Vari 10/11/2007, 10 novembre 2007
ARTICOLI SUL PROGETTO DI RIFORMA ELETTORALE ELABORATO DA VELTRONI E PD
(con relative polemiche)
CORRIERE DELLA SERA 10/11/2007
FRANCESCA BASSO
MILANO – Prima del 14 novembre nessuno sembra voler fornire dettagli. Ma il sistema elettorale messo a punto dal Partito democratico, che intreccia i modelli tedesco e spagnolo, sta già diventando terreno di trattativa tra le forze politiche. Bocche cucite, dunque, tra i tecnici che hanno contribuito a elaborarlo. Il costituzionalista Salvatore Vassallo si trincera dietro a un secco «no comment». Mentre il giurista Stefano Ceccanti taglia corto con un «preferirei non parlarne», senza però riuscire a trattenere un moto d’orgoglio di fronte alla novità di una sorta di quote rosa e conferma: «Per le liste si prevede l’alternanza secca uomo-donna, come nelle ultime primarie. Mentre tra i candidati dei collegi uninominali di ciascun partito la presenza femminile non dovrebbe essere inferiore al 40%, la stessa soglia che c’è in Spagna».
La novità del sistema TS (tedesco-spagnolo) sta nel fatto che metà dei collegi è uninominale e metà proporzionale come nel modello tedesco (sulla scheda l’elettore trova il nome del candidato di collegio più la lista circoscrizionale), mentre le circoscrizioni sono molto piccole come nel sistema spagnolo.
Questo permette di evitare di stabilire per legge uno sbarramento (in Germania è del 5%) e di non attribuire premi di maggioranza. Tuttavia le ridotte dimensioni delle circoscrizioni creano in modo implicito una soglia intorno al 5%. Eliminando lo sbarramento a livello nazionale, come invece è previsto dall’attuale legge elettorale, il sistema TS garantisce seggi anche ai partiti che sono molto forti solo in alcune zone del Paese e non ovunque. Inoltre il meccanismo tende a favorire la forza che ottiene più voti: al partito vincente andrebbe come conseguenza naturale circa il 40% dei seggi, garantendo così governabilità e bipolarismo.
CORRIERE DELLA SERA 10/11/2007
P.D.C.
ROMA – Se non ci saranno sorprese, come la caduta del governo sulla Finanziaria, dalla prossima settimana ogni momento potrebbe diventare quello della verità per il destino delle riforme e della legge elettorale. Perché molto si muove, i nodi sono al pettine e Veltroni da una parte e parte dell’opposizione dall’altra stanno ormai uscendo allo scoperto con le proprie proposte, disponibilità e limiti alla trattativa.
Ieri infatti l’Udc con il segretario Cesa ha dichiarato che dalla prossima settimana il suo partito sarà pronto alla trattativa su riforme e legge elettorale, che secondo il leader Casini non potrà comunque discostarsi dal modello indicato fin dall’inizio: quello tedesco. Dall’altra, Walter Veltroni con il vice Franceschini ha stretto i tempi e ha incontrato nello studio del presidente della Camera i leader del Prc – Bertinotti e Giordano – e il ministro degli Interni Amato, per sottoporre loro la bozza di quella che potrebbe essere la possibile intesa sulla legge elettorale, un mix di sistema tedesco e di sistema spagnolo. Nei prossimi giorni, toccherà ad altre delegazioni del centrosinistra l’esame del testo, e poi si passerà al confronto con i leader dell’opposizione.
Ma la soluzione del rebus appare ancora lontana. Nel colloquio infatti – che è stato contestato dalla Lega e dal socialista Villetti perché «irrituale» essendosi svolto nello studio del presidente della Camera – Veltroni ha spiegato agli interlocutori che «una riforma va fatta», con un modello che permetta sia al centro dell’Unione che alla sinistra «di arrivare a forme di aggregazione », e il mix tedesco-spagnolo, che sembra piaccia anche a D’Alema, potrebbe funzionare. «Noi preferiamo il tedesco puro », ha ribattuto Bertinotti, convinto che su questo sistema possano ritrovarsi non solo quasi tutte le forze di maggioranza, ma alla fine anche «la Lega e l’Udc», soprattutto se si tenterà ancora una volta, come sembra, di spostare il dibattito sulla legge dal Senato alla Camera. E però Veltroni, con gli alleati, ha frenato: «Non possiamo approvare una legge senza che almeno uno dei due grandi partiti dell’opposizione ci stia» e dunque «parlerò io con Fini, cercherò di convincerlo » ha assicurato.
