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 1989  novembre 12 Domenica calendario

Corriere della Sera, domenica 12 novembre 1989 A dire la propria opinione contraria alla pillola abortiva RU486 si rischia di incappare in reazioni verbali molto dure

Corriere della Sera, domenica 12 novembre 1989 A dire la propria opinione contraria alla pillola abortiva RU486 si rischia di incappare in reazioni verbali molto dure. Per Ida Dominijanni tali opinioni sono ”paradigmi dell’ipocrisia maschile”, ”utili manifesti dell’immaginario micidiale degli uomini fin de siecle sulla donna” (il manifesto, 7 novembre). Chi si dichiara contrario all’aborto chimico subisce le seguenti imputazioni: non considera la donna un soggetto morale bensì una sottospecie umana, è affetto dalla sindrome di Torquemada e pensa che il dolore abbia funzione catartica nei confronti della colpa morale, è un procuratore di aborti che cerca di riscattarrsi pontificando, evoca fantasmi di misoginia e impartisce lezioni sulla vita e sulla morte la cui unica base è un’orrenda cultura del sospetto. Potrei continuare ancora a lungo, perché nel repertorio del fanatismo ideologico rientrano anche altre accuse, come quella di aspirare alla proprietà maschile del corpo femminile e di mirare al controllo sulla riproduzione, e un’infinità di addebbiti, attribuzioni, indicazioni a dito. La spregevolezza dei maschi, nella considerazione delle donne che dissentono dal loro modo di vedere le cose, si riassume poi nella parola chiave scelta da ventisette firmatari di un appello (Il manifesto, 10 novembre): Canea. Ma è meglio fermarsi qui. Questi non sono discorsi ma tentativi di interromperee un discorso, non presunzione di verità ma ostacoli al gioco della verità, non argomenti ma sassi. Sostengo, e ripeto, che l’aborto chimico muta radicalmente i termini del problema posto dall’interruzione volontaria di gravidanza autorizzata per legge e affidata alla finale decisione della donna incinta. La legge 194 sarà iscritta negli annali che racconteranno il nostro tempo come una decisione sociale difficile e critica ma forse idonea a sanare la piaga dell’aborto clandestino, almeno in parte; lo scopo di quella legge antiproibizionista (è bene dare alle cose il loro nome) era di liberare la donna dalle catene dei cucchiai d’oro e l’intera società dall’ignoranza e dalla paralisi in matiera di prevenzione e contraccezione. La pillola RU486 è un’altra cosa. E’ un veleno chimico destinato a invadere il mercato libero dei farmaci, quali che siano le zelanti rassicurazioni degli avvocati della Roussel Uclaf. E quell’invasione si porterà appresso conseguenze pesantissime, altamente tragiche. Nel giro di qualche anno a una procedura medica, cioè sociale o quantomeno intersoggettiva, si sostituirà un atto solitario, recondito, riduttivo e relativizzante come l’ingestione di una pillola. Alla dura libertà di una scelta difficile e reversibile si sostituirà la tragica necessità di un’abitudine, e il controllo delle nascite si farà così. Si dice che nessuna donna scambierà mai l’aborto, in qualunque forma, per un espediente contraccettivo. E non c’è dubbio che questo è il profilo psicologico e morale delle donne al quale siamo tenuti a prestar fede senza riservce mentali. Ma qui si parla di un atto sociale e di cultura scientifica, la produzione e l’immissione sul mercato di un ritrovato della chimica che, via via raffinandosi, procurerà con sempre maggiore efficienza l’espulsione di un embrione. Una donna che in cuor suo scambi l’aborto per contraccettivo non la troveremo mai, ma una società che opera nei fatti questo scambio e lo rende per così dire naturale, irrecusabile, questa l’abbiamo già trovata nella nostra esperienza e nella nostra cultura. Esperienza e cultura di società maschili che mettono a disposizione delle donne mezzi idonei al riscatto delle responsabilità collettive spacciati per liberazione dal dolore. In tanta desolazione fa piacere l’annuncio che si è costituito un comitato scientifico internazionale composto di ricercatrici e di scienziate, per mettersi al lavoro su ipotesi di ricerca serie nel campo della contraccezione. Perfino una firmataria del manifesto contro la Canea si è resa conto del fatto (sospetto e maschilisticamente faustiano) che ai progressi della manipolazione genetica degli embrioni non ha fatto riscontro negli ultimi tempi, curiosamente, alcun serio progresso nella ricerca contraccettiva (Giuliana Dal Pozzo, l’Unità del 10 novembre). Il ginecologo radicale Giorgio Conciani, un abortista integrale che ha alle spalle un rispettabile passato militante in quel campo, ha dichiarato con sincerità: ”Per prendere la RU486 il medico non serve affatto”. Elena Marinucci faccia fede a Conciani e la si finisca di dire che l’aborto chimico è una semplice variante senza conseguenze di quello clinico-chirurgico. Invece di sollecitare l’aborto chimico il Ministero della Sanità potrebbe utilmente informare i cittadini sulle tecniche di prevenzione di ogni tipo di aborto, sollecitando nuovi investimenti nella ricerca per migliorare quelli esistenti. Noi cani smetteremmo subito di abbaiare. Giuliano Ferrara