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 2007  luglio 13 Venerdì calendario

PEZZI VARI SUL SUICIDIO DI CORSO BOVIO


Si è ucciso l’avvocato milanese Corso Bovio. Dopo aver lasciato una lettera alla moglie si è sparato un colpo di pistola nel suo studio a pochi passi dal Palazzo di giustizia: 59 anni, penalista e pubblicista era iscritto all’albo degli avvocati dal 1975 e a quello dei giornalisti dal 1970.
Recentemente aveva avuto come clienti, tra gli altri, Impregilo, l’immobiliarista Stefano Ricucci, l’ex ministro della Sanità Girolamo Sirchia e il senatore Marcello Dell’Utri, oltre a numerose testate giornalistiche. Per l’Ordine Nazionale dei Giornalisti aveva curato il manuale Diritto e informazione, redatto lo statuto dell’Istituto per la formazione al giornalismo Carlo De Martino ed era stato docente nei corsi di formazione e aggiornamento professionale.
Mentre i carabinieri di Milano avviano le inevitabili indagini e colleghi e magistrati rilasciano dichiarazioni piene di dolore e sgomento, Panorama.it lo ricorda con alcuni passaggi di un suo intervento, due anni fa, alla presentazione di un libro sulla morale dei giornalisti, nel quale, con la consueta ironia e incisività, aveva parlato di correttezza di giornalisti e avvocati. Dimostrando una volta di più la sua lungimiranza.
Come si fa a vedere se un giornalista è corretto? Vi racconterò un detto degli americani: ”Come si capisce se un avvocato dice bugie? Basta vedere se muove le labbra”. Io dico che gli avvocati hanno un debito di verità. Se presentano un testimone poco credibile non ci guadagnano. nell’interesse del cliente raccontare sempre la verità. E dunque dico: quando un giornalista è corretto? Quando rende un buon servizio informativo al suo cliente, il lettore.
Ma il sistema deontologico dei giornalisti è forse troppo autoreferenziale. Forse siamo poco aperti al pubblico, che invece deve poter segnalare e intervenire per verificare la qualità del prodotto. Una sfida simpatica per i mezzi di informazione potrebbe essere sottoporsi al controllo dei lettori, non per castigare questo o quel giornalista, ma per dare un bollino blu di qualità all’informazione.
L’etica del giornalismo, la morale del giornalista, devono aprirsi alla costante verifica del pubblico.

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Commenti
Ci sono 6 commenti a Suicida Corso Bovio: una vita tra stampa e tribunali, con il pallino della verità
Il 9 Luglio 2007 alle 17:30 Suicida Corso Bovio: una vita tra stampa e tribunali, con il pallino della verità | rubriche ha scritto:
[…] leggi su Panorama.it - Italia Articoli CollegatiGoverno, giornalisti, intercettazioni: là dove arrivano le condanne […]
Il 9 Luglio 2007 alle 19:54 franted ha scritto:
In questa triste Italia dei veleni ci voleva forse un agnello sacrificale…ed eccolo qui. Ma nessuno mi toglie il DUBBIO e cioè che non si sia affatto ucciso. Non si era forse ”sparato” alla testa anche Raul Gardini? Vorrei campare 100 anni per poterlo sapere…
Il 9 Luglio 2007 alle 21:48 gianfrancofiore ha scritto:
Fare l’avvocato un mestiere sempre più difficile e usurante stretti in una morsa di clienti sempre più esigenti e strutture semicolassate.Cerchiamo tutti di riflettere su un sistema che è in stato di emergenza e mette in dubbio lo stato di diritto.
Il 10 Luglio 2007 alle 8:49 Corrado Buccieri ha scritto:
Stiamo tornando ai suicida misteriosi.
Il 10 Luglio 2007 alle 10:04 franted ha scritto:
Scusate se insisto. Come puo’ suicidarsi uno che si è comperato una barca nuova? No, io lo so per mia piccola esperienza, è mooolto difficile. E poi nessun biglietto. Non ci credo….
Il 10 Luglio 2007 alle 11:54 walter.sveltoni ha scritto:
Mi spiace per questo avvocato di cui parlano tutti i giornali ma… chi è?
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Disposta autopsia per Corso Bovio, sentita l’ultima moglie
martedì, 10 luglio 2007 5.12
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MILANO (Reuters) - Il pm ha disposto l’autopsia per la salma di Corso Bovio, celebre avvocato penalista trovato morto ieri nel suo ufficio a Milano per un colpo di pistola in bocca.

