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 2007  novembre 09 Venerdì calendario

Grossi cortei sfilano da giorni in molte città russe, scandendo tutti lo stesso slogan: «Putin resta, non te ne andare»

Grossi cortei sfilano da giorni in molte città russe, scandendo tutti lo stesso slogan: «Putin resta, non te ne andare». E non si tratta, come sostengono le autorità regionali e i portavoce del Cremlino, di manifestazioni spontanee. vero infatti che nell´animo del popolo russo c´è sempre stato il timore del vuoto di potere, dei torbidi scaturiti nel corso della sua storia dalle lotte di successione. Un´ansia che s´è espressa per secoli nel detto: «Senza lo zar, la Russia è vedova». Ma non si portano in strada 10-15.000 persone senza uno sforzo organizzativo da parte dei governatori, dei sindaci e dei boss locali di Russia Unita, il «partito del presidente». I cortei di manifestanti che scongiurano Putin di non lasciare il suo posto, sono quindi l´ultima trovata del regime per mobilitare i russi alla vigilia delle elezioni politiche del 3 dicembre, e nella prospettiva di quelle presidenziali della prossima primavera. L´esito del voto di dicembre per il rinnovo della Duma è più che scontato. La popolarità di Putin, le reti televisive praticamente inaccessibili ai partiti d´opposizione, le pressioni esercitate sui potenziali elettori dalle burocrazie regionali, i prezzi di pane, latte, uova e oli vegetali calmierati in gran fretta, l´altro giorno, per evitare il malumore delle categorie più povere: e in più una legge elettorale grottesca, tanto è chiaro che è stata sagomata per favorire il regime, tutto questo sta ad indicare che al momento del computo dei voti non ci saranno sorprese. Le elezioni legislative, come martella la propaganda di Russia Unita, dovranno essere un referendum «su quel che ha fatto, fa e farà Putin». Non un confronto tra partiti e programmi per la divisione dei seggi alla Duma, ma un plebiscito a favore del presidente. Ed è proprio per questo che Putin ha deciso un mese fa di capeggiare le liste di Russia Unita: per aumentarne il richiamo sull´elettorato. Per traslocare dalla sua persona al suo partito quel 70-80 per cento di consensi che gli attribuiscono da sempre i sondaggi. Russia Unita, che alla Duma aveva sin adesso 300 seggi su 450, con Putin capolista potrebbe guadagnarne a dicembre 350-380. E allora si porrebbe sulla scena come un nuovo partito unico (o quasi) dopo la scomparsa del Partito comunista dell´Unione Sovietica. Eppure, nonostante l´esito del voto risulti così accuratamente blindato, il regime è nervoso. E la prova più evidente del suo nervosismo sta nell´aver ristretto al massimo la presenza degli osservatori internazionali che l´Osce (l´Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) voleva inviare in Russia per monitorare le elezioni politiche di dicembre. I russi ammetteranno infatti soltanto 70 osservatori invece dei 450 che avevano presenziato alle legislative del 2003. E gli inviati dell´Osce non potranno pubblicare i loro rapporti, né dare giudizi in conferenza stampa sulla correttezza delle votazioni, se non due giorni dopo la chiusura delle urne. Ma non è soltanto l´aver ridotto di sette volte la presenza degli osservatori internazionali, a dare il segno della tensione che ci dev´essere al Cremlino. Sono l´ampiezza e i toni della propaganda, l´enfasi degli appelli a Putin perché resti alla presidenza, che stupiscono. Viene sbandierato un «programma di Putin» che in realtà non esiste salvo un libercolo che compendia alcuni suoi discorsi, s´invoca una modifica della Costituzione che consenta al presidente un terzo mandato. E intanto da vari settori sella società – compresi molti artisti ed intellettuali – si propone che gli venga riconosciuto a vita lo status di «leader nazionale», quale che sia la carica che egli deciderà prossimamente d´assegnarsi. Un Ataturk russo, quindi, un padre della patria o addirittura un «piccolo padre», l´appellativo con cui il popolo si rivolgeva allo zar. Nessuna meraviglia perciò che esista ovunque, in Russia e fuori della Russia, una difficoltà a decifrare la politica moscovita. Di chiaro, infatti, c´è soltanto che la manna dell´aumento dei prezzi del petrolio continua a scendere ininterrotta sulle teste di Putin e dei suoi. Ma quali siano le intenzioni di Putin sul suo futuro, come stia preparando la continuità del suo potere e quella del regime, tutto questo resta per ora inafferrabile. Come s´è detto, al voto di dicembre il partito capeggiato da Putin stravincerà, lasciando sui banchi della Duma pochi posti a non più d´un paio di partiti: il comunista di Ziuganov e il liberale (falso liberale) di Zhirinovckij. Ma ciò di cui il regime ha bisogno non è una semplice vittoria: gli serve un trionfo, un plebiscito sul nome di Putin. In modo che già tra un mese, prima ancora della scadenza del mandato presidenziale, sia dimostrato che i russi vogliono essere governati da lui e da nessun altro. E se poi gli osservatori internazionali dovessero obbiettare sulla regolarità delle elezioni, la risposta è pronta: un´altra interferenza dell´Occidente diretta a minare la stabilità politica della Russia, un tentativo di suscitare a Mosca i sommovimenti degli anni scorsi a Tbilisi e a Kiev. Un plebiscito ottenuto per via elettorale (e non importa se con metodi discutibili) dovrebbe consentire a Putin di scoprire finalmente le sue carte. E qui, dato per certo che egli non si ritirerà a vita privata, sono possibili soltanto un paio d´ipotesi. L´eventualità d´un terzo mandato, con la Duma che voti per acclamazione la necessaria modifica costituzionale, è poco convincente. Con tutte le ambizioni che il regime mostra d´avere sulla scena mondiale, una specie di presidenza a vita farebbe scivolare la Russia al livello della Bielorussia di Lukashenko o del Kazakhstan di Nazarbayev, togliendole prestigio e ascendente politico. L´ipotesi meno vaga resta quindi quella dell´elezione a presidente, il marzo prossimo, d´un fedelissimo di Putin. Non un personaggio di forte identità, appoggiato da uno dei vari clan in cui s´è diviso il regime, ma uno di fisionomia più grigia e con una carriera di gregario. Per esempio l´attuale primo ministro Viktor Zubkov (come sostengono quasi unanimi i politologi moscoviti), che si muove all´ombra di Putin sin dai primi Novanta a Pietroburgo. Sei mesi, un anno, e il neo-presidente potrebbe sentirsi inadeguato alla carica, o ammalarsi, tanto da rassegnare le dimissioni. E tre mesi dopo, con le nuove presidenziali, Putin tornerebbe al Cremlino. Ma avanzare una o più ipotesi sugli sviluppi politici dell´attuale regime russo, non è la stessa cosa che ragionare su situazioni politiche per così dire «normali». A Mosca – è bene non dimenticarlo – gli uomini del regime sono infatti per la gran parte ex agenti segreti. E la specialità della loro Casa Madre, il Kgb, era la disinformazione.