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 2007  novembre 12 Lunedì calendario

Con il prezzo del petrolio che segna continui record e con il clima che ci sorprende sempre di più, si torna a parlare di energia nucleare

Con il prezzo del petrolio che segna continui record e con il clima che ci sorprende sempre di più, si torna a parlare di energia nucleare. Sui giornali si trovano spesso articoli che parlano di centrali di terza generazione e di nuove tecniche di smaltimento delle scorie radioattive. Raramente si parla invece dell’uranio e del relativo mercato. Quali sono i Paesi produttori? Quali le società che lo lavorano e lo commerciano? Esiste una Opec dei produttori di uranio? Qual è l’unità di misura utilizzata nel commercio? Mentre il prezzo del petrolio passa da venti a quasi cento dollari al barile, come si è mosso il prezzo di questo metallo? Alberto Zorzi alberto.zorzi@tiscali.it Caro Zorzi, non posso soddisfare tutte le sue curiosità, ma posso cominciare a dare qualche informazione che altri, quando il dibattito sul nucleare diventerà più concreto, potranno probabilmente completare. Esistono miniere di uranio, soprattutto in Australia, Canada, Sud Africa, Kazakistan, ed esistono società che lo mettono in vendita. E’ mancato per molto tempo un mercato trasparente dove i prezzi venissero fissati alla luce del sole. Ma nel 2006 vi sono state per la prima volta 13 aste pubbliche nelle quali sono stati trattati quantitativi interessanti (26 milioni di libbre), ma pur sempre notevolmente inferiori ai 109 milioni scambiati nel 2005 e ai 175 milioni richiesti complessivamente dal mercato. Il prezzo dipende da molti fattori: capacità estrattive, scoperta di nuovi giacimenti, prezzo del petrolio e del gas, pubblicazione di rapporti sulle conseguenze delle emissioni nocive, politica e legislazione dei singoli Stati sulla costruzione delle centrali. Nello scorso settembre il prezzo di una libbra di uranio sembrava attestarsi sui 60 dollari. Oggi si prevede che salirà a 90 dollari e che potrebbe toccare i 100 dollari nel corso del 2008. L’aumento è probabilmente collegato alle allarmanti notizie degli scorsi mesi sui cambiamenti climatici e alla nuova «svolta nucleare» di alcune fra le maggiori economie mondiali. Il Congresso degli Stati Uniti ha approvato nel 2005 una legge (l’Energy Policy Act) che prevede incentivi fiscali e benefici di altra natura per i costruttori di nuove centrali. L’ente americano a cui sono affidati compiti di «polizia nucleare» (la Nuclear Regulatory Commission) ha ricevuto il 24 settembre una richiesta per la costruzione di una nuova centrale: la prima dall’incidente di Three Mile Island nel marzo del 1979. Dopo essere stata oggetto di paura e diffidenza, l’energia nucleare riappare sulla scena come la più pulita e la più efficace delle energie disponibili. Esistono alcuni grattacapi, fra cui il costo delle centrali e lo smaltimento delle scorie. Ma vi è una evidente tendenza a riaprire dossier che erano stati troppo frettolosamente chiusi negli anni Ottanta. La situazione dell’Italia è quella descritta da Guido Gentili in un recente articolo del Sole 24 Ore. Negli anni Sessanta eravamo il terzo produttore mondiale di energia nucleare. Negli anni Ottanta abbiamo preso una decisione affrettata e suicida. Oggi «dipendiamo dall’estero per l’85% del fabbisogno energetico», siamo circondati da Paesi nucleari e importiamo dalla Francia energia elettrica prodotta da centrali nucleari per un quantitativo corrispondente al 20% dei nostri consumi. Vi sono tutte le condizioni perché l’Italia riveda la scelta sbagliata di vent’anni fa. Ma il ministro dell’Ambiente continua a sostenere che il nucleare è la peggiore delle energie possibili, e il ministro dello Sviluppo Pier Luigi Bersani, pur essendo probabilmente convinto che l’energia nucleare è necessaria al Paese, sostiene che «l’Italia non ha il fisico» perché «non è ancora riuscita a risolvere il problema del sito di superficie per lo stoccaggio delle scorie». Occorrerebbe dire con franchezza agli italiani che chi non ha il «fisico » per il nucleare non ha il fisico per il futuro.