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 2006  settembre 29 Venerdì calendario

APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 2 OTTOBRE 2006

La Finanziaria 2007 vale 33,4 miliardi di euro. Di questi, 14,8 sono destinati al risanamento dei conti pubblici (la discesa al 2,8% nel rapporto deficit/pil per rispettare i parametri di Maastricht), 18,6 al rilancio dello sviluppo. Secondo il governo 18 miliardi dovrebbero arrivare da un aumento della pressione fiscale, 15 da tagli alla spesa più o meno strutturali [1], secondo l’opposizione alla fine due terzi della manovra saranno maggiori entrate, un terzo risparmi alla spesa. [2]

La manovra sull’Irpef inizierà a ”mordere” i contribuenti che superano i 40mila euro. A 55mila scompare dal calcolo dell’imponibile la no tax area; a 75mila scatterà l’aliquota massima del 43%. Nel complesso la controriforma Irpef prevede che fino ai 15mila euro venga applicata un’aliquota del 23%; fra i 15 ed i 28mila, si passa al 27%; fra i 28 ed i 55mila al 38; fra i 55 ed i 75mila al 41%; sopra i 75mila al 43%. [2]

Fino alla riforma del 2005 c’era una aliquota del 45% per i redditi superiori ai 70 mila euro, mentre per i redditi più bassi c’erano tre aliquote: 23% fino a 15 mila euro; 29% per i redditi da 15 e 29 mila euro; 31% tra i 29 e i 32.600 euro. Galapagos: «Oltre questa somma e fino a 70 mila euro era fissata una aliquota del 39%. Poi con la riforma berlusconiana le aliquote scesero a tre con una addizionale (contributo di solidarietà) per i redditi oltre i 100 mila euro che vengono tassati (ovviamente per la parte eccedente i 100 mila euro) con una aliquota del 43%. Quella riforma fece molto discutere anche se il ministero dell’economia diffuse tabelle che mostravano come in termini percentuali a guadagnarci di più erano i bassi redditi. Ma milioni di persone la presero molto male perché le stesse tabelle evidenziavano che a fare la parte del leone (con riduzioni di tasse per migliaia di euro) erano i redditi più alti». [3]

Romano Prodi parla di «redistribuzione»: «La differenza tra ricchi e poveri è aumentata e siamo diventati il Paese più ingiusto tra le nazioni europee». [2] Il 12 agosto l’agenzia delle entrate ha diffuso le statistiche delle denunce fiscali presentate dai contribuenti italiani nel 2004. Galapagos: «La maggior parte dei contribuenti (quasi un terzo degli italiani) ha denunciato redditi compresi tra i 15.500 euro e i 31 mila euro. Se le statistiche hanno un senso, il ceto medio - almeno da un punto di vista fiscale - sono questi quasi 13 milioni di contribuenti che hanno sotto di loro, nella parte bassa della piramide fiscale, circa il 60% dei contribuenti. Di contro, solo il 7% degli italiani (possiamo definirlo ceto medio-alto?) ha denunciato redditi superiori ai 31 mila euro. Di più: oltre i 70 mila euro di reddito compaiono poche centinai di migliaia di persone, l’1,59% dei contribuenti. questo il ceto medio? O non siamo in presenza di un ceto di molto furbi?». [3]

Da una lettera a la Repubblica: «Confesso: il mio reddito supera i 70.000 euro l’anno, non svolgo attività in nero e quindi pago le tasse fino all’ultimo euro. Sono consapevole del fatto che, in un paese dal forte imprinting cattolico comunista e così povero che persino i gioiellieri stentano a mettere insieme 20.000 euro annui, tutto ciò che ho appena ammesso è considerato colpa grave che deve essere espiata. Una punizione mi pare dunque inevitabile, e vi sono rassegnato». [4]

La Repubblica ha intervistato Francesco Lotti, pneumologo veneziano di 58 anni che lavora all’ospedale di Cattinara. Stipendio sui 3.500 euro al mese (vive con una compagna, ha un figlio di 21 anni studente universitario), vota (votava?) per l’Unione: «Si sceglie la via più semplice, colpire i ceti medi, quelli che quando come me sono dipendenti dichiarano tutto, non evadono un soldo. E gli altri? Io so che qui ci sono molti più poveri di me, ma tantissimi più ricchi, non si può neanche immaginare quanti. Quelli delle barche, delle Ferrari, delle ville di costiera, delle attività commerciali. Ci siamo tolti dalle palle Berlusconi, ma ora devo dire che non è servito a niente». [5]

Il vicepresidente ds della Camera Leoni: «Sono tutti incazzati: ministri, parti sociali, sindaci. E non vorrei che qualcuno nell’Unione sostenesse che è il segno di una Finanziaria equa. Perché in democrazia serve il consenso». [6] Franco Carlini: «Questa fascia di persone attorno ai cinquanta, che ha fatto persino attività politica, che alla politica ci crede(va) e che non sopporta i ricchi evasori, sono il nucleo forte dell’elettorato dell’Ulivo, quelli che prima hanno risposto entusiasticamente alla chiamata alle primarie e che poi hanno votato compatti e convinti. Suicida regalarli alla retorica demagogia di Giulio Tremonti». [7]

