Il Sole 24 Ore 22/09/2006, pag.7 Roberto Bongiorni, 22 settembre 2006
Opec: l’export vola, il reddito no. Il Sole 24 Ore 22 settembre 2006. Ricchi, anzi ricchissimi, ma con discrezione
Opec: l’export vola, il reddito no. Il Sole 24 Ore 22 settembre 2006. Ricchi, anzi ricchissimi, ma con discrezione. La corsa senza freno del greggio negli ultimi anni ha gonfiato le casse dei Paesi dell’Opec oltre le più rosee aspettative. I loro budget vantano insperati surplus. Raggiunti senza eccessivi sacrifici: gli 11 membri producono a briglia sciolta, senza badar troppo alle quote. Eppure, nonostante i ribassi delle ultime settimane, i prezzi restano elevati, mentre la domanda mondiale non mostra sostanziali segnali di cedimento. Come non compiacersi di tanta fortuna? L’Opec, però, preferisce non esultare pubblicamente, anche per non ferire chi, come i Paesi consumatori, il barile deve acquistarlo a tutti i costi, anche ai 76 dollari toccati quest’estate. Il periodo delle vacche grasse è iniziato nel 2003. In quell’anno l’Opec ricava dalle esportazioni di greggio 247 miliardi di dollari (in dollari costanti, giugno 2006). Un incremento del 21% sul 2002. Nel 2004 ne raccoglie 336 (+36%). L’anno successivo 487 (+45%). Quest’anno rischia - secondo i dati forniti al Sole-24 Ore dal Dipartimento americano dell’energia (Doe) - di arrivare a 594 miliardi. Un record: ogni minuto nelle casse del cartello entrano 1,1 milioni di dollari. Dalla sua nascita, nel 1960, l’Opec non ha mai guadagnato così tanto. Neppure durante il primo shock petrolifero, a cavallo tra il 1973-74, quando l’embargo dei Paesi arabi sulle spedizioni provocò una recessione economica mondiale. E nemmeno durante il secondo shock, quando in meno di 20 mesi scoppiò la rivoluzione iraniana, nel dicembre del 1979 l’Urss invase l’Afghanistan, e nove mesi dopo Saddam Hussein dichiarò guerra all’Iran. Allora i prezzi toccarono un picco, in termini reali, sopra gli 80 dollari al barile. Nelle casse dei Paesi Opec affluì una somma pari agli attuali 570 miliardi di dollari. Oggi una guerra di queste dimensioni non c’è. Ma i prezzi si tengono su medie da brividi. Non si tratta di una fiammata. Per il 2007, il Doe prevede entrate per l’Opec a 576 miliardi. Sono dati suscettibili di variazioni, ma utili per evidenziare un trend. Comunque, è un lontano ricordo l’"annus horribilis" dell’Opec. Era il 1998, pochi mesi prima la crisi delle tigri asiatiche assestò un duro colpo all’economia mondiale, la domanda di petrolio precipitò e il prezzo del barile scivolò sotto i 10 dollari. Nelle casse dell’Opec finirono "solo" 119 miliardi di dollari. Eppure l’attuale bonanza poggia su un’apparente contraddizione. I Paesi esportatori di greggio sono molto più ricchi, ma al contempo più poveri, almeno rispetto a quel memorabile 1980. E se non gestiranno con senno la loro ricchezza, perderanno una grande occasione di crescita. Limitarsi alle entrate petrolifere è fuorviante. Non si può infatti prescindere da altri indicatori, tra cui il valore dell’export di petrolio pro-capite. E la storia racconta un andamento diverso: nel 1974 era di 1.467 dollari (in termini reali), nel 1980 volò a 1.800. Ci si aspetterebbe in questi anni un guadagno simile, se non superiore. Invece, a ogni cittadino dei Paesi Opec sono andati 895 $ nel 2005, e quest’anno 1.070. La spiegazione passa per l’incremento demografico. Nei Paesi Opec il tasso è tra i più alti al mondo e sta mettendo i Governi in serie difficoltà. "La loro popolazione - spiega da Londra Leo Drollas, capo economista del Centre for Global Energy Studies - è in rapida crescita. Ciò significa più consumi energetici. Così i Paesi Opec devono erodere la quota di petrolio da esportare per soddisfare la domanda interna. Tra il 1996 e il 2005 la crescita dei consumi di petrolio nel mondo è stata dell’1,3% annuo, quella dei Paesi Opec del 3,2. E sa perché? Consumano tanto perché l’energia costa poco. In Iraq la benzina si vende a 3 cents per litro, in Iran 9 cents. Si preferisce mantenere i sussidi al carburante. Ma prezzi così bassi invogliano a consumare, e la domanda interna salirà inesorabilmente perché ci saranno sempre più persone. Lo dico guardando le proiezioni: nel 2020 la popolazione dei Paesi Opec salirà dagli attuali 567 a 766 milioni". Sono cattive notizie per l’Opec. Quasi tutti i Paesi membri hanno fatto troppo poco per diversificare l’economia. La loro petro-dipendenza nel tempo non si è ridotta come auspicato: dall’energia ricavano quasi tutti l’85-90%, in valore, dell’export. Il prodotto interno lordo pro-capite è rimasto sostanzialmente fermo rispetto agli anni 70. Le riforme strutturali sono necessarie, irrinunciabili. Ne sono consapevoli, ma sanno che comportano due "spiacevoli" problemi: i risultati, pur duraturi, sono quasi sempre apprezzabili solo sul lungo periodo. E soprattutto non sono gradite dalla popolazione. Ogni volta che vengono rialzati i prezzi sussidiati della benzina, o si invoca il pagamento delle tasse, in Nigeria le strade si riempiono di manifestanti, e non di rado si contano i morti. La Nigeria è forse il caso più evidente di come il petrolio possa trasformarsi in maledizione. Nel Paese più popolato dell’Africa (140 milioni, 200 previsti nel 2020) metà della popolazione vive con meno di due dollari al giorno e la corruzione pervade ogni settore. Nel 1980 il Paese produceva poco più di due milioni di barili/giorno. Oggi riesce a produrne altrettanti. Eppure 26 anni fa l’export pro-capite era di 730 dollari, oggi è di 400. "Dalla Nigeria, passando per l’Iran al Venezuela, i Paesi dell’Opec - continua Drollas - hanno diversificato poco e non stanno spendendo nell’industria petrolifera come dovrebbero. Tanto che l’estrazione iraniana è in declino. E quella del Venezuela non ha certo raggiunto gli obiettivi prefissati. