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 2007  novembre 10 Sabato calendario

Qualche giorno fa, quando il borsino del Palazzo segnava un forte ribasso per le azioni del governo, Bobo Craxi inviò un biglietto a Romano Prodi: «Vendi cara la pelle dell’orso»

Qualche giorno fa, quando il borsino del Palazzo segnava un forte ribasso per le azioni del governo, Bobo Craxi inviò un biglietto a Romano Prodi: «Vendi cara la pelle dell’orso». Mercoledì scorso al sottosegretario agli Esteri è stata recapitata la risposta su carta intestata presidente del Consiglio: «L’orso ha ancora la pelle addosso...». Di fatto, in questi giorni il Professore si è dato da fare per rimettere insieme «i cocci del vaso» della sua maggioranza. Ha promesso, promesso, promesso. Ha aperto la borsa della Finanziaria. Si parla di un emendamento che porterebbe a 41 milioni di euro rispetto ai 14 dello scorso anno le risorse per gli italiani all’estero. Il cadeau 2008 per il senatore delle pampas, Luigi Pallaro. Non parliamo, poi, della lista dei regali per gli intoccabili della Svp. Naturalmente i risparmi sui costi della politica sono andati a farsi benedire: dovevano essere di 1,3 miliardi di euro, sono rimasti 419 milioni. Per non scontentare Mastella e company, si è volatilizzata la proposta di eliminare 24500 consiglieri comunali e provinciali. Tanto Prodi ha dato e tanto ancora darà. E’ la politica della sopravvivenza. E insieme a lui sta lavorando, chiedendo voti a destra e a manca, a Francesco Cossiga come al senatore di Gallipoli di Forza Italia Vincenzo Barba, Massimo D’Alema: per lui sarebbe esiziale la sequenza crisi ed elezioni con l’attuale legge elettorale. Diventerebbe un privato cittadino dentro il nuovo Pd. Fin qui le risorse. Poi ci sono le promesse sul prossimo «rimpasto». Una su tutte quella all’oggetto del desiderio di queste settimane, Lamberto Dini. «Vedrete - ironizza lo stesso Craxi - torneremo ai bei tempi di ”todos democristiani”. Ce ne saranno due al vertice: il premier, Romano, e il vicepremier, Lambertow». Appunto, quella «promessa» è sul tavolo. Lo schema è già noto. Bisogna ridurre il numero dei ministri. E’ in partenza il ministro della Difesa, Arturo Parisi, e Clemente Mastella è stanco di scottarsi il sedere sulla poltrona di ministro di Giustizia. Eppoi negli equilibri di una coalizione avere un premier e due vice che fanno parte dello stesso partito (il Pd), stona. Per cui un «vice» fuori dal Pd potrebbe andare più che bene. Specie se salva la pelle al governo. Questa è la promessa che è stata messa sotto il naso di Dini. Una promessa che potrebbe, però, trasformarsi in una chimera. Le difficoltà non mancano. Dentro la coalizione non sono pochi quelli che storcono il naso per un «candidato» ministro che porta in dote solo due senatori. «Per un’operazione del genere - sottolinea il sottosegretario per i Rapporti con il Parlamento, Giampaolo D’Andrea - c’è bisogno di tutta una serie di riequilibri. Inoltre si può fare solo dopo aver visto chi sulla finanziaria e sul welfare ha votato a favore o contro». Ostacoli che diventano ancora più grandi tra i grandi nemici di Lambertow, quelli della sinistra radicale. «Gli emendamenti di Dini - osserva il sottosegretario all’Economia, Alfonso Gianni - sono solo una foglia di fico. Sotto c’è la sorpresa del Dini vice-premier. Sorpresa brutta, brutta, brutta. Per noi dura, dura, dura. Vedremo se il Manifesto che nel ”96 ci chiese di baciare il rospo, ora che ci vuole all’opposizione ci chiederà di ripudiarlo». Allora tutto fatto? Tutt’altro. I conti ancora non tornano. Lo dicono gli stessi protagonisti. Dini ammette: «Siamo in piena incertezza». Il consigliere di D’Alema, cioè il capo dei nuovi pretoriani di Prodi, Nicola Latorre, osserva: «Siamo a metà strada: calma e gesso». Eppoi ci sono i continui movimenti di campo: fino all’altro giorno Francesco Cossiga era deciso a non votare. Ora, dopo che il governo non sembra aver messo da parte l’idea di mettere in piedi una commissione d’inchiesta sul G8 di Genova, sembra aver cambiato idea: «Voterò contro e lo manderò sotto». Eppoi c’è la testardaggine con cui Berlusconi continua a dire di essere tranquillo, mentre conduce la sua guerra in trincea: anche le polemiche con gli alleati avevano come unico scopo quello di richiamarli alla compattezza nelle votazioni al Senato. Inoltre le sue previsioni ottimistiche sono tornate a contagiare anche i più scettici. «Io sono come San Tommaso - spiegava ieri il leghista Roberto Calderoli, dopo aver parlato con il Cavaliere -: non ci credo finché non vedo. E adesso sono sicuro che Prodi cadrà e si spiattellerà sul terreno, come un ”caco” maturo». E lì, dalle parti di Palazzo Grazioli, si accarezza un numero magico per l’ultima votazione sulla Finanziaria: centocinquantanove. La verità è che Berlusconi ha un solo obiettivo in testa: far cadere Prodi e andare alle elezioni. Un obiettivo che non cambierà neppure se il nuovo assalto al governo dovesse fallire. Si illude chi immagina uno scenario diverso. In 14 anni Berlusconi ha interpretato la politica sempre a modo suo: la sua priorità è sempre stata quella di tener conto dell’opinione prevalente nel Paese (da qui la mania dei sondaggi). Per lui il consenso è sacro. Nel Palazzo, invece, è sempre stato attento a rappresentare il baricentro della sua coalizione. Ebbene, dopo aver raccolto più di cinque milioni di cittadini (questo è l’obiettivo) nelle manifestazioni del 17 e 18 per chiedere le elezioni, lui si sentirà più che vincolato a questo traguardo. Inoltre il dialogo sulla legge elettorale metterebbe a repentaglio anche la sua coalizione: Casini inseguendo il «terzo polo» vuole il modello tedesco; Fini in difesa del bipolarismo lo ripudia; la Lega si accontenterebbe anche di una via di mezzo. In tanta confusione, Berlusconi resterà fermo. Se fallisse l’assalto di mercoledì prossimo, il giorno dopo comincerà a prepararne un altro. «In fondo - osserva in questi giorni - che deve fare un’opposizione degna di questo nome nei confronti del governo più impopolare della storia repubblicana? Che faccio dopo aver chiesto un euro a cinque milioni di cittadini per mandare Prodi a casa, gli comunico che ho scherzato?». «Solo chi non conosce Berlusconi - spiega uno dei suoi consiglieri, Maurizio Lupi - può pensare che mollerà. La sua forza è sempre stata quella di tentare e tentare ancora. Se gli alleati vogliono aprire un dialogo con Prodi, si accomodino: conteremo i consensi che perderanno». Stampa Articolo