Sandro Cappelletto, La Stampa 17/2/2006, 17 febbraio 2006
SANDRO CAPPELLETTO
ROMA
Chi mai poteva immaginarlo, quella sera mantovana del 24 febbraio 1607? Una favola in musica, uno spasso di Carnevale offerto dal principe ereditario Francesco Gonzaga ai suoi amici nobili, ai letterati dell’Accademia degli Invaghiti. Una festa con recitazione, canto, musica e danza. Protagonista Orfeo, l’uomo che canta come un dio e ama la sua Euridice come il più indifeso degli adolescenti. Musica di Claudio Monteverdi, cremonese, quarantenne (dunque vecchiotto per l’epoca), stanco delle consuetudini del tempo e deciso a compiere una rivoluzione: «rappresentare» la musica, farne spettacolo unendo le arti.
Un’opera, diciamo noi adesso, quattro secoli dopo. Perché, per convenzione e per verità, si è deciso che proprio quella sera è nata una storia d’arte e di pubblico, continua e mutevole, che da Mantova ha conquistato il mondo: sono duemila oggi i teatri d’opera attivi in tutti i continenti. Una traiettoria universale che ritiene di avere ancora abbastanza energia per comunicare emozioni e informazioni all’oggi, e che però si interroga anche sul proprio futuro possibile. Lungo o corto? «Lunghissimo - è persuaso, dagli Stati Uniti, Philip Glass -. Perché nessun’altra forma di spettacolo unisce, dal vivo, le qualità che rendono così unico il teatro musicale. Quando vedi un film, è già fatto e finito, quando vai a sentire un’opera, lei accade davanti ai tuoi occhi, dentro le tue orecchie. Ogni sera nasce in quel momento».
Questa persuasione del compositore statunitense è una carica di fiducia che conforta i protagonisti del Forum Europeo - in programma a Parigi fino al 18 febbraio, circa cento i teatri coinvolti - dedicato alle prospettive: fra un secolo, si celebrerà o no il quinto centenario dell’Orfeo? Nicholas Payne, direttore del londinese Covent Garden e principale promotore, assieme a Gérard Mortier responsabile dell’Opéra Bastille, di questo incontro, fa rimarcare una differenza fondamentale: «Dov’è il Francesco Gonzaga di oggi, il principe che decide che l’arte è un momento indispensabile nella vita e nell’immagine della sua corte? Esistono ancora i mecenati, ma è chiaro che senza un intervento pubblico non riusciremmo a vivere. Dunque, bisogna essere molto responsabili del nostro ruolo nella società contemporanea».
Opera, spettacolo assistito e troppo costoso? «Negli anni trascorsi al teatro La Monnaie di Bruxelles - dice il sovrintendente Bernard Foccroulle - mi sono persuaso che fondamentale è la fiducia del pubblico. La gente deve sentire che all’opera ci sono persone competenti, serie, impegnate. Abbiamo i nostri problemi, ma non siamo ritenuti superflui, lavoriamo sodo, offriamo un servizio». Una delle frecce sull’arco del futuro è proprio questa: la specificità, la bellezza dei tanti mestieri, artigianali e artistici, necessari per montare uno spettacolo: musicisti, cantanti, scenografi, costumisti, macchinisti, elettricisti, sarti, falegnami. Professioni antiche e sempre rinnovate, perché il melodramma può creare un’occupazione qualificata: è questo il primo obiettivo dell’iniziativa «teatro a porte aperte» in programma in questi giorni in numerose città italiane.
Opera, un passatempo per anziani e turisti impacchettati in teatro dalle agenzie? «Se riesci a comunicare il cuore narrativo, il senso della musica, la bellezza del lavoro comune per un risultato condiviso, i ragazzi dimostrano una partecipazione vera e capiscono benissimo anche il percorso storico», riflette il regista Francesco Micheli, protagonista al Teatro Valli di Reggio Emilia di Off Opera, con le scuole cittadine. E’ la linea di frontiera dove si attestano i progetti più consapevoli.
Meno stimolanti sono le consuete polemiche che dominano il dibattito italiano. «La lirica interessa una piccola parte della popolazione, i giovani non la seguono, lo Stato la finanzia solo perché è una nostra tradizione, ma si impone un nuovo rigore», dichiara l’onorevole Andrea Colasio, responsabile cultura della Margherita e firmatario di una nuova proposta di legge «per lo spettacolo dal vivo». Immediata la replica dei sovrintendenti, dei sindacati, la richiesta di chiarimenti. L’attesa grintosa del prossimo passo. Viva l’opera.