Lo riferiscono fonti giudiziarie.

L’autopsia disposta dal pm Massimiliano Carducci verrà effettuata domani o dopodomani. L’ipotesi più accreditata finora è quella del suicidio, e il pm sta compiendo accertamenti per capire le ragioni che avrebbero indotto l’avvocato a togliersi la vita. A questo proposito è stata sentita intanto Rita Percile, l’ultima moglie di Bovio.

L’avvocato Corso Bovio, 59 anni, uno dei più noti penalisti milanesi, docente universitario e legale fra l’altro del Corriere della Sera, è stato trovato morto ieri intorno alle 15 nel suo studio di via Podgora a Milano.

In mattinata aveva discusso una causa a Prato, ed era tornato poi a Milano insieme ad un collaboratore, al quale aveva consegnato una lettera chiedendogli di recapitarla alla moglie in seguito a sue ulteriori indicazioni.

L’avvocato Libero Corso Bovio, uno dei più noti penalisti milanesi, nonchè docente di giurisprudenza e autore di numerose pubblicazioni in materia, è stato trovato morto intorno alle 15 nel suo studio milanese, in via Podgora 13. Secondo le prime informazioni si tratterebbe di un suicidio. Bovio si sarebbe ucciso con un colpo di pistola. E’ stato trovato morto nella sua stanza dopo che i collaboratori avevano udito un colpo di pistola. I carabinieri, che indagano sul caso, non avrebbero al momento elementi che portino ad altre piste oltre quella del gesto volontario.

Prima del gesto il penalista ha consegnato a un suo collaboratore una busta indirizzata alla moglie. E’ quanto è stato possibile ricostruire dalla parole del presidente dell’Ordine degli avvocati di Milano, Paolo Giuggioli, giunto negli uffici di via Podgora. Corso Bovio era tornato da un viaggio di lavoro a Prato intorno alle 14: «Era tranquillissimo e aveva fatto questo viaggio accompagnato da un suo assistente», ha spiegato Giuggioli aggiungendo però che l’avvocato aveva lasciato ad un suo assistente una lettera da consegnare alla moglie: «Da darle dopo successive istruzioni - ha spiegato ancora Giuggioli - ma sembrava un fatto del tutto normale». La moglie di Bovio, l’avvocato Rita Percile, è passata allo studio di via Podgora intorno alle 15.30 andando via poco dopo. Giuggioli, visibilmente commosso, spiega infine che Bovio «lavorava tantissimo sia come penalista che per i procedimenti interni all’Ordine degli avvocati». Ad avvertire i carabinieri, intorno alle 14.15 è stata la centrale del 118 che avvertiva che in uno studio legale in via Podgora numero 13 a Milano si era verificato un suicidio.


Libero Corso Bovio, nato a Milano il 5 maggio del 1948, era l’ultimo discendente di una famiglia di avvocati e giuristi napoletani.

Si era laureato in giurisprudenza con il massimo dei voti e lode nel 1971 presso l’Università Statale di Milano. Era diventato avvocato cassazionista per esami nel 1981. Il suo è uno dei maggiori studi che si occupano di diritto all’informazione e di diritto penale.

Fra i suoi antenati il filosofo Giovanni Bovio, suo bisnonno (nato a Trani e napoletano d’adozione), e il nonno Libero Bovio, poeta, giornalista ed editore napoletano, paroliere di canzoni immortali come "Reginella". Suo padre Giovanni, morto negli anni ’70, era stato uno dei maggiori avvocati del foro di Milano. Tra i massimi esperti di diritto dell’informazione e della stampa, Bovio ha tenuto per anni corsi e seminari all’ IFG dell’Ordine Giornalisti di Milano alla scuola di Giornalismo dell’Università di Urbino, contribuendo a formare generazioni di giornalisti. Ha curato per l’Ordine dei Giornalisti il manuale Diritto-Informazione, testo di preparazione all’esame di abilitazione professionale. Lui stesso giornalista pubblicista dal 1970, Collaboratore del Corriere della Sera, Corso Bovio ha collaborato, pubblicando articoli e curando rubriche giuridiche, con svariate testate giornalistiche.



MILANO – «Adoro Libero Bovio fino alla settima generazione (rami cadetti compresi)» . La vignetta-dono di Staino, che accoglieva in studio nella saletta d’attesa i clienti di uno dei più stimati avvocati penalisti d’Italia, è datata 1999 ma parla(va) in effetti a nome di una folla di imputati, grandi imprese, giornali e giornalisti, giuristi, colleghi avvocati, collaboratori, magistrati, amici e persino conoscenti: tutti conquistati dalla sapienza lieve, dotta ma ironica, profonda ma disincantata, di un uomo brillante, colto, arguto, pozzo di sapienza nel suo mestiere e tuttavia puntualmente in grado di surclassare chiunque con lui si trovasse a parlare di quasi ogni angolo di scibile che a un avvocato capiti di incrociare nella varietà delle cause affrontate.
Espressione della migliore «scuola» forense (giuridica ma al tempo stesso filosofica) napoletana, Bovio, nato il 5 maggio 1948, aveva nutrito la sua ecletticità personale e vivacità intellettuale in una famiglia dove il bisnonno Giovanni, filosofo scomunicato per un suo corso di filosofia, aveva battezzato i figli Libero e Corso (e il detto popolare attendeva anche Filosofia per una femmina). Un altro avo fu poeta, editore, giornalista, ma per la storia del Paese soprattutto paroliere di pietre miliari della canzone partenopea come «Reginella». E con il mito di suo padre, Giovanni, morto negli anni ’70, uno dei più spettacolosi avvocati del suo tempo, forse il più celebrato per virtù oratorie, fin da giovane Corso si era dovuto misurare.
Laureato in giurisprudenza con il massimo dei voti nel 1971 alla Statale di Milano, Bovio non aveva mancato di pagare il suo pedaggio all’immancabile Italia del non-merito, incredibilmente venendo bocciato la prima volta che, giovanissimo, aveva affrontato l’esame da «cassazionista » (lo sarà dal 1981).
«Se uno mi chiede di parlare della nostra vita qui, non posso farlo senza parlare per forza anche di Bovio», sussurrava ieri a una sua collega il pm Ilda Boccassini appena appresa la notizia. E di tutte le attestazioni piovute ieri da una (quantomai rara) unanimità di avvocati, come pure dai più altri gradi della magistratura, in questa frase c’è indirettamente una verità di 30 anni di giustizia italiana. Non c’è un processo, una vicenda, uno snodo giudiziario che non abbia visto Bovio protagonista. Gli anni del terrorismo, con la parte civile al processo per l’omicidio dell’inviato del Corriere Walter Tobagi. La parte civile, per il Comune di Milano, nei processi per la strage di piazza Fontana. Ma anche tutta la saga di Mani pulite nel 1992-1994, con mille incarichi (da Necci a Ferrè, da Troielli a Berruti) e, fra gli altri, la difesa di Silvano Larini nel momento in cui l’uomo di fiducia del leader socialista Craxi scelse di tornare in Italia, consegnarsi e rivelare i segreti ventennali del «conto Protezione ». Fino ai processi a Silvio Berlusconi, visti dall’oblò dei fondi esteri di competenza del manager Fininvest Giorgio Vanoni; a quelli di Marcello Dell’Utri; a quelli di Cesare Previti nell’interminabile sequela di dibattimenti per le tangenti Imi-Sir, dalla parte della vedova e del figlio di Nino Rovelli. E poi, più di recente, le inchieste sulle scalate bancarie, con l’iniziale difesa di Stefano Ricucci.
Eppure, più di tutto, Bovio era l’avvocato per antonomasia del diritto dell’informazione, che deve alle sue cause non pochi dei propri spazi di libertà. Avvocato storico del Corriere della Sera, collaboratore di rubriche di Famiglia Cristiana
e Oggi, ex consigliere nazionale dell’ Ordine dei Giornalisti, per 5 anni presidente del Circolo della Stampa, quasi ogni giornalista aveva studiato sui suoi corsi. E ne aveva sperimentato, accanto alla bravura, la cortesia del gentiluomo che non si negava al cronista dell’ultimo foglio come al direttore del grande giornale.
Grande oratore, impareggiabile divulgatore di ostrogoto «giuridichese», alle persone in cui ravvisava quella curiosità intellettuale che ne sosteneva la verve, era solito spedire piccole dissertazioni giuridiche che, sui temi più disparati e in un registro stilistico sfolgorante da far invidia a molti scrittori, affidava proprio solo agli amici: così, per sfizio, per gusto intellettuale, per divertimento colto. L’ultima per commentare la legge sulle intercettazioni, e provocatoriamente proporre piuttosto «l’Iput (imposta sulle pubblicazioni delle trascrizioni) di 1 euro a parola» come soluzione per «costituire un nuovo tesoretto». Ma si capiva che si era divertito di più qualche articoletto prima, quando, all’esito di una singolar tenzone gastronomico-storico-giudiziaria, aveva trasmesso agli amici «gli atti del processo alla polpetta. Speravo di vincere almeno questa causa facendo l’accusatore e mettendo il pm Robledo nell’angolo del difensore, e invece ha vinto lui...».
«C’è grande stupore e costernazione», mormora il presidente dei penalisti italiani Oreste Dominioni. In studio, proprio accanto alla vignetta di Staino, Bovio aveva fatto incorniciare un quadretto di sornione humor: «Non promuovere mai lite contro un giudice. La causa sarà decisa a gradimento suo (Ecclesiastico, 8.14)» . Proprio come ieri la misteriosa «lite » interiore, intentatagli nell’anima da qualche insondabile trasalimento che, per la prima volta, l’ha sorpreso senza più parole d’arringa.

