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 2006  febbraio 18 Sabato calendario

GIUSEPPE VIDETTI

PARIGI
Sul marciapiede di Boulevard Saint-Germain che va dal Flore ai Deux Magots, due dei caffè letterari più rinomati della capitale francese, gruppi di turisti transitano ignari. Sono capitati in un hotel nei paraggi con un pacchetto all-inclusive. Chiedono ai vigili la direzione per Champs-Elysées, Concorde, Louvre. E naturalmente Torre Eiffel. Non sanno di essere nel quadrilatero magico della rive gauche. Sessant´anni fa il quartiere di Saint-Germain-des-Prés diventò la tana degli esistenzialisti, in una Parigi esplosiva che profumava d´arte e di quella joie de vivre che Picasso aveva raccontato a pennellate nel celebre quadro dipinto a Antibes, una sorta di manifesto della rinascita dello spirito umano dopo gli anni bui della guerra.
Nel 1947 Picasso è a Parigi, dove ha messo a punto le scene di uno spettacolo di teatrodanza, Le rendez-vous, che contiene "Les Feuilles mortes", una delle canzoni più potenti del secolo: testo di Jacques Prévert, musica di Pierre Kosma, coreografia di Roland Petit. E lavora alla realizzazione di un Oedipe roi di Sofocle che va in scena al Théâtre des Champs-Elysée. Bighellona, come gli altri artisti e le loro corti, nel quadrilatero che sembra esplodere sotto i colpi del jazz degli alleati, i ritmi caraibici, le percussioni africane, e Stephane Grappelli e Boris Vian e Orson Welles e Jean Cocteau e Jean Paul Sartre e Simone de Beauvoir con la cravatta che ha appena pubblicato Il secondo sesso e Camus che sta per pubblicare La peste e negresse esotiche dai seni al vento molti anni prima dello spogliarello di Aiché Nana al Rugantino di Roma. Anche Greta Garbo fa la sua apparizione al Tabou. Ma la musa degli esistenzialisti è una francese di Montpellier, si chiama Juliette Greco. Nel ´47, quando incide la prima canzone, ha vent´anni, è meravigliosamente bella, libera, anticonformista, ma già con molte storie dolorose da raccontare. Nella sua autobiografia, Jujube, ricordando quell´anno si racconta in terza persona: «La cultura esplode in bolle iridate davanti agli occhi attoniti di Jujube. Al Tabou, ogni notte, lei distinguerà, secondo il capriccio delle onde della vita di quella Parigi traboccante di idee e di desideri, i volti di Albert Camus, François Mauriac e Simone de Beauvoir, che ha occhi azzurri come un mare in burrasca. Quando li tiene abbassati su un foglio per ore intere, al Flore o al Deux Magots, ci si chiede se il foglio bianco non prenderà fuoco».
Il mito continua, a dispetto delle mode. Ieri sera, al Théâtre du Châtelet, la Greco ha tenuto l´ultimo di cinque concerti tutto-esaurito con cui ha festeggiato i suoi ottant´anni, compiuti il 7 febbraio, ma soprattutto i sessant´anni di carriera, perché spegnere le candeline sulla torta è una cosa che ha sempre detestato. «Sono felice di essere ancora qui, di poter camminare, correre, di sentirmi così piena di vita», ha detto ai parigini prima di cantare le ultime dodici "creature" incise nell´album Le temps d´une chanson, in cui accanto a brani di Brel, Trenet e Gainsbourg ha incluso anche Nel blu dipinto di blu di Domenico Modugno.
Accarezzata dalle luci di scena, sembra ancora il volto-immagine degli esistenzialisti che Boris Vian inserì nel suo Manuale di Saint Germain-Des-Prés, di cui recentemente Rizzoli New York ha pubblicato una preziosa ristampa in inglese (Editori Riuniti ne ha curato un´edizione nel ´99 con il titolo La Parigi degli esistenzialisti). Una delle foto più belle del libro la mostra su un letto disfatto dell´hotel La Louisiane, nella camera d´angolo che era stata di Sartre, il corpo nudo avvolto in un lenzuolo, mentre sistema un microsolco sul giradischi. Sulla moquette lisa c´è un caos, tipicamente esistenzialista, di bottiglie, tazze, cucchiaini, libri e copertine di dischi sparsi alla rinfusa. Nella prefazione, Vian annota: «Intorno al 1947 Saint-Germain-des-Prés diventò repentinamente la mecca del mondo intellettuale». In quello stesso anno l´artista, che oltre a scrivere suona la tromba, canta e trascorre notti ad alto tasso alcolico al Tabou, pubblica quattro libri, tra cui Autunno a Pechino, e ingordo di gloria dichiara: «Sarò contento solo quando in Francia si dirà V come Vian». E quasi ci riesce. Nel mese di aprile una copia del suo Sputerò sulle vostre tombe, istantaneo best seller pubblicato con lo pseudonimo di Vernon Sullivan, viene trovato accanto al cadavere di una ragazza strangolata dall´amante, un commesso viaggiatore che poi si toglie la vita in un bosco fuori città. Dalle pagine della cultura e dello spettacolo, Vian finisce involontariamente in quelle della cronaca e della politica, insieme alla «masnada di dissennati perdigiorno» che popolano le strade del quartier latin.
