Piero Ostellino, Corriere della Sera 10/11/2007, 10 novembre 2007
A vete presente gli imbroglioni che, all’angolo delle strade, invitano i passanti a scommettere «dov’è l’asso, dov’è l’asso»? Non sono i soli a fare «il gioco delle tre carte»
A vete presente gli imbroglioni che, all’angolo delle strade, invitano i passanti a scommettere «dov’è l’asso, dov’è l’asso»? Non sono i soli a fare «il gioco delle tre carte». La Casta, un libro che ne denuncia i guasti, è diventato un fantoccio polemico per non dire che la causa delle inefficienze e degli sprechi è lo Stato. Pletorico, invasivo, burocratico. Da riformare. La Casta ne è l’effetto. Ora, è stato scelto un altro fantoccio polemico – la criminalità romena – per non dire che la causa dell’insicurezza nelle nostre città è lo Stato. Che non assicura la legalità e non garantisce la sicurezza dei cittadini. La criminalità ne è l’effetto. In Campania comanda la camorra; in Sicilia, la mafia; in Calabria, la ’ndrangheta. Gli imprenditori pagano il pizzo alla «grande criminalità». Nostrana. Chiamiamo «piccola criminalità » i furti d’auto, d’appartamento, gli scippi. Ma è più «grande» dell’altra. Colpisce tutti, non solo gli imprenditori. L’Italia è il paradiso dei criminali. Un omicida rimane in carcere «mediamente» sette anni. Un ladro, meno che in qualsiasi altro Paese. In Italia – ironizzano gli inglesi – si sta in prigione prima di essere condannati e si esce subito dopo. Per indifferenza per i diritti della Persona, i processi troppo lunghi, le prescrizioni che scattano quando non sono finiti. Dice il responsabile del Partito degli immigrati romeni: «Nel mondo criminale il vostro Paese è considerato quello dove tutto è permesso. Ecco perché tanti delinquenti vengono qui». Della stessa opinione sono i delinquenti italiani. Lo Stato c’è dove non dovrebbe esserci; non c’è quando dovrebbe. Non c’era a Roma, a una fermata del metrò, lungo una strada buia. E una donna è stata assassinata. I vigili – che dovrebbero presidiare i quartieri – sono alla scrivania. Dopo pochi anni di servizio in strada. Un sindaco di Milano che ha provato a rimetterceli ne è uscito sconfitto. Roma – sporca, le strade costellate di buche, assediata da un centinaio di baraccopoli – è lo specchio del fallimento della classe dirigente pubblica. Provate a immaginare che cosa succederebbe negli Stati Uniti se il sindaco di Washington – con la città ridotta come Roma – si candidasse al governo del Paese. L’opinione pubblica lo massacrerebbe. Da noi, si è sollevato un gran polverone sulla criminalità romena. Per stornare l’attenzione da chi non sa governare. Eppure, per ripristinare la legalità, basterebbero il codice penale. Chi delinque va in galera. E ci sta. Un Paese serio vieta che sorgano baraccopoli sul suo territorio. Uno cialtrone ne smantella una, per mostrare che fa qualcosa. In uno Stato di diritto, la responsabilità è individuale. In uno cialtrone, si oscilla tra il processo a un’etnia e l’applicazione delle direttive Ue. Infine, si lasciano le cose com’erano. L’Unione Europea avrebbe dovuto negoziare, con i Paesi ultimi entrati ed economicamente arretrati, temporanee «quote» dei flussi di lavoratori verso quelli più avanzati. Ferma restando la libera circolazione dei cittadini. L’Italia avrebbe dovuto imporre la legalità nel mercato del lavoro e programmare la destinazione territoriale degli immigrati alla luce dell’offerta di manodopera. L’immigrazione è utile se legale. Il 70% degli immigrati sono legali e integrati. una truffa se illegale e alimenta il lavoro nero; da noi, frutto di connivenze multiple. Solo allora le espulsioni – anche di chi vive ai confini della legalità – sarebbero state legittime. Così si comporta una classe dirigente capace e responsabile. Che, in Italia, non c’è. postellino@corriere.it