Guido Santevecchi, Corriere della Sera 10/11/2007, 10 novembre 2007
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
LONDRA – La causa è durata dieci anni, è costata in spese legali 200 milioni di sterline (300 milioni in euro), si è trasferita da un emisfero all’altro ed è finita di fronte al Most Honourable Privy Council di Sua Maestà la Regina, che siede a Downing Street. Sentenza: il principe Jefri, ex ministro delle Finanze del Brunei, dovrà restituire all’erario del sultanato beni per circa un miliardo, comprendenti il New York Palace Hotel, un altro grande albergo a Los Angeles, case a Londra, Parigi e Singapore, diamanti, qualche quadro d’autore e un po’ di denaro in contanti.
Il tutto su richiesta del sultano Haji Hassanal Bolkiah, che nel 1998 si era indispettito per il modo in cui il fratello minore aveva gestito i «trasferimenti speciali» dalla Brunei Investment Agency, la cassaforte del piccolo Paese petrolifero del Sudest asiatico.
Bolkiah, che secondo Forbes
è il sovrano più ricco della terra, con una fortuna personale di 15 miliardi di euro, aveva dato un’occhiata meno distratta del solito ai conti del fratello e aveva deciso che Jefri in 13 anni aveva trasferito direttamente nel suo portafogli 12 miliardi. Il denaro era servito a sostenere il tenore di vita di Jefri, noto come il principe playboy (a 53 anni ha messo al mondo 17 figli). Aveva la passione per il mare e così si era regalato uno yacht da 50 metri, il Tits (tette, con rispetto parlando), che aveva due lance di servizio: Capezzolo 1 e Capezzolo 2. Al polso alternava una collezione di orologi d’oro che avevano tutti una caratteristica: a ogni ora esibivano una coppia intenta a copulare.
Oltre alle donne gli piaceva molto il polo e per trasportare i cavalli da un campo di gara all’altro si era fatto convertire un Boeing. Sta di fatto che alla fine degli anni Novanta, quando le borse asiatiche furono travolte dal vento della recessione, il sultano pensò che era venuto il momento di rimettere ordine nei conti. La questione era stata risolta nel 2000 con un accordo extragiudiziale nel quale Jefri si era impegnato a rifondere tre miliardi. Poi ci aveva ripensato.
Un affronto per Haji Hassanal Bolkiah, che oltre ad essere sultano è anche capo del governo, ministro della Difesa, delle Finanze, comandante supremo delle Forze armate, guida dell’Islam e capo della polizia (un modo di economizzare sul personale, in un certo senso). Dopo aver vinto in prima e seconda istanza di fronte alle corti del Brunei, non ottenendo soddisfazione dal fratello che nel frattempo si era autoesiliato (si potrebbe dire fuggito), si è rivolto al Privy Council di Londra, che agisce da Corte Suprema per l’ex colonia diventata indipendente nel 1984. Gli scrupolosi consiglieri della regina hanno ordinato anche al sultano di mostrare i suoi conti. E ne è emerso uno stile di vita non troppo dissimile da quello del fratello. Si è saputo che anche lui ha «trasferito» nel conto privato un po’ di denaro. Per l’esattezza negli ultimi quattro anni 3,9 miliardi di sterline, più del prodotto interno lordo annuale del Brunei. Gli sono servite per spese mediche: 1,2 milioni in massaggi e agopuntura; educative: 1,2 milioni al maestro di badminton; domestici: 14 milioni a due gran ciambellani; e poi 5,8 milioni a ciascuna delle sue consigliere per le relazioni pubbliche: le simpatiche Yoya, Prall, Vicky, Shelly e Janet.
Però la costituzione, dettata dal sultano, stabilisce che «sua maestà è infallibile sia nella sua capacità di sovrano sia nella sua vita privata». Così il Privy Council ha condannato Jefri a consegnare le chiavi di alberghi e case.
La nobile famiglia del Brunei ha già dato lavoro alla giustizia britannica: a luglio Mariam Aziz, ex moglie del sultano, si era rivolta all’Alta Corte di Londra per ottenere giustizia nei confronti di una veggente che le aveva spillato 2 milioni di sterline. La maga aveva messo la signora sultana in contatto telefonico con un santone che le aveva raccontato un sacco di storie, ricevendo in cambio doni generosi. Poi Mrs Mariam aveva scoperto che il santone era in realtà la maga che al telefono faceva la voce da uomo. Condanna per truffa e commento di Lord Justice Lawrence Collins: «Un caso davvero bizzarro».