Giulia Zonca, La Stampa 9/11/2007, 9 novembre 2007
GIULIA ZONCA
Un miliardo di persone davanti alla tv per vedere Arsenal-Manchester e hanno pure pagato. Domenica scorsa lo stadio era pieno, i salotti anche e le casse della Premier League stanno per straripare. Secondo uno studio che la Deloitte pubblicherà a breve, arriveranno più di due miliardi di euro dai diritti tv nel triennio dal 2010 al 2013. Futuro, quello che sembra mancare al nostro calcio.
Non che non sia bello o competitivo, anzi. Non è sul campo che teme rivalità, l’Italia ha vinto i Mondiali e l’ultima Champions League, solo che la gestione non sta dietro i trofei. Fino al 2006 risultati positivi, a guardare i grafici che comparano i 5 campionati più ricchi d’Europa non si sfigura, nel complesso secondi e l’unico dato che crolla è quello degli spettatori allo stadio. Oggi siamo già ultimi anche nella classifica degli impianti, umiliati davanti all’assegnazione degli Europei 2012 e lenti a riprenderci. Altrove demoliscono e rifanno monumenti come Wembley e Highbury senza troppi sentimentalismi, l’ultimo mito caduto in prescrizione è Anfield che verrà archiviato dal Liverpool nel 2011, un pezzo di storia che resterà un ricordo. Qui è più difficile fare i conti con nostalgia e investimenti.
Fermi al posticipo serale e ai diritti tv privati che non funzionano più. Eppure erano il simbolo di ricchezza e indipendenza. Michele Uva ex dirigente di Parma, Lazio e Uefa, oggi direttore generale della Virtus Roma basket ha cambiato idea sul tema: «Nel 1999 avrei detto che collettivizzare non aveva senso, anzi ho lavorato per il contrario. Ma abbiamo capito subito che non era la strada. Solo che non basta e non basterà la nuova legge, serve un cambio di cultura. Manchiamo di lungimiranza: a chi decide non interessa guadagnare oggi 50 per incassare 5000 tra un po’. Si tende ad arraffare. E sarebbe ora di cambiare la classe dirigente, il fatto è che esiste una nuova generazione in gamba, ma stanno tutti in piccole e medie società, nessuno li ascolta. Basta pensare che in Fifa ci rappresenta uno che è stato presidente federale per anni e ha pensato solo a sé. Servirebbe un terremoto come in politica, un Grillo che acceleri la fase di rigetto».
Dall’estero spiegano come hanno invertito la tendenza, Dan Jones l’esperto che ha lavorato sullo studio Deloitte, è esplicito: «L’Inghilterra si vende come pacchetto, sono stati i più bravi a trasformarsi in marchio non dipendono dal risultato e sono una garanzia di qualità per questo hanno prospettiva di crescita così alte». Hanno spostato la partita chiave all’ora di pranzo, in linea con la prima serata asiatica e dopo aver triplicato le vendite spremendo quello che chiamano «il nuovo tifoso», un appassionato spesso monomaniaco che non ha mai messo piede in uno stadio ma compra magliette e partite dall’altra parte del mondo, hanno recuperato quello vecchio. La crisi di pubblico pronto a muoversi per assistere dal vivo al campionato è durata poco, anche perché la premier va in tv spezzettata e non tutte le gare passano in diretta in contemporanea. Per la prima volta, nel 2007, hanno incassato più dalla vendita dei diritti all’estero che da quelli casalinghi. «Ma da noi fanno resistenza a trattare il calcio come business, neanche fosse quello a togliere etica», Uva vede una possibile rinascita in un modello Nba: «Loro non si muovono in tournée con una squadra, ma insieme. Sono un prodotto. In Italia non vengono i Boston Celtics a giocare due amichevoli, ci vengono tutti. Qui se si cambia orario sembra un attentato al costume nazionale, non è con queste cose che si misurano i valori di uno sport. Magari evitare calciopoli era meglio, il pallone resta un grande volano sociale per i giovani».
Per ora con i giovani chi dà il meglio è la Francia, nell’ultima campagna acquisti ha esportato giocatori per 178 milioni di euro e ne ha importati per 45 milioni. Li crea e li vende con un ricambio continuo via Malouda e Abidal, dentro Arfa e Benzema, senza talento non restano mai. Hanno un campionato mediocre, svuotato dai grossi nomi e sono riusciti a capitalizzare il massimo con i diritti tv: hanno appena staccato da Canal + un assegno da 600 milioni di euro, vendita collettiva sopra le previsioni. Mentre in Lega, ieri, intorno a un tavolo dove non ci si può mettere d’accordo, Galliani ha iniziato dicendo «vorremmo parlare senza pistole alla tempia» ed è finita con la Serie B che minacciava il solito sciopero.