Sono tentativi, si capisce, non necessariamente destinati ad andare a buon fine, nonostante per molti lo spauracchio resti un referendum elettorale che il capo dello Stato vede come ultima ratio nel caso il dialogo fallisse e che invece proprio Veltroni e Fini hanno sostenuto fin dall’inizio. Decisivo sarà quindi l’atteggiamento di un’Udc disponibile a trattare ma solo sul tedesco, di una Lega che attende l’esito del voto in Senato per concedersi «mani libere», di FI che con Bonaiuti assicura che «niente è cambiato, con questo governo non si tratta» e di An che attende la fine del passaggio al Senato della Finanziaria per decidere se sedersi al tavolo del confronto o se giocare tutte le proprie carte sul referendum.
Intanto il presidente di Confindustria Montezemolo torna a sferzare i Poli: «Il quadro è desolante: liti e contrapposizioni continue all’interno della maggioranza e dell’opposizione. Non si può andare avanti così. Servono riforme condivise».
CORRIERE DELLA SERA, 11/11/2007
ROBERTO ZUCCOLINI
FRASCATI – Non è d’accordo. Ma alla fine Franco Debenedetti sorride soddisfatto. Perché senatore? «Perché l’ho stanato: ormai è chiaro dove vuole andare il segretario del Pd». In effetti le novità di Walter Veltroni sulla riforma elettorale nascono da una domanda di Debenedetti alla tavola rotonda di Glocus, fatta attraverso il direttore di
Europa, Stefano Menichini, che moderava la tavola rotonda: «Il governo dovrà essere scelto dagli elettori o dovrà trovare la propria maggioranza in Parlamento?». Risposta del sindaco di Roma: «Occorre un sistema proporzionale senza il premio di maggioranza, che riduca la frammentazione dei partiti e che permetta agli elettori di scegliere i loro rappresentanti». Davvero? Romano Prodi non si pronuncia: «Parlo domani, che oggi sulla legge elettorale ce ne sono state di tutti i tipi...». Il costituzionalista Stefano Ceccanti si affretta a precisare che «in realtà non ci sono grandi novità rispetto a quello che Veltroni ha già detto», ma molti nel parterre di Frascati e quasi tutti nella più ampia platea politica pensano e dicono: «Si è convertito al modello tedesco».
Il leader del Pd non cita mai quella parola, ma in effetti, nel suo intervento a Glocus, tratteggia un sistema che molto gli assomiglia. Lui che da sempre è per modelli maggioritari già nei giorni scorsi aveva aperto al proporzionale, ma a Frascati lo ha fatto con una chiarezza tale da far esultare Bruno Tabacci, anche lui alla tavola rotonda: «Apprezzo Veltroni per ciò che ha detto». E anche per la sua apertura al dialogo con i centristi e, aggiunge l’udc, «anche con la Lega». Senza contare i complimenti alle aperture di Fini.
Lo scenario della «spallata » berlusconiana viene considerato dal sindaco di Roma «tragico» perché porterebbe ad elezioni anticipate con l’attuale sistema elettorale «ad alto rischio di ingovernabilità ». E proprio a questo proposito spiega il suo «no» deciso ai premi di maggioranza: «Abbiamo visto che finiscono per favorire alleanze fatte su misura per la prova elettorale». Veltroni invece punta a un «bipolarismo vero », non fittizio. Tanto che, sollecitato sull’indicazione del premier e della coalizione prima del voto, non precisa se ciò debba avvenire sulla scheda: «Deve essere nei programmi. Se sono chiari per tutti sarà chiaro anche lo schieramento di un partito. E anche l’indicazione del premier sarà implicita».
Le aperture di Veltroni piacciono a molti nel Pd. Antonio Polito commenta: «Vedo che impara velocemente il tedesco». Anche se a protestare è subito Arturo Parisi: «Il dibattito odierno sulla legge elettorale mi preoccupa molto: occorre un chiarimento all’interno del partito». Concorda l’ulivista Franco Monaco: «Attenzione, senza premio di maggioranza il bipolarismo è a rischio». Rifondazione comunista è soddisfatta, ma il socialista Enrico Boselli parla di «proposta incomprensibile, tutta da chiarire ».
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ROMA – «Caro professore, ora capisco perché Veltroni non ha firmato i quesiti referendari... come cittadino che ha votato alle primarie del Pd sono imbufalito». Giovanni Guzzetta (nella foto),
costituzionalista e promotore dei referendum elettorali, legge una e-mail che gli è appena arrivata dopo il discorso del leader pd a Frascati. E commenta: «Ho salutato con soddisfazione la nascita del nuovo partito, apprezzo il sindaco di Roma, ma non vorrei che...».