GIOVANNI BOVIO
Pugliese, classe 1837, il bisnonno ( sopra) di Corso Bovio era un eminente studioso di filosofia del diritto e un convinto repubblicano, fu anche deputato. Ebbe due figli che chiamò Corso, in onore degli italiani della Corsica, e Liberato, come omaggio agli irredentisti LIBERATO BOVIO
Detto Libero, nacque a Napoli nel 1883.
Appassionato di musica e teatro scrisse tra le più belle canzoni napoletane come «Signorinella» e «Reginella». Fine umorista, scrisse il suo epitaffio: «Qui non riposa Libero Bovio perché gli altri morti di notte litigano tra loro e gli danno fastidio» GIOVANNI BOVIO
Il padre di Corso Bovio lasciò Napoli per Milano dove divenne il più autorevole e stimato avvocato del tempo.
Affrontò processi importanti come quello contro Rina Fort ( sopra), la commessa che nel 1946 a Milano uccise la moglie del suo ex amante e i loro 3 figli

MILANO’ «L’ho visto martedì sera al ristorante a Milano. Una cena in famiglia. Era stanco, stressato, ma sempre amabile».
Girolamo Sirchia (foto), ex ministro della Salute, aveva conosciuto l’avvocato Corso Bovio 20 anni fa a casa di amici comuni. «Da allora non ci siamo mai persi di vista’ racconta con le lacrime agli occhi ”. Mi è stato vicino anche come legale nelle mie disavventure giudiziarie. Le sue capacità professionali andavano di pari passo con lo spessore umano».


