Brunella Schisa, Il venerdì 29/9/2006, pagina 32., 29 settembre 2006
Simenon quando lavorava indossava sempre la stessa camicia, Céline una palandrana tenuta su con una corda, García Máequez una tuta da meccanico
Simenon quando lavorava indossava sempre la stessa camicia, Céline una palandrana tenuta su con una corda, García Máequez una tuta da meccanico. Hemingway aveva in tasca come portafortuna una castagna amara e una zampa di coniglio. Per Sartre il luogo preferito era il Café de Flore, sul Boulevard Saint-Germain a Parigi. Il proprietario, monsieur Boubal, gli faceva trovare la sala ben riscaldata e tabacco da fumare. Lui arrivava imbacuccato in una pelliccia sintetica, beveva tè al latte, estraeva penna e calamaio e scriveva per quattro ore senza alzare gli occhi dal foglio. Tomasi di Lampedusa lavorava al tavolo del caffè Mazzara di Palermo. Hemingway negli anni parigini si infilava in tutti i caffè della città, tirava fuori il suo taccuino e sorseggiava un café crème. Tolstoj invece preferiva l’isolamento e un figlio ha raccontato: «Quando papà lavora nel suo studio, non bisogna far rumore ed è proibito andare a trovarlo». Nella fase creativa rimaneva taciturno anche a tavola. Georges Simenon scriveva gli appunti a matita (teneva le matite, tutte della stessa altezza e perfettamente temperate, in barattoli allineati sopra la scrivania). Bruno Gambarotta, autore e conduttore tv che ha conosciuto Simenon, racconta: «Prima di iniziare un romanzo andava a prendere da uno scaffale delle vecchie guide telefoniche e cominciava a sfogliarle. Se veniva attratto da un nome lo trascriveva su un foglio. Quando aveva compilato una lista con una trentina di nomi la prendeva in mano mentre nell’altra teneva una sfera di oro massiccio e cominciava a passeggiare avanti e indietro per lo studio ripetendoli ad alta voce. Quando uno dei trenta nomi gli dava un suono sordo all’orecchio, cioè non gli evocava i tratti di un personaggio, lo scrittore sostava un attimo alla scrivania e, con un tratto di matita, lo cassava. Il rito procedeva fintantoché la lista si riduceva a dodici nomi. Iniziava a questo punto la fase numero tre. Simenon si metteva alla scrivania e per ognuno dei dodici nomi superstiti scriveva una scheda biografica completa, una per foglio. Dopodiché, disponendo i fogli come carte da gioco sul piano della scrivania, intrecciava i destini dei personaggi e finalmente scriveva il romanzo, senz apiù staccare la matita dal foglio per tutto il giorno». Marcel Proust scriveva soprattutto la notte, a letto, rimanendo svegli fino alle sette del mattino. Paul Valery prediligeva le primissime ore del mattino, dalle quattro alle sette, poi usciva e faceva altro.