera di Roma. Carla Fracci e Beppe Menegatti, che condivisero giovanissimi il difficile ma poi trionfale debutto della mitica ’Sonnambula’, nel 1955, ricordano le sapienti minuzie nell’insegnamento di Luchino Visconti. Le acconciature e i gesti dovevano riprodurre le figure e pose codificate delle più celebri danzatrici nel ’balletto bianco’ neoclassico. In scena, le più accorte coriste suggerivano impercettibilmente le note perfette per gli ’attacchi’. E nelle prove, ad ogni generico ’Ah’ il Conte replicava ’B!’, e poi offriva magnifiche lezioni sulle diverse espressività specifiche di ciascuno fra i numerosissimi ’Ah!’ nel repertorio melodrammatico, oltre al fatidico ’Ah, non giunge uman pensiero’. Franca Valeri esalta la bravura di quel magico istinto scenico rapido nel virare ogni accidente o handicap (soprattutto per la vista scarsissima) in attimi di drammaticità struggente. Sia nella ’Lucia di Lammermoor’, dove (guidata da Karajan) la sua follia si stagliava solitaria contro sfondi proiettati ed evanescenti; e sia nella leggendaria ’Medea’ ove le toccava scendere (cantando) gradini enormi curando le pieghe e lo strascico di un manto pesante. Lo rievocava lei stessa, al tempo della ’Medea’ di Pasolini, con manti ugualmente impegnativi. Ma per l’ultima ’Medea’ scaligera, già terminale benché solo nel ’61, due baluardi come Thomas Schippers e Jon Vickers non furono bastanti per ridarle quella sicurezza sovrana. (E lì vicino, all’Hotel Continental, rammento l’indifferenza di Vittorio De Sica per una divissima lì a due passi). Ancora con Visconti, in quella ’Traviata’ giustamente fantastica, intatto nelle repliche appariva involontario e autentico quel trasalimento della sua Violetta davanti al giovane Ettore Bastianini come Papà Germont che faceva esclamare alle signore "la poveraccia capisce che il padre è meglio del figlio", e ai signori "si vede che si erano già conosciuti quando lei stava ancora in casino". Ma nell’estrema ’Tosca’ a Parigi, chissà se fu un ’effetto zeffirelliano’ il trasalimento della poveraccia quando il suo abituale partner Tito Gobbi, Scarpia bellastro e sexy, le punge una chiappa con la penna del fatale salvacondotto; e lei, sempre senza lenti a contatto, dovendo recuperare il salvacondotto e la borsa e i guantini, fa un bel casino autentico rovistando ciecamente su un tavolo pieno di suppellettili. Parve infine un ’effetto’ non di regìa ma di magìa ellenica, quella celebre tempesta che rovesciò fiumi di pioggia - in pieno luglio, nell’Argolide sitibonda - sopra la sua ’Norma’ a Epidauro, e su migliaia di eleganti internazionali con acconciature e gioielli a bagno e al buio in un fangoso pantano... Un tipico sortilegio da Medea? Contro la più grande di tutte le Medee? Già. Colpevole di un sincero e disperato amore per quell’Onassis che (secondo le migliori amiche) per ostentare snobisticamente la diva al suo fianco ne rovinò la dedizione a quello studio perfezionistico quotidiano che trasformava una persona umanissima e quasi semplice in una mitica sovrumana belva scenica... (...Mentre i piccoli fans milanesi, anni prima, si confidavano: ti passa il mito e il cult, vedendo la Signora Mariuccia nel ’Barbiere di Siviglia’, perchè lei(?) pare un carabiniere vestido da Rosina...). Quando si era bimbi, tanto tempo fa, le vedove e gli orfani dei Caduti nella Grande Guerra, in apposite divise, marciavano in testa ai cortei e assistevano dal palco delle autorità a molti riti cerimoniali con discorsi e fiaccole, per oltre un ventennio di ossari e sacrari sistematici, con cippi e lapidi sul territorio. Dopo il ’45, mai niente di simile. Anni e anni dopo, ecco apparire le commemorazioni dell’Olocausto. Ancora in seguito, molto più recentemente, le mamme e nonne e sorelle e figlie dei Caduti e delle Vittime ricominciano a presenziare, come due o tre generazioni fa. Il cittadino, così, si domanda: erano state finora conculcate dai congiunti ormai deceduti, e poi liberate dai movimenti femminili? O piuttosto erano mentori e leader domestiche, ed esortavano i congiunti a comportamenti e gesti che esse stesse avrebbero poi impersonato con più protagonismo mediatico? Nei libri storici scolastici, per più generazioni, come preclaro esempio ottocentesco veniva celebrata Adelaide Cairoli, pavese, madre orgogliosa di ben quattro caduti nelle lotte risorgimentali, e poi finalmente di un presidente del consiglio, Benedetto. E di qui, innumerevoli vie e piazze Cairoli, con numeri civici noti a qualunque taxi. Vecchia Italia, ’Note azzurre’ (di Carlo Dossi). "Quando, cacciati via gli austriaci, il Governatore di Pavia s’insediò per la prima volta nel Palazzo del Governo e diede una festa, Elena Marozzi Pisani fu tra le prime invitate. E vi fu anche Donna Adelaide Cairoli, la quale avvicinandosi alla Pisani, le disse: ’Donn’Elena conoscerà già questi bei saloni’. ’No, rispose Elena, li conoscerà certo Lei, non io’. E difatti la Cairoli li aveva assai frequentati all’epoca austriaca". Nel pezzetto di John Banville sul suo bel romanzo ’L’intoccabile’ (edizioni Guanda), circa le famose trame spionistiche di Anthony Blunt, in parte anticipato sul ’Corriere della Sera’ e ora integrato nell’Almanacco Guanda sul ’complotto’, figura un dettaglio stranissimo. ’Lettere del duca di Windsor che nel 1936 aveva abdicato al titolo di re Edoardo VIII in favore di suo cugino Filippo d’Assia’. Stranissimo, perché il successore di Edoardo VIII era suo fratello Giorgio V, padre dell’attuale Elisabetta. E poi, perché Filippo, oltre che langravio d’Assia, era marito di Mafalda di Savoia, che sarebbe così diventata regina cattolica d’Inghilterra. Nelle rivelazioni su Blunt si tratta altresì di 4 mila lettere fra la regina Vittoria e sua figlia Vittoria (vedova di Federico III di Prussia). Morte ambedue vecchie nel 1901, e forse prive di rilevanza sulle guerre del Novecento. E oltre tutto, la principessa Margarethe d’Assia citata da Banville (perché figlia di Vittoria di Prussia e madre di Filippo) era poi la nonna di Enrico d’Assia, che nel ’Lampadario di cristallo’ (Longanesi, 1992) ne testimonia da vicino i disagi terribili sotto i bombardamenti e poi l’occupazione americana, mentre suo padre era internato e la madre periva a Buchenwald. Infine, però, una nota ridicola. Banville si chiede se Blunt passava mai tra gli autobus in Gower Street, a Londra. Ma già Oscar Wilde, per l’agnizione finale e decisiva in ’The Importance of Being Earnest’, puntava sul riconoscimento di una borsa ammaccata "in un incidente d’omnibus in Gower Street". Con evidenti intenzioni comiche (all’epoca). Alberto Arbasino