Cinzia Sasso, la Repubblica 9/11/2007, 9 novembre 2007
Nel campionato mondiale sulla parità delle donne, in quel gioco a squadre - le ragazze di qua, i maschi di là - che quando funziona aiuta le economie ad essere più floride e le persone a vivere meglio, l´Italia si piazza all´ottantaquattresimo posto
Nel campionato mondiale sulla parità delle donne, in quel gioco a squadre - le ragazze di qua, i maschi di là - che quando funziona aiuta le economie ad essere più floride e le persone a vivere meglio, l´Italia si piazza all´ottantaquattresimo posto. Sola tra i Paesi dell´Europa; seguita, tra i ricchi e famosi, unicamente dal Giappone; preceduta perfino dal Botswana, dalla Romania e dal Paraguay, lontanissima da tutti i suoi vicini. Le classifiche, certo, non sono tutto: ma il quadro che il rapporto del World Economic Forum sul Global Gender Gap, una sorta di classifica che mette in fila le opportunità offerte a una metà del mondo, consegna alla riflessione dei politici, sfiora l´agghiacciante. Mentre la cronaca si incarica ogni giorno di raccontare donne uccise in casa o fuori, la ricerca descrive una realtà economica e sociale peggiore di quella di un Terzo Mondo. Non andiamo troppo male solo nell´istruzione: su 128 Paesi presi in considerazione siamo trentaduesimi; ma chissà dove finiscono dopo le nostre competenze femminili se nel mondo del lavoro le donne italiane raggiungono la posizione numero 101, come il Benin e dietro il Belize. La foto dell´Italia che emerge dal rapporto è quella di un Paese in bianco e nero, lontanissimo dal contesto nel quale esiste, con le donne emarginate in ogni settore che conta. Per il secondo anno, l´organizzazione che dà vita al forum di Davos (uno degli osservatori più autorevoli sulle sorti dell´economia mondiale), punta i riflettori su quella che tutti considerano una delle chiavi del successo e della competitività di un Paese, la partecipazione femminile alla vita economica, politica e sociale e lo fa allargando il suo campo di studio da 115 a 128 Paesi. Lo fa prendendo in considerazione quattro parametri: quello del lavoro, dell´istruzione, della politica e della salute. Anche quest´anno conquistano le prime posizioni i Paesi nordici: Svezia, Norvegia, Finlandia e Islanda, che sembrano vicini alla parità assoluta, società in cui il genere sembra contare poco davvero. Seguiti dalla Nuova Zelanda che scala due posizioni, e poi via via dai Paesi del G8 ai quali Lettonia e Lituania si sono rapidamente avvicinate, superando in dodici mesi le differenze salariali che le penalizzavano. Nei primi venti posti anche Sri Lanka, Croazia e Sudafrica. Solo al trentunesimo gli Stati Uniti, che al miglior punteggio per la partecipazione alla politica, affiancano una caduta di sei punti per quanto riguarda il mondo del lavoro. Perde posizioni anche la Svizzera, dove il divario tra gli stipendi degli uomini e delle donne si è accresciuto; e guadagna la Cina, che si colloca dieci posti sopra l´Italia. In Europa, la Francia rimane uno dei pochi Paesi a detenere la prima posizione sia per quanto concerne l´istruzione che la sanità e riesce a fare un balzo di venti posti anche grazie alla maggiore presenza di donne nella vita politica e nelle alte sfere del mondo del lavoro, con manager, tecnici e dirigenti distribuite ormai a tutti i livelli nel tessuto del Paese. Mentre nella top ten dei Paesi che più hanno colmato il divario storico tra i sessi ci sono la Germania, al settimo, e la Spagna, al decimo. Più lontano, tra chi migliora le performance ci sono la Corea, gli Emirati Arabi Uniti e l´Arabia Saudita. Mentre la Tunisia, il Marocco e la Turchia hanno peggiorato la loro situazione. L´Italia è salita di una posizione, ma è l´unico Paese della Ue a essere lontana dalla testa della classifica e a dare un quadro di sé che la fa somigliare più al Malawi che ai suoi vicini di confine. Il dato più impressionante è quello che riguarda le differenze di stipendio: secondo i dati analizzati dal World Economic Forum, le donne guadagnerebbero meno della metà dei colleghi maschi. Tra gli studenti delle Università, le studentesse non hanno rivali - si laurea 72 per cento, contro il 54 dei compagni - eppure la situazione si rovescia al momento dell´ingresso nel mondo del lavoro: solo il 21 per cento delle donne raggiunge posizioni elevate, contro il 79 per cento dei maschi. All´analisi dei ricercatori delle università di Harvard e Berkeley, basato su dati nazionali, si affiancano altri numeri che riguardano il caso italiano e che mostrano come, in realtà, esistano due Italie: il sud, con un tasso di occupazione femminile del 31 per cento e il Nord che sfiora il 57. «Serve - scrive ai colleghi europei il ministro per le Politiche Europee Emma Bonino - una terapia shock che renda davvero paritarie le condizioni di partenza di uomini e donne». E, insieme ai colleghi italiani, propone di avviare davvero un sistema di welfare adeguato ai bisogni della società italiana. Una società ferma, che sembra molto più vicina a paesi poveri e lontanissimi che ai suoi veri competitori. «Questo studio - dice Klaus Schwab, presidente del Word Economic Forum - vuole essere uno strumento per monitorare la situazione e per spingere le autorità politiche ed economiche a far fronte alla carenza di talenti». E Laura Tyson, ricercatrice, aggiunge: «Il nostro lavoro mette in evidenza una forte correlazione tra la competitività e i punteggi del divario donne-uomini: è semplice, un paese che non sfrutta efficacemente il 50 per cento delle proprie risorse umane corre il rischio di compromettere il proprio potenziale competitivo». Di restare, insomma, un paese solo in bianco e nero.