Jeff Israely, Time, 28 settembre 2006
Internazionale, 22 settembre Una delle parole d’ordine del papato di Giovanni Paolo II era ”dialogo”
Internazionale, 22 settembre Una delle parole d’ordine del papato di Giovanni Paolo II era ”dialogo”. Era così impegnato a cercare un terreno comune con i rappresentanti delle altre fedi da arrivare quasi a istituzionalizzare il processo, ospitando nel 1986 ad Assisi il primo di una serie d’incontri tra le religioni. In Vaticano era noto a tutti che il cardinale Joseph Ratzinger, uno dei più fedeli luogotenenti del papa, non fosse particolarmente entusiasta dell’iniziativa. Ratzinger, dopotutto, è uno dei teologi cattolici più rigorosi (e tradizionalisti), scettico nei confronti di qualsiasi tentativo di attenuare le differenze tra le varie fedi. Quando però il teologo è diventato papa, ha capito che i canali di comunicazione con le altre religioni del mondo, così faticosamente conquistati dal suo predecessore, dovevano restare aperti. Ma invece della possibilità di un dialogo, adesso il papa si trova di fronte alla necessità di limitare lo scontro tra le religioni. Le proteste scoppiate nel mondo musulmano in seguito alla sua provocatoria conferenza del 12 settembre sulla fede e la ragione – e le origini della guerra santa – dimostrano che il 79enne Benedetto XVI deve ancora affinare le arti diplomatiche richieste dal suo ruolo. Nel discorso pronunciato all’università di Ratisbona, ha cominciato una riflessione teologica citando le seguenti parole di un imperatore bizantino del quattordicesimo secolo: «Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava». Forse gli islamici si sarebbero risentiti di meno se il papa avesse anche fatto chiaramente capire che non era d’accordo con l’incendiario discorso pronunciato seicento anni fa. Comunque, le conseguenze del discorso non significano che sia stato un errore pronunciarlo o che un papa non deve mai nominare Maometto. In realtà, quel discorso di 35 minuti potrebbe essere il più importante passo avanti per il dialogo tra le religioni dai tempi del primo incontro di Assisi. Potrebbe anche essere la causa di una nuova serie di violenze contro l’occidente da parte di musulmani infuriati. Oppure potrebbe essere entrambe le cose. Questo è il mondo che si è trovato ad affrontare il timido e studioso pastore diventato papa diciassette mesi fa. Oggi le parole d’ordine sono 11 settembre, scontro di civiltà, jihad, e le vecchie formule devono essere sostituite da nuove e più serie riflessioni, anche a rischio di offendere qualche sensibilità. Questo teologo che rappresenta un miliardo di cattolici non dovrebbe esitare a occuparsi seriamente di teologia. La sua intelligenza acuta è la cosa migliore che ha da offrire alla chiesa cattolica e forse anche al resto del mondo. Nel discorso di Ratisbona, quando ha rivolto la sua intelligenza ai rapporti tra le religioni, Benedetto XVI ha spostato i termini di un dibattito che finora è stato dominato da banalità, manie di persecuzione o scontri. Il papa ha cercato invece di delineare quella che a suo parere è la differenza fondamentale tra la visione cristiana di un Dio intrinsecamente legato alla ragione (al concetto greco di logos) e la visione islamica di un Dio assolutamente trascendente. Benedetto XVI ha ricordato che l’islam insegna che «la volontà di Dio non è legata a nessuna delle nostre categorie, fosse anche quella della ragionevolezza». Il rischio che vede implicito in questa concezione del divino è che l’irrazionalità della violenza possa apparire giustificata a chi crede nella volontà assoluta di Dio. La domanda essenziale che si è posto è questa: «La convinzione che agire contro la ragione sia in contraddizione con la natura di Dio è soltanto un pensiero greco o vale sempre e per se stesso?». I suoi interrogativi non erano rivolti solo al mondo islamico. Come ha già fatto in precedenza, Ratzinger ha parlato della necessità per l’occidente, e soprattutto per l’Europa, d’invertire la tendenza al laicismo ateo. convinto che il dono della ragione che appartiene alla cristianità è stato trasformato dall’occidente in una dottrina assolutistica. E anche questo, a suo avviso, impedisce l’apertura di un efficace canale di dialogo con una società islamica più religiosa. «La ragione e la fede», ha ripetuto più volte, devono «trovare un nuovo terreno d’incontro». Verso la fine della sua conferenza, Benedetto XVI ha detto: « a questo grande logos, a questa vastità della ragione, che invitiamo nel dialogo delle culture i nostri interlocutori». Il mese scorso, in occasione del ventesimo anniversario dell’incontro di Assisi, il papa ha inviato al vescovo della città un messaggio che ribadiva la sua adesione al dialogo pacifico tra le religioni proposto da Giovanni Paolo II. Se Benedetto riuscisse ad acquisire un po’ dell’abilità politica del suo predecessore, la sua intelligenza potrebbe aiutare l’occidente ad avviare il difficile dialogo con i fratelli musulmani. Un dialogo che oltre alla ricerca del tanto necessario terreno comune include anche una chiara definizione delle differenze tra le religioni. Jeff Israely (da Time. Traduzione di Bruna Tortorella)