Che cosa non vorrebbe, professore?
«Che ci si perda nelle trattative senza raggiungere alcun obiettivo. Si sono suscitate tante speranze con il referendum: non deludiamole infilandoci in un vicolo cieco».
Ha paura che il progetto sia quello di «uccidere» la prova referendaria?
«Rendere il referendum non più necessario con una legge che lo superi è un’iniziativa da noi salutata sempre positivamente. Ma la proposta di cui parla Veltroni non è ancora chiara. E, soprattutto, non mi piace l’idea di una piattaforma che parte con una mediazione».
Perché?
«Perché si vuole mediare con Casini che è sempre stato lontano dallo spirito referendario e con Bertinotti che sostiene tranquillamente la possibilità di scegliere le alleanze dopo le elezioni. Sedersi attorno ad un tavolo, in queste condizioni, non può che peggiorare la situazione».
Veltroni ha detto che dai programmi si capiranno anche le alleanze dei partiti.
«Succedeva anche nella Prima Repubblica: tutti i partiti avevano programmi chiari, ma poi andavano a trattare in Parlamento. Ricordo che fino al 1994 solo i periodi di crisi di governo hanno totalizzato ben 4 anni e mezzo di stasi dell’attività politica».
Quindi, massima vigilanza?
«Ripeto: do ancora credito a Veltroni e al Pd. Ma, certo, qualche sospetto c’è: voglio conoscere che proposta si vuole fare. E lo vogliono capire anche tutti coloro che hanno firmato i referendum. Al tempo avverto: di trattative si può anche morire. Discutiamo sul merito delle proposte di chi vuole davvero fare una riforma elettorale».
CORRIERE DELLA SERA, 11/11/2007
MARIA TERESA MELI
ROMA – Finora è una bozza, solo una bozza, elaborata da Stefano Ceccanti e Salvatore Vassallo, che però il segretario del Partito democratico Walter Veltroni ha già inviato a tutti i big del Pd e fatto vedere ad alleati attuali e futuribili. Il sindaco di Roma si è convinto che «alla fine Berlusconi non riuscirà a dare la spallata» e che «quindi il governo andrà avanti» e «questo produrrà l’indebolimento del Cavaliere». Perciò, secondo Veltroni, «sia Pier Ferdinando Casini che Gianfranco Fini si staccheranno da Berlusconi sulla legge elettorale e apriranno un confronto con noi».
stato questo ragionamento che ha spinto Veltroni a chiedere a Ceccanti e Vassallo di fare le simulazioni degli effetti che avrebbero i diversi sistemi elettorali europei se venissero applicati nel nostro Paese. Alla fine quel che è venuto fuori è un marchingegno elettorale che potrebbe definirsi un po’ spagnolo, un po’ tedesco e un po’ italiano. Un pasticcio? No, perché Veltroni è sicuro che con questo nuovo sistema, anche senza il premio di maggioranza, «il bipolarismo verrà garantito».
E garantito, grazie a questa riforma elettorale, lo sarà anche Romano Prodi, come ha detto il presidente della Camera Fausto Bertinotti ai suoi «Veltroni vuole disegnare dei collegi piccoli e ciò consente a Prodi la sopravvivenza del governo perché per fare questa operazione ci vorrà tempo». Aspettiamo, è la parola d’ordine del sindaco di Roma, che ha già avuto modo di sondare sia Casini che Fini, e vedrete che se passiamo indenni la Finanziaria e il Welfare questa mossa sulla legge elettorale «scompaginerà il centrodestra».