REPUBBLICA
ORIANA LISO
EMILIO RANDACIO
MILANO - La spiegazione di un gesto tragico qual è il suicidio potrebbe essere in un problema di salute. Aspettava l´esito di un esame medico l´avvocato Corso Bovio, 59enne penalista milanese che dai tempi di Tangentopoli era sempre stato nelle aule di tribunale dei processi più importanti. Fino alle quattordici di ieri, quando - appena rientrato con un collaboratore da Prato, dove aveva discusso una causa - si è chiuso nel suo studio e si è sparato. Un solo colpo con una 357 Magnum della piccola collezione di armi che conservava in cassaforte nella sua stanza al quarto piano della palazzina di via Podgora, a due passi dal tribunale. Nessuna spiegazione ai collaboratori di una vita, quelli che l´hanno trovato riverso nella sua stanza e hanno dato, ormai inutilmente, l´allarme. Solo un plico a sua moglie Rita Percile - anche lei avvocato nello studio La Russa, sposata in terze nozze - consegnato al suo fattorino pochi minuti prima di quello sparo, con l´esplicita raccomandazione di consegnargliela quando glielo avesse detto lui. Una consegna mai avvenuta: dopo quelle poche parole nello studio è risuonato il colpo confuso, in un primo momento, con il rumore della pistola giocattolo per il tiro al bersaglio che Bovio a volte usava come antistress.
La busta è stata sequestrata dai carabinieri arrivati in via Podgora assieme al pm Massimiliano Carducci: sembra, però, che contenga solo delle disposizioni di natura economica. Non spiegazioni, né addii. Assieme alle infinite carte dello studio - che è stato posto sotto sequestro - saranno analizzate dagli investigatori che devono ricostruire il motivo del suicidio di Bovio. Oggi verrà effettuata l´autopsia, che potrebbe spiegare il suo stato di salute. Il padre dell´avvocato - Giovanni, penalista napoletano altrettanto noto negli anni Settanta - era morto per una insufficienza cardiaca. Nessuno, ieri, riusciva a credere a un motivo legato alla sua professione, anche se sua zia Gianna ricordava: «Quest´inverno gli avevo chiesto se qualcuno poteva volergli male, mi aveva risposto che qualcuno c´è sempre». L´anziana donna, come tutti i colleghi, i magistrati, le persone accorse ieri in via Podgora non si capacitavano di quel gesto spiazzante.
Nessun segnale evidente di un malessere, nemmeno per le persone a lui più vicine. Come Caterina Malavenda, l´avvocato che da sempre lavorava con lui, che ieri diceva: «Era come un fratello, se solo avessi capito qualcosa non sarei stata a guardare». Tanto lavoro, anche ora che la vicina pausa estiva del tribunale avrebbe dovuto farlo rallentare: una puntata in Liguria, domenica, con la moglie e poi ieri mattina il viaggio verso il tribunale di Prato. In aula i colleghi lo avevano visto più volte uscire per telefonare alla madre, che ha problemi di salute legati all´età. Poi il rientro a Milano: senza un gesto o una parola che facesse pensare a quello che stava per fare e che sicuramente aveva già deciso.


REPUBBLICA
CINZIA SASSO
MILANO - Giovedì, solo quattro giorni fa, aveva detto no a Oggi, che spesso lo interpellava sulle questioni giuridiche: «No, mi spiace, è un argomento sul quale non sono preparato». In tanti anni, era la prima volta, anche perché Corso Bovio amava forse ancora di più della sua professione quell´altra, che pure era autorizzato a svolgere, dato che era diventato giornalista prima ancora che avvocato. E una decina di giorni fa, a un collega penalista, insieme a un biglietto affettuoso, aveva mandato poche righe tratte da un articolo di Piero Calamandrei: «Per questo amiamo la nostra toga: per questo, vorremmo che, quando il giorno verrà, sulla nostra bara fosse posto questo cencio nero, al quale siamo affezionati perché sappiamo che esso è servito ad asciugare qualche lacrima, a risollevare qualche fronte ingiustamente umiliata, a reprimere qualche sopruso: e soprattutto a ravvivare nei cuori umani la fede nella vincente giustizia, senza la quale la vita non merita di essere vissuta».
Segni premonitori? Nell´angoscia piena di interrogativi senza una risposta che sia una, davanti al numero 13 di via Podgora, là dove al quarto piano l´avvocato Corso Bovio per tanti anni ha lavorato e dove ha voluto far arrivare la sua ora, i colleghi, i magistrati, gli amici, scoprono che di lui sapevano ben poco. Andava al mare in Liguria, forse aveva una barca, no, non aveva figli. Sapevano che era un grande avvocato, questo sì; intelligente, ironico, di grande cultura e non solo giuridica, appassionato ma anche distaccato, elegante, cortese. La zia Gianna, che ha voluto salire a vedere il suo Corso per l´ultima volta, lo dice bene: «Non sapremo mai cosa è successo. Perché è successo. Lui non l´avrebbe detto mai a nessuno». Ricorda quando passava in studio, a mezzogiorno, e lo trovava lì a mangiare un panino. «Ma un avvocato come te mangia così?». E gli raccomandava di fare gli esami perché suo padre, nel ”78, se n´era andato alla sua stessa età, tradito dal cuore.
Era figlio di un penalista della scuola napoletana, Giovanni, che a Milano era diventato un grande. Suo nonno Libero era stato editore, poeta, giornalista e anche paroliere: aveva scritto lui l´immortale Reginella. E il bisnonno Giovanni era stato un celebre filosofo. Corso aveva messo insieme tutto questo ed era diventato «l´avvocato dei giornalisti». Legale di testate come Il Sole 24 Ore e di gruppi editoriali come la Rcs; impegnato a insegnare come far andare insieme il doveroso rispetto della privacy e il diritto di cronaca all´università di Urbino, all´Istituto per il giornalismo di Milano, alla Bocconi e ovunque si insegnasse l´abc del mestiere. Raccomandava «di non appiattirsi sulle veline», ma anche «di avere rispetto della vita privata delle persone sospettate» e di garantire «a ognuno, oggetto di resoconti non corretti, il diritto di rettifica o di replica».
Il gentleman dei tribunali era anche un avvocato di successo, con un´agenda sempre piena: oggi avrebbe dovuto essere in udienza per l´incidente probatorio di Antonveneta; giovedì avrebbe accompagnato in aula l´ex ministro della salute Girolamo Sirchia; tra i suoi casi, quello sullo spionaggio Telecom, difensore del giornalista di Famiglia Cristiana - giornale sul quale teneva una rubrica, «Il legale» - Guglielmo Sasinini. Da poco aveva concluso in Cassazione la vicenda Imi-Sir, accanto ai Rovelli, Felice e la madre Primarosa Battistella. E ai tempi di Mani Pulite era stato tra i più attivi: aveva fatto rientrare in Italia, ed era riuscito a farlo liberare nel giro di 48 ore, l´amico di Craxi Silvano Larini; c´era lui accanto al cassiere Gianfranco Troielli; e a Enzo Carra, quello delle manette in aula; e al socialista Gianstefano Milani; e ancora all´avvocato amico di Berlusconi Massimo Maria Berruti.
«Serio, rigoroso, riservato», dice il presidente delle Camere penali Oreste Dominioni; «persona di grande lealtà e correttezza», per il procuratore aggiunto Nicola Cerrato; «un professionista molto stimato, anche dal punto di vista umano», aggiunge il presidente del Tribunale Livia Pomodoro.