La campagna di Rifondazione per la finanziaria mostra la foto di un megayacht con lo slogan «Anche i ricchi piangano». Clemente Mastella: «E che è, la telenovela punitiva? Potevano fare ”Anche i poveri ridano” e facevano miglior figura. Che facciamo, la guerra ai ricchi?». [8] La barca riprodotta ( Kogo) è un megayacht di 71 metri varato nel 2006 dai cantieri Alstom in Francia. Prezzo: 80 milioni di euro. Claudio Borghi: «Il famigerato capitalista da 70.000 mila euro lordi l’anno che Visco ha il coraggio di definire ”ricco” ne incassa netti circa 40 mila... supponendo che si mantenga francescanamente con mille euro al mese e che risparmi tutto il resto per poter un giorno coronare il suo sogno di farsi lo yacht, ebbene, il nostro plutocrate potrebbe felicemente acquistare la barca in oggetto nell’anno di grazia 4863... sempre che possa scaricare l’Iva ovviamente, perché se (come è probabile) si tratta di un lavoratore dipendente e deve pagare l’Iva l’appuntamento con l’amata barca slitterebbe all’anno 5434». [9]

La sostanza della manovra è in pochi flussi. Nicola Porro: «L’esecutivo ha deciso che qualsiasi lavoratore dipendente che guadagni più di tremila euro netti al mese è un ricco e come tale va tassato. Il lavoratore dipendente quando diventa pubblico merita invece attenzione: sono stati infatti stabiliti aumenti contrattuali per il settore pubblico che dovrebbero arrivare ai 3 miliardi. I lavoratori autonomi sono per definizione un po’ dei malandrini. Come prima cosa si aumenteranno loro i contributi previdenziali e poi i parametri con cui pagare le tasse: il saldo finale per gli autonomi, e in questo caso senza fare distinzioni tra ricchi e poveri, è un contributo alle casse dello Stato per poco meno di 5 miliardi». [10]

Per l’opposizione il libretto di istruzioni della manovra è semplice: «nei settori dell’economia dove Cgil, Cisl e Uil sono forti vi è indulgenza fiscale; dove sono deboli e poco rappresentati giù mazzate» (Porro). [10] Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio, parla di «ritorno clamoroso alla corsia preferenziale governo-sindacati». [2] Giuseppe Bertolussi, segretario dell’associazione degli artigiani e delle piccole imprese di Mestre: «In buona parte paga la piccola impresa che rappresenta il 97% dell’economia del Paese. Il governo dice di voler aumentare le entrate ma il problema è invece diminuire le spese. Su questo fronte però è sceso il silenzio. Da noi le tasse sono alte perché manteniamo una spesa pubblica eccessiva costituita da sprechi, sperperi e inefficienze e i cittadini italiani pagano molto più degli altri Paesi europei ricevendo in cambio servizi scadenti come sottolineato dalla Bce che ci ha messi al penultimo posto». [11]

A sinistra si continua a proporre una politica di rilancio della spesa pubblica. Guglielmo Forges Davanzati: «Favorirebbe, come da Keynes in poi si sa, un aumento della domanda interna, nonché dei livelli di produzione e di occupazione. Questo processo porterebbe inesorabilmente a un rafforzamento del potere contrattuale dei lavoratori e quindi a una tendenziale crescita dei salari. In un’economia aperta agli scambi internazionali e fortemente dipendente dall’estero - è il caso dell’Italia – l’aumento della domanda interna ottenuto mediante l’espansione della spesa pubblica sarebbe in certa misura destinato a sfociare in un aumento della domanda di importazioni, con effetti poco significativi sui profitti delle imprese italiane». [12]

La tesi è questa: «Finché le imprese non riescono a migliorare la qualità delle esportazioni, l’espansione della spesa pubblica e la conseguente crescita del reddito potrebbe accompagnarsi a una riduzione dei profitti dovuta appunto alla crescita salariale. Nello scartare una politica di rilancio della spesa a favore di una politica restrittiva le forze moderate dell’Unione rischiano di farsi portatrici degli interesse delle imprese che non hanno alcuna propensione ad innovare, e che quindi hanno tutto da perdere da una crescita della nostra partecipazione agli scambi internazionali» (Forges Davanzati). [12]

La dimensione del nostro debito, in assoluto e non solo in rapporto al Pil, ci rende molto vulnerabili al rischio di turbolenze sui mercati finanziari internazionali. Tito Boeri: «I nostri titoli di Stato sono detenuti per più di metà da investitori esteri, molti dei quali istituzionali, che sono costretti per norme prudenziali a ridurre la loro esposizione in Italia, nel caso di un downgrading del nostro debito al di sotto della A. Chi oggi propone di limitarsi a stabilizzare il debito ama probabilmente giocare alla roulette russa». [13]

Riduzioni del deficit attraverso incrementi delle tasse sono molto meno rassicuranti per i mercati che manovre rette su contenimenti della spesa. Boeri: «Gli investitori internazionali, sulla base di un’ampia casistica internazionale, sanno che solo i tagli alla spesa improduttiva possono permettere di coniugare risanamento e crescita, innescando un processo virtuoso di riduzione del debito. Sanno anche che una manovra tutta incentrata sulle tasse finisce per bloccare la crescita e generare instabilità politica. Sorprende che i politici che fanno a gara in questi giorni nel proporre incrementi di tasse e contributi non si ricordino che hanno rischiato di perdere le elezioni proprio per essere stati presentati dall’avversario come il partito delle tasse». [13]