Massimo Piattelli Palmarini, Corriere della Sera 9/11/2007, 9 novembre 2007
Il mio articolo di critica al neo-Darwinismo ortodosso, pubblicato domenica 4 novembre nelle pagine di cultura del Corriere della Sera, ha trovato un’ampia e positiva eco su Il Foglio del 6 e 7 novembre
Il mio articolo di critica al neo-Darwinismo ortodosso, pubblicato domenica 4 novembre nelle pagine di cultura del Corriere della Sera, ha trovato un’ampia e positiva eco su Il Foglio del 6 e 7 novembre. Sono grato al direttore, ai redattori e ai collaboratori di quella testata per la gentile attenzione rivoltami, per il fedele riassunto degli argomenti da me trattati e per una lusinghiera biografia. Intelligentemente, Il Foglio ha consultato due qualificatissimi colleghi e amici, il genetista Edoardo Boncinelli e lo storico della scienza Telmo Pievani. Con loro sono da tempo in perfetta sintonia sul modo di ri-pensare l’evoluzione. Vorrei qui rassicurare Pievani che sono lungi dall’invocare qualsiasi intervento «esterno» e Boncinelli che sono lungi dall’invocare un’alternativa all’evoluzione. Arricchimento sì, alternativa no. Da loro mi distanzio solo per quanto riguarda alcune valutazioni espresse sul peso delle cose che dico in quell’articolo e sull’opportunità di dirle. Boncinelli mi accusa garbatamente di «dire cose vecchie» quando faccio presente l’intreccio delle regolazioni dei geni maestri (sui quali lui stesso e i suoi colleghi hanno lavorato tanto) e di dire «un’ovvietà» quando sottolineo l’importanza delle leggi della fisica nel fornire grandi linee maestre e insospettate leggi di ottimizzazione per lo sviluppo degli organismi viventi. Alcune delle scoperte alle quali mi riferisco in quell’articolo sono vecchie di circa vent’anni, ma quasi ogni mese vengono pubblicate scoperte nuove e spesso sbalorditive. Per esempio l’intero campo della giunzione alternativa di segmenti di geni ( alternative splicing) è in pieno e tumultuoso sviluppo, al Broad Institute di Cambridge Massachusetts (congiuntamente di Harvard e del Mit) e la prima sintesi comprensiva sull’argomento è del 2006. I lavori sulle ottimizzazioni biologiche spontanee delle quali parlavo spaziano dal 1999 al 2006, quindi non sono poi tanto vecchi. Christopher Cherniak e colleghi all’Università del Maryland hanno sudato per ben due anni (dal 2002 al 2004) a soddisfare le obiezioni dei recensori scientifici, prima di poter pubblicare il loro articolo sull’ottimizzazione naturale (innata ma non geneticamente determinata) delle connessioni nervose, dal verme al macaco. Non proprio il trattamento riservato a chi dice un’ovvietà. Sia Boncinelli che Pievani dichiarano che i darwinisti ortodossi sono, oggi, una minoranza, che quanto affermo è ormai condiviso dalla maggioranza dei biologi e dei genetisti e che, quindi (lasciano capire), avrei agitato una tempesta in un bicchier d’acqua. Li smentisce l’eco immediata e notevole suscitata dal mio articolo, i messaggi di posta elettronica che sto ricevendo (in maggioranza di apprezzamento, soprattutto da professori di biologia dei licei), il folto pubblico che mi ha onorato al Festival di Genova e la nutrita discussione che ne è seguita (alla quale Pievani era presente). Se anche fossero cose vecchie e ovvietà, non sembrano essere state abbastanza divulgate. Ma vengo adesso ai colleghi ascoltati da Il Foglio, dai quali, invece, parzialmente dissento. Il corsivista riporta correttamente le parole del cardinale Christoph Schoenborn, che invitava, in un suo celebre articolo del 2005 (pubblicato sul New York Times), a «superare la visione materialistica dell’evoluzionismo». Il cardinale ed io concordiamo (in sintonia con i laicissimi biologi Stephen Jay Gould, Richard Lewontin e Stuart Kauffman) nel rivendicare il ruolo centrale giocato nell’evoluzione della vita dalle leggi della forma e da principi universali di coordinazione e ottimizzazione molto generali ed astratti. Ma anche questa è una visione perfettamente materialistica. Complessa, astratta, ma materialistica, proprio come lo sono la fisica e le sue leggi. L’antropologo e paleontologo monsignor Fiorenzo Facchini, nella sua intervista a Il Foglio, dice tantissime cose con le quali concordo, in particolare che esula dalla scienza trovare «il significato di un mondo che ha una sua storia evolutiva ». Su questo, a mio giudizio, Montale, Goethe e Borges ci hanno detto molto. Dissento, però, quando afferma: «L’evoluzione non può dimostrare, ma neppure escludere la sfera trascendente». Invece penso proprio che la escluda, almeno quando si resta in ambito scientifico. Introdurre il trascendente violerebbe il patto scientifico, che consiste nello spiegare la natura restando nel naturale. Il significato del mondo, appunto, esula dalla scienza e ciascuno lo cerca a suo modo, nella letteratura, l’arte, la filosofia, la musica e, ovviamente, i credenti nella religione. Ma la spiegazione dell’evoluzione biologica è, per contratto intellettuale, impresa estranea al trascendente. Vengo infine al genetista Giuseppe Sermonti, il cui pezzo del 7 novembre assimila la selezione naturale a enti inesistenti congetturati dagli scienziati di altri tempi. La selezione naturale, a differenza di quanto afferma Sermonti, è ben reale ed avviene da miliardi di anni e avviene anche dentro di noi mentre leggiamo questo articolo (anticorpi, cellule del pancreas, cellule epiteliali, per non parlare delle connessioni nervose). Che non basti da sola a spiegare l’evoluzione e vada integrata con molti altri complessi meccanismi è quanto anche io sostengo, ma assimilarla all’inesistente flogisto degli antichi alchimisti e all’inesistente etere dei fisici di inizio Novecento è scorretto. A differenza di quanto afferma Sermonti, c’è continuità tra la genetica di popolazioni e l’evoluzione dei viventi, così come c’è continuità tra la biochimica e l’embriologia. Parafrasando nel presente contesto una bella espressione di Bertrand Russell, è un errore ritenere che, siccome la selezione naturale non è sufficiente, allora essa non è nemmeno necessaria.