La verità è che lì si sta consumando una rivoluzione in cui cultura alta e bassa si mischiano senza pregiudizi. Il pianista Henry Renaud, che nel ´47 aveva ventidue anni, ricorda: «Saint-Germain ha fatto per la musica ciò che Montparnasse ha fatto per la pittura dopo il 1918. E non si trattava di una musica qualsiasi. Era jazz». Sartre, travolto dall´energia degli artisti d´oltreoceano ma al tempo stesso preoccupato da quell´ondata di musica d´importazione, in un articolo intitolato Jazz 1947 scrive: «La musica jazz è come la banana: la si deve mangiare sul posto».
Il Tabou era più trasgressivo di un rave, restava aperto fino alle dieci del mattino. Nel pomeriggio i modaioli - i più facoltosi erano già "schiavi" del new look di Dior, che nel ´47 aveva aperto il suo atélier - prendevano lezioni di be bop dai maestri afroamericani. Poi si ballava tutta la notte con la musica di Coleman Hawkins o Charlie Parker. Miles Davis non aveva ancora ventitré anni quando sbarcò a Parigi. Con la ventiduenne Jujube fu amore a prima vista. Nella sua autobiografia Davis racconta: «Non mi ero mai sentito così in vita mia: l´euforia di trovarmi in Francia e di essere trattato come un essere umano. Io e Juliette passeggiavamo lungo la Senna, tenendoci per mano e baciandoci, guardandoci negli occhi e baciandoci di nuovo. Magia pura, mi sentivo ipnotizzato, ero in uno stato di trance. Juliette è stata la prima a insegnarmi che si può amare qualcun altro oltre la musica. Era April in Paris e sì, ero innamorato». Restò un paio di settimane. Sartre gli chiese: «Perché non la sposi?». E lui: «L´amo troppo per renderla infelice». E si dileguò. «Non era a causa della sua reputazione di Don Giovanni o per questioni di droga, come molti pensano», dice oggi Greco. «Sapeva quali problemi avrei avuto in America se avessi sposato un uomo di colore».
A ottant´anni Jujube conserva intatti stile e charme. Gli stessi che folgorarono Miles: «Lunghi capelli neri, bellissima, chic, un portamento che la rende diversa da tutte le altre». Si nasconde ancora dietro elegantissimi abiti neri che si confondono con la scena buia, così la visione del suo viso pallido, una maschera inconfondibile, arriva chiara e nitida anche agli spettatori delle ultime file. Qualcosa, nel tanto dolore e nella malinconia che da sempre affogano le sue canzoni, lascia indovinare un tentato suicidio (proprio dopo aver girato Belfagor, nel 1965) e i troppi funerali degli eroi di Saint Germain che se ne sono andati, come canta drammaticamente in J´arrive dell´amico Brel («Di crisantemo in crisantemo i nostri amici incominciano ad andarsene…»). Sa di essere l´unica sopravvissuta di tutti quei volti che affollano il "manuale" di Vian, l´ultima testimone di un´epoca gloriosa. « gentile che la vita mi abbia portato fin qui», dice. «Le persone anziane hanno più paura della morte di quanta ne hanno i giovani, ma io sono rimasta all´immaturità, non la temo. Mi aiutano le canzoni: hanno il profumo di un istante, eppure ce ne sono alcune che ti accompagnano per tutta la vita, entrano a far parte della memoria collettiva. E hanno l´effetto di una madeleine di Proust. Ma io vivo sempre con sorpresa il presente. Solo un po´ di nostalgia quando ripenso a un´epoca in cui si poteva pagare il conto del ristorante con una poesia».