Luca Ricolfi, La Stampa 5/10/2006, pagina 1., 5 ottobre 2006
Il lato oscuro della manovra. La Stampa, giovedì 5 ottobre A quasi una settimana dalla presentazione della Finanziaria 2007 la nebbia sparsa sui conti pubblici si sta inesorabilmente diradando, e si comincia a intravedere il vero volto della legge di bilancio, quello che - in un nuovo episodio di Guerre Stellari - George Lucas chiamerebbe il «lato oscuro» della manovra
Il lato oscuro della manovra. La Stampa, giovedì 5 ottobre A quasi una settimana dalla presentazione della Finanziaria 2007 la nebbia sparsa sui conti pubblici si sta inesorabilmente diradando, e si comincia a intravedere il vero volto della legge di bilancio, quello che - in un nuovo episodio di Guerre Stellari - George Lucas chiamerebbe il «lato oscuro» della manovra. Può darsi che io non abbia capito bene tutto, ma a occhio e croce questi mi sembrano i suoi tratti salienti. Tasse. Contrariamente a quanto promesso in campagna elettorale il governo «metterà le mani nelle tasche degli italiani», e lo farà in modo massiccio: circa 1,5 punti di Pil (22-23 miliardi di euro). Tutta la stampa indipendente ha denunciato il goffo tentativo di camuffare le nuove entrate come risparmi, tagli o razionalizzazioni di spesa, ma un’analisi accurata delle fuorvianti tabelle governative non lascia molti dubbi: anche ignorando la falsa entrata del Tfr (liquidazioni dei lavoratori dipendenti), e anche sottraendo alle entrate la «partita di giro» del cuneo fiscale, il prelievo aggiuntivo della manovra è ingente, ammonta almeno a 15 miliardi di euro. Equità. La più volte reclamizzata riforma dell’Irpef, presentata come grande operazione di solidarietà, equità, giustizia sociale (con relativa invocazione: che «i ricchi piangano»...), è poco più di un’operazione propagandistica, che sottovaluta intelligenza e capacità di discernimento dei cittadini. Mediamente la riforma Irpef toglie meno di 100 euro al mese ai contribuenti sopra i 2500 euro netti, per darne meno di 10 al mese a quelli che sono sotto i 2500. Le risorse così trasferite da un gruppo all’altro ammontano, più o meno, a 0,2 punti di Pil, e finiscono per essere sommerse dagli innumerevoli e ben più tangibili aumenti della pressione fiscale su famiglie e imprese, sia a livello centrale sia a livello locale (addizionali Irap-Irpef-Ici, tasse di scopo). Molto si potrebbe dire sul tasso di arcaismo e di ideologia di una sinistra che, nel terzo millennio, pensa che far piangere i ricchi sia una meritoria priorità politica, ma personalmente sono più colpito dall’incapacità di vedere che questo tipo di intervento è inefficace soprattutto agli estremi della scala sociale, ossia proprio là dove si crede di star facendo giustizia: i veri poveri «piangono» come prima perché - non pagando tasse - non ricavano alcun beneficio da qualsiasi rimodulazione delle aliquote, i veri ricchi «ridono» perché nulla fa supporre che qualcosa li potrà davvero costringere a rivelare i loro redditi al fisco (una stima approssimativa basata sui consumi di lusso suggerisce che per ogni cittadino che dichiara un reddito sopra i 75.000 euro lordi ve ne siano almeno tre che riescono a nascondere al fisco il loro reddito effettivo). Riforma della spesa. Con la manovra il peso della spesa pubblica sul Pil continua ad aumentare, come sotto il centro-destra (ma con l’aggravante che ora il Pil non ristagna più). Né, salvo forse qualcosina sul versante della sanità, si vede quella inversione di rotta in materia di spesa sociale che il Dpef aveva coraggiosamente indicato. Le risorse promesse a scuola e università non sono collegate ad alcuna vera garanzia di maggiore produttività, efficienza, meritocrazia. Quanto alle pensioni, il governo ha rinunciato anche a misure minime (come la chiusura di una «finestra» di uscita) pur di incassare il consenso delle Confederazioni sindacali, e ha rimandato a un generico elenco di buone intenzioni future ogni intervento effettivo sull’età pensionabile e i coefficienti di trasformazione. Risanamento e sviluppo. Si potrebbe supporre che, almeno sul versante del risanamento dei conti, la manovra consegua il suo obiettivo, ossia di riportarci nel 2007 al 2,8% di deficit concordato con le autorità europee. Ma anche questo risultato è incerto, perché si basa su una mossa di finanza creativa di dubbia correttezza contabile: il trasferimento forzoso al bilancio pubblico di 5 miliardi di liquidazioni (che sono un debito delle imprese nei confronti dei lavoratori) e la loro iscrizione fra le voci attive anziché fra le voci passive. Se, come è ragionevole pensare, le autorità europee riterranno che un debito non cambi natura per il fatto di passar di mano, il governo si troverà di fronte al seguente dilemma: rinunciare all’obiettivo di portare il deficit al 2,8%, oppure rinunciare agli investimenti infrastrutturali e alle misure per lo sviluppo che con il Tfr aveva intenzione di finanziare. Di fronte a questo quadro desolante sorgono spontanee alcune domande. Perché il governo ha presentato le cifre della Finanziaria in modo così «confuso» e «poco trasparente»? Perché tanto accanimento nel «disinformare» i cittadini? (i termini fra virgolette sono i più benevoli fra quelli usati negli ultimi giorni dai commentatori indipendenti, ivi compresi diversi studiosi vicini al centro-sinistra). Perché quando, prima delle elezioni, scongiuravamo i leader dell’Unione di svelarci come avrebbero fatto a mantenere le promesse senza alzare le tasse, spergiuravano che bastava combattere gli sprechi e stanare gli evasori? Perché nessuna risposta è mai stata data a chi ricordava che per andare avanti con le infrastrutture e le grandi opere occorreva «reperire» almeno 10 miliardi di euro l’anno? Ma soprattutto, domanda delle domande, perché ci venite a raccontare che è colpa del precedente governo, che ha lasciato i conti in rosso? Se è così - e in parte è davvero così - dovevate saperlo prima, non potete cascare dal pero ora. E’ una questione di logica: se come dite i conti pubblici stanno andando meglio di qualche mese fa, dovrebbe essere più e non meno facile mantenere le promesse; se invece i conti pubblici sono così in rosso che nemmeno le buone notizie degli ultimi mesi sulle entrate fiscali vi permettono di mantenere l’impegno di non alzare la tasse, allora vuol dire che erano in rossissimo quando ci promettevate la luna, e dunque ci stavate serenamente prendendo in giro. Così, mestamente, torniamo al discorso iniziale, sulle cifre della manovra, le promesse elettorali, il rispetto verso l’opinione pubblica che ci piacerebbe avvertire nelle parole della politica: perché così poco amore per la verità? Luca Ricolfi