Per la verità, al momento, sta facendo fibrillare un po’ anche l’Unione perché ulivisti e referendari della prima ora, come Arturo Parisi, sono preoccupati. « rischioso avviarsi su questa strada: che fine farà il bipolarismo? C’è la forte possibilità che scompaia », è il timore del ministro della Difesa. Ma se Parisi è rimasto attaccato allo spirito referendario, Veltroni è uomo pratico. Il segretario del Partito democratico ha compreso che da qui alla fine della legislatura (che Rutelli, a Frascati, sembrava datare nella primavera del 2009) deve rendersi protagonista della scena politica, scartando i temi che possono sovrapporsi troppo a quelli propri delle attività di governo. La legge elettorale, dunque. Perché quella attuale, comunque, non va bene visto che non garantisce stabilità. E se Veltroni riuscisse a mandare in porto la riforma senz’altro segnerebbe un punto a suo vantaggio anche dal punto di vista mediatico. Ma non è solo per questo motivo che il sindaco di Roma sta pensando a un nuovo modello elettorale. Dopo la vicenda del decreto sicurezza, che, di fatto, è stato bloccato e svuotato da Rifondazione comunista, Veltroni ritiene che l’alleanza con la sinistra radicale, nella prossima legislatura, non debba essere «obbligatoria ». E un sistema a metà tra lo spagnolo e il tedesco, condito con salsa italiana, permette al segretario del Partito democratico di evitare, prima delle elezioni, la creazione di coalizioni non omogenee. Parlare di asse Veltroni-Bertinotti, dopo l’incontro dell’altro ieri quindi non è esatto. vero che sia il primo cittadino della Capitale che il presidente della Camera hanno come obiettivo quello di riformare il cosiddetto «Porcellum». Tant’è che Bertinotti punta ancora a far partire la riforma da Montecitorio e non dal Senato dove, visti i numeri, il percorso della legge sarebbe inevitabilmente accidentato e rallentato. Ed è anche vero che Bertinotti è ben contento di un ritorno del proporzionale e di uno sbarramento che affretti la creazione della Cosa rossa, ma per il Prc tutto il resto della bozza che l’altro giorno Veltroni si è portato dietro non è che vada bene. Però, come dice, il sindaco, «aspettiamo», perché se la spallata non c’è «tutti i giochi si riaprono ».
CORRIERE DELLA SERA 11/11/2007
LORENZO FUCCARO
DAL NOSTRO INVIATO
MONTECATINI (Pistoia) – «Se il governo va sotto sulla Legge finanziaria la via obbligata è andare al voto. E io auspico che avvenga con una legge elettorale diversa dalla attuale». Pier Ferdinando Casini ha appena concluso il suo intervento al convegno dei circoli di Marcello Dell’Utri in quel Palamadigan dove l’anno scorso, di questi tempi, Silvio Berlusconi ebbe il malore che tenne con il fiato sospeso tutto il centrodestra. Prima di salire su un’auto, il leader dell’Udc insiste su un concetto a lui caro: il sistema di voto che serve all’Italia è il modello tedesco perché rende più omogenee le coalizioni evitando che cedano «ai ricatti delle ali estreme». Per questo Casini si augura che «il più grande partito d’Italia non si sottragga a una comune riflessione non solo su come realizzare la vittoria ma soprattutto su come governare il Paese». Casini è convinto che Forza Italia inevitabilmente finirà con l’accettare il dialogo perché – e qui rimarca una netta nota di dissenso rispetto all’opinione di Silvio Berlusconi che anche ieri sera ha ripetuto il suo «no a qualsiasi dialogo con questa maggioranza» – la politica «dell’opposizione non può essere fatta evocando brogli, spallate e convocando manifestazioni di piazza per fare cadere il governo, si vince non puntando sulle disgrazie altrui ma proponendosi come capaci di governare».
La platea mugugna. E non manca neppure qualche fischio di disapprovazione. «Casini – commenta l’azzurro Mario Valducci – ha una strategia precisa e non l’ha cambiata: vuole il sistema elettorale tedesco ma sa che senza l’appoggio di Forza Italia non può ottenere nulla. Quindi muta la tattica e cerca ora di convincerci ad aprire una trattativa con il centrosinistra».
Le parole di Casini giungono dopo la messa a punto di Gianfranco Fini disposto ad assecondare le avances del leader del Pd Walter Veltroni.
Un’assonanza di toni e contenuti letta da qualcuno come «la ribellione degli aspiranti delfini». «Finché il governo ha una maggioranza numerica in Parlamento mi chiedo come si possa parlare di elezioni», dice in mattinata il leader di An a un convegno della Confapi. Successivamente lo stesso Fini dirama una precisazione. «Per evitare malintesi e o strumentalizzazioni – afferma – è opportuno ribadire che per An la priorità è fare cadere Prodi e consentire agli italiani di tornare alle urne ». Insomma per l’ex ministro degli Esteri l’eventuale negoziato sulle riforme è possibile «soltanto se la maggioranza supererà il dibattito parlamentare sulla Finanziaria ». Del resto anche Casini parlando qui a Montecatini ha espresso un’opinione analoga: «Siamo alla vigilia di una settimana complicata, voglio dirlo con chiarezza: prima Prodi va a casa meglio è. E tutte le nostre energie devono essere finalizzate a mandarlo a casa la prossima settimana».
Intanto, però, l’ex presidente della Camera lancia segnali di fumo verso il centrosinistra. E così fonti a lui vicine commentano positivamente la proposta di modifica elettorale fatta da Veltroni: è un passo in avanti, accettabile dal punto di vista metodologico.
VEDI ANCHE INTERVISTA A VELTRONI NELLA SCHEDA NUMERO 146.366