MILANO - «Avevo appuntamento nel suo studio proprio oggi (ieri, ndr), alle 18 e 30». L´avvocato Salvatore Pino, un giovane legale che tra i suoi clienti annovera anche il gruppo Fininvest, ha conosciuto Corso Bovio avendo incrociato la sua strada soprattutto negli ultimi mesi. «Ho saputo della notizia della sua morte per telefono, da un collega. Insieme stavamo affrontando un processo», confida. «Usare delle parole per ricordarlo è difficile senza essere retorici», dice l´avvocato Pino mentre commenta la notizia avendo tra le mani un fax che proprio ieri mattina gli era arrivato dallo studio Bovio, con in fondo la firma del titolare dello studio.
Come ha reagito alla notizia della sua morte?
«Non sono riuscito a crederci. Per come l´ho conosciuto non ci credo ancora adesso. L´ultima volta che l´ho sentito è stato solo venerdì scorso».
Che cosa l´ha colpita della sua figura?
«Com´è accaduto per molti giovani avvocati, posso solo dire che quello che mi ha sempre colpito di lui è stata la grande disponibilità e la capacità di mettere chiunque a proprio agio senza far pesare la propria esperienza in questo mestiere».
Un ricordo particolare?
«Al di là delle doti professionali che gli sono state riconosciute da tutti, anche da chi in aula lo aveva "contro" come i magistrati, in un momento così voglio ricordare l´ironia che ha contraddistinto la persona. Un uomo che leggeva tantissimo, che suggeriva libri e che riusciva a essere spiritoso in tantissime circostanze, magari anche inviando confezioni di cibo o di vini che portavano il suo stesso nome. Con una battuta scritta a mano: "in attesa di invitarti a cena..."»


LA STAMPA
PAOLO COLONNELLO
MILANO
Alla fine è la vecchia zia Gianna a dire la cosa giusta: «Corso era il mio nipote adorato e lo conosco abbastanza bene per sapere che anche questa volta avrà fatto le cose in modo tale che nessuno riuscirà mai a scoprire il vero motivo del suo gesto».
Un po’ svanita la zia Gianna, ma al momento è impossibile darle torto. Perchè se c’è una persona, un uomo di cui mai avresti detto che sarebbe finito così, questi era l’avvocato Corso Bovio, 59 anni, morto suicida ieri pomeriggio nel suo studio a due passi da Palazzo di Giustizia. Un gesto da vero professionista, anche in questo: un colpo di 357 magnum sparato in bocca, nel suo ufficio, dopo aver consegnato a un collaboratore, Rosario, una busta indirizzata alla moglie. «Dai questa busta a mia moglie». «Quando gliela devo portare?». «Te lo dirò dopo». Tutto qui, con quel ”te lo dirò dopo” che suona adesso come un’ultima, sublime, ironia. Il solito avvocato Bovio: dai modi gentili e le parole misurate. Chi mai poteva pensare o anche solo lontanamente sospettare che quello sarebbe stato il suo addio? «Se mai avessi immaginato qualcosa - dice con gli occhi lucidi Caterina Malavenda, la socia storica, la sua anima femminile nelle mille cause in difesa dei giornalisti - state tranquilli che non sarei stata con le mani in mano». Invece niente: nè gli amici più cari, nè i colleghi più vicini, nè i collaboratori più intimi, nè i magistrati di ogni grado che ieri si sono radunati in mesti capannelli sotto lo studio di via Podgora, hanno mai immaginato alcunchè.
Erano circa le 14. Corso Bovio ha lasciato che il fattorino uscisse, ha impugnato il revolver di grosso calibro regolarmente denunciato, come altre armi che amava collezionare, e davanti alla sua scrivania ha premuto il grilletto. Voleva essere sicuro di morire. Senza spiegazioni, senza che nessuno potesse capire l’intimità di quel gesto che adesso pesa tantissimo nella comunità giudiziaria di Milano. Perché Corso Bovio era uno di quegli avvocati «per bene» che rappresentavano una garanzia di correttezza e lealtà nei processi che lo vedevano protagonista, definizioni che non si sprecano nella cittadella fortificata e pettegola di Palazzo di Giustizia. Ed era per giunta simpatico e spiritoso, sempre pronto a sdrammatizzare. Lui che ieri ha scelto una delle morti più drammatiche che ci si possa immaginare. Un vero rebus. E sembra che la busta indirizzata alla moglie, Rita Percile, avvocato civilista presso lo studio di Ignazio La Russa, sposata in quarte nozze con un matrimonio sontuoso alle Seichelles, non contenga nessuna indicazione utile. Anzi, non contenga nemmeno una lettera. La busta con il suo contenuto è stata sequestrata ieri dal magistrato incaricato delle indagini, il pm Carducci, che ha fatto anche sigillare l’ufficio del legale. Ma chi l’ha potuta vedere racconta che si tratta di una busta con un messaggio che nulla spiegherebbe del gesto. Il significato sarebbe quello di un ultimo saluto alla donna che con lui aveva condiviso questi anni di ascesa professionale e che ultimamente gli aveva causato qualche preoccupazione per un intervento dal quale si stava ristabilendo. Piccoli aggrottamenti della fronte, qualche astrazione del pensiero, niente di più per un uomo che, sebbene alla mano, era noto per la riservatezza.
Anche ieri mattina le aveva telefonato, l’ultima chiamata, alle 9,15: «Ben svegliata, io sono già qui al processo e i giudici, come al solito, sono in ritardo!». Chiamava da Prato, la città dove si era recato accompagnato da un collaboratore, per sostenere la difesa del commercialista Annibale Viscomi, piccola storia di corruzione legata al fallimento dell’ex mobilificio Aiazzone. Una causa persa per altre mille vinte e tante altre ancora da affrontare, come quella per l’Impregilo, l’ultimo grosso cliente acquisito. Una piccola delusione, perché quando il verdetto di Prato è uscito, Bovio, tornato a Milano, era già morto.
E sua moglie distrutta: «Io che faccio di tutto per la mia salute e lui che in salute è andato ad uccidersi...Questa non gliela perdono». Cosa sapeva Corso Bovio che agli altri era ignoto? Quale paura lo ha attanagliato per sconvolgerlo fino al punto di scegliere la morte? Mistero. Certo ha ragione la zia Gianna: Bovio è stato bravo a camuffare anche la più piccola ansia. Ancora domenica, sulla sua bella barca ormeggiata a Lavagna aveva dato disposizioni al marinaio per le vacanze: «Prepari tutto per il 24 luglio. Se non riuscirò ad arrivare partirà mia moglie e io vi raggiungerò in aereo». Voleva dire dal cielo.


LA STAMPA
SUSANNA MARZOLLA
MILANO
Un uomo ironico, colto, amante degli scherzi «e di tutti i calembour della vita», come dice l’avvocato Jacopo Pensa, suo collega e grande amico. Tutti fanno un ritratto così, senza ombrosità o tristezze (che poi fosse più apparenza che sostanza, la sua fine lascia molti margini di dubbio) di Corso Bovio, suicida a 59 anni. O meglio di Corso Libero Carlo Bovio, e dietro questa sequenza di nomi c’è una lunga storia di famiglia. Che comincia con il bisnonno Giovanni, originario di Trani e professore di filosofia a Napoli; va avanti con il prozio Corso e il nonno Libero, giornalista, editore e autore dei testi di storiche canzoni napoletane («Reginella», «’O paese do’ sole», «Signorinella»). E infine il padre Giovanni, uno dei «principi del foro» di Milano, morto a fine anni settanta quando Corso - laureato in legge alla Statale di Milano, a 23 anni e con il massimo dei voti - comincia a essere noto non soltanto come «il figlio di».
Perché il giovane Bovio, dal Dna di famiglia, aveva ereditato interessi che lo hanno reso non un «semplice» avvocato, titolare di uno studio prestigioso, ma un professionista multiforme che nel giornalismo aveva trovato un’altra vocazione. In particolare su quel terreno in cui informazione e giurisprudenza si fondono: la divulgazione giuridica, necessaria a chi opera nei media, da un lato; le norme che regolano il diritto all’informazione dall’altro. E, da avvocato, la difesa dei giornalisti e di importanti editori come il Sole 24 Ore e la Rcs.
Così il cordoglio - e l’autentico stupore per la sua morte - ieri a Milano passava da via Podgora, sede del suo studio, al Tribunale, alle stanze del Corriere in via Solferino, agli uffici di tutte le associazioni giornalistiche. Dice Franco Abruzzo, per moltissimi anni presidente dell’ordine dei giornalisti di Milano: «E’ stato un aiuto prezioso per noi, per risolvere tutte le questioni normative. E poi sono sempre stato tranquillo perché i giovani, per l’esame da professionista, studiavano sui suoi testi». Quel manuale «Diritto e informazione» chiamato da tutti gli esaminandi semplicemente «il corso Bovio».
Corsi di diritto per i giornalisti; corsi sui temi dell’informazione per gli avvocati; articoli divulgativi per il grande pubblico (collaborava, tra l’altro a «Oggi» e «Famiglia Cristiana»). Ma anche escursioni su temi più leggeri, come quando decise di scrivere la prefazione a un libro di Pompeo Locatelli - noto commercialista coinvolto in Tangentopoli - intitolato «I dolci e gli amari di Pompeo», perché di ricette si trattava. E lui a raccomandarne la lettura, ai futuri commercialisti, come ottimo «manuale di vita e di saggezza».
Corso Bovio era così, capace di seguire complicati processi basati sul diritto societario e contemporaneamente scambiare scritti ironici con gli amici: «L’ultimo era sui diritti degli animali, simpaticissimo», ricorda Luigi Cerqua, presidente di corte d’assise; «Si divertiva a mandarmi tutti gli articoli in cui i colleghi mi davano torto», ricorda ancora Abruzzo. Scritti e parole: se c’era lui anche il più noioso dei convegni si animava, magari soltanto con quel suo sarcastico sguardo a sopracciglia sollevate e la battuta pronta.
Giornalisti, editori, aziende importanti, personaggi famosi: l’elenco dei suoi clienti spazia dalla Milano di «Mani pulite» (Gianfranco Troielli, Silvano Larini), alla famiglia Rovelli, ai grandi stilisti coinvolti in un processo per corruzione, fino (inchieste ancora in corso) all’Impregilo e a Stefano Ricucci. Ma anche cause di impegno, come l’essere parte civile al processo per l’omicidio di Walter Tobagi e a quello per la strage di piazza Fontana.
Una vita piena, di interessi e anche di affetti (non aveva figli ma le compagnie femminili non gli sono mai mancate); apparentemente senza sofferenze o rimpianti: «Ci eravamo visti l’altra domenica e si era lamentato solo per una cosa: il dover restare a lavorare in città, col caldo e senza neanche un bar aperto», ricorda ancora P