Sergio Rizzo, Corriere della Sera 13/11/2007, 13 novembre 2007
ROMA – Che la sforbiciata non l’avessero gradita, era stato subito chiaro. Si era capito dal tenore di alcune lettere di risposta alle sollecitazioni del ministro degli Affari regionali Linda Lanzillotta
ROMA – Che la sforbiciata non l’avessero gradita, era stato subito chiaro. Si era capito dal tenore di alcune lettere di risposta alle sollecitazioni del ministro degli Affari regionali Linda Lanzillotta. Il presidente del Trentino-Alto Adige Lorenzo Dellai, per esempio, le aveva scritto che sì, anche lì c’era all’ordine del giorno la riduzione dei costi delle società degli enti locali, ma che il taglio dei consigli di amministrazione, beh, per loro si doveva tener conto della necessità di dare «adeguata rappresentatività ai gruppi etnici, agli enti pubblici, alle varie categorie sociali, economiche e professionali ». Il governatore della Regione siciliana Salvatore Cuffaro aveva invece spedito una gelida replica: «La informo che ho già interessato l’assessore regionale al Bilancio, Guido Lo Porto, per le attivazioni del caso». Stop. Una formulazione che a molti era sembrato quasi un marameo. Non che nelle Regioni ordinarie avessero fatto salti di gioia. C’è stato chi ha chiesto pareri legali per vedere se era possibile evitare la mannaia. E chi ha perfino interpellato la Corte dei conti, vedendosi però respingere al mittente ogni perplessità. Ma almeno qualcuno aveva provato a rispettare il termine, tassativo, del 7 novembre. Entro quella data, come conseguenza di un comma della Finanziaria 2007, le società controllate o partecipate dagli enti locali (Province e Comuni) avrebbero dovuto tagliare a tre il numero dei consiglieri di nomina pubblica se il capitale è superiore a due milioni, o a cinque se è superiore a quel tetto. Operazione dolorosa, perché avrebbe comportato l’azzeramento, in sol colpo, di qualche migliaio di poltrone, occupate in gran parte da politici rimasti senza posto. C’è chi dice anche cinquemila. E tanto più dolorosa perché la circolare attuativa precisava che il taglio sarebbe dovuto avvenire senza tener conto delle scadenze naturali dei mandati. In alcune Regioni a statuto speciale, invece, sono state alzate direttamente le barricate. Il presidente della Provincia di Bolzano, Luis Durnwalder, ha avvertito: «Taglieremo i consigli di amministrazione, ma non scenderemo mai sotto il numero di cinque». Proclama diretto a Roma, con il messaggio che a rimetterci, diversamente, non sarebbe certamente la componente di lingua tedesca? Certamente il sindaco di Bolzano Luigi Spagnolli ha subito giudicato «devastante per la rappresentatività del gruppo italiano» il taglio imposto dalla Finanziaria. La Provincia di Trento, invece, ha deciso di interpretare la norma nel senso che la riduzione dei consiglieri sarà fatta dopo la scadenza naturale dei mandati. Un guanto di sfida in attesa di qualche sorpresa? Chissà. Certamente la sorpresa è nell’aria. Tre deputati della maggioranza hanno presentato alla Camera un emendamento all’articolo 35 del decreto fiscale che accompagna la Finanziaria e che è stato già approvato dal Senato. L’emendamento prevede che per le società che hanno sede legale nelle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e Bolzano, il ridimensionamento dei consigli di amministrazione dev’essere deciso autonomamente, «con legge regionale o provinciale da emanare nel termine di sei mesi». Cioè entro il prossimo 30 giugno. Non soltanto. L’emendamento stabilisce pure che i tagli hanno effetto a decorrere dal primo rinnovo degli organi societari». I tre deputati sono il veneziano Marco Boato, esponente dei Verdi, eletto nel Trentino-Alto Adige, il trentino Mauro Betta e il bellunese Gianclaudio Bressa, entrambi del Partito democratico ed entrambi, come Boato, eletti nel Trentino-Alto Adige. Se la loro iniziativa dovesse avere successo, in cinque Regioni italiane (oltre al Trentino-Alto Adige, la Sicilia, la Sardegna, il Friuli-Venezia Giulia e la Valle D’Aosta) la norma Lanzillotta potrebbe saltare, con evidente soddisfazione di molti ammini-stratori locali. E persino quelli che hanno già ridotto i loro consiglieri, se venissero fissato tetti diversi, potrebbero aumentarne nuovamente il numero. Potranno così tornare a sperare anche a Palermo. Il 6 novembre, un giorno prima che scendesse la ghigliottina, il consiglio di amministrazione della società Alte Madonie Ambiente, che gestisce la raccolta dei rifiuti nell’Ambito territoriale numero 6 di Palermo, è stato rinnovato, con la riduzione da sette a tre membri. «Inizia il percorso di riduzione dei consigli, come previsto dalla legge», ha trionfalmente annunciato Raffaele Loddo, insieme assessore provinciale e presidente del Coinres, il consorzio che a sua volta gestisce la raccolta dei rifiuti di un altro Ato di Palermo, il numero 4, destinato a seguire anch’esso la sorte di Alte Madonie Ambiente. Perdendo, in questo caso, non quattro ma addirittura sei consiglieri. Non prima, però, di aver assunto 39 (trentanove) nuovi dipendenti, grazie al via libera dello stesso Loddo. Ma non era lui che aveva affermato, dopo il taglio dei consiglieri, «continua la nostra politica di contenimento dei costi?»