Mario Baudino, La Stampa 17/2/2006, 17 febbraio 2006
MARIO BAUDINO
«Quegli archivi li ho visti, ma chi si aspettasse clamorose rivelazioni sarà deluso». Vittorio Messori, che alla congregazione ha dedicato un anno di lavoro da cui è nato Opus Dei, un’indagine (Mondadori) è categorico. Non si attende novità di rilievo.
Perché ne è così sicuro?
«Perché l’Opus Dei non è un’organizzazione segreta. Anzi il suo segreto, se vogliamo, è proprio il non aver segreti. Gli elenchi degli aderenti sono pubblici, come le costituzioni e persino le circolari»
Non tutti la pensano così
«Guardi, se si riferisce al libro uscito nella Bur col titolo Opus Dei segreta, le dico subito che è antitetico al mio, ma per quel che ne so è tutto basato su quel che dicono gli ”ex” di professione. E poi l’Opus Dei è la vittima di una leggenda nera, di un bisogno di demonizzazione che ha sostituito il diavolo, nella società laica, con i nuovi capri espiatori. Sto con il cardinal Biffi quando dice che il contrario della fede non è la ragione, ma la superstizione».
Lei ne fa parte?
«No, ma li ho conosciuti bene. accaduto un po’ per caso, quando ho seguito la conversione, anzi direi meglio il viaggio verso la fede di Leonardo Mondadori. Era attratto dall’Opus Dei, ma anche un po’ intimorito. Mi chiese informazioni, e stabilimmo che avrei fatto un anno di full immersion, per trarne un’inchiesta. Così li ho conosciuti davvero da vicino: i professionisti ricchi e anche, che so, un vigile urbano di Napoli con la cui famiglia ho trascorso due giorni».
Suona un po’ idilliaco. Parliamo di un’organizzazione ramificata e potente.
«Con 80 mila aderenti in tutto il mondo, su oltre un miliardo di cattolici? Certo è diffusa capillarmente. Ma se in Europa conta molti professionisti, quindi i ”ricchi”, in America Latina ha invece una base assolutamente popolare. E poi, insisto, è vittima di una leggenda nera, nata proprio nella Spagna franchista. Sa chi lanciò le prime accuse? I gesuiti, che vedevano in padre Escrivá un pericoloso concorrente. Sostenevano che era affiliato alla massoneria. Cominciò tutto di lì. Escrivá ebbe un mucchio di grane, ma venne assolto. Intanto però la voce si era sparsa, e dilagò nel mondo, accolta con entusiasmo da chi cercava un nuovo diavolo».
Ma allora l’operazione trasparenza è inutile, a questo punto. Non aggiunge e non toglie niente.
«In viale Bruno Buozzi, a Roma, nel palazzo davvero labirintico della Prelatura, ci sono stato parecchie volte. Ma insisto, tutti i documenti che possono far giustizia della leggenda nera sono già disponibili: per esempio il processo canonico per la beatificazione e santificazione di padre Escrivá. In questi casi la Chiesa non guarda in faccia nessuno. Se ci fosse stato anche un minimo sospetto, per esempio di segretezza, la causa sarebbe stata bloccata. Non dimentichiamo che nella Chiesa l’Opus Dei non ha solo amici...».
E che ci dice del film? Sarà solo una risposta a Dan Brown?
«Niente affatto. Sarà un film certamente non apologetico, visto che Bernabei deve venderlo in tutto il mondo, anche in Paesi dove i cattolici sono in minoranza. Ma non sarà un anti-Dan Brown. Il Codice da Vinci alla fine ha attirato un’enorme attenzione sull’Opus Dei, col risultato non solo di compattare i suoi membri, ma di provocare un diluvio di richieste d’informazione, che si sono tradotte in alcune migliaia di nuove adesioni. Come prevedevo, ha dato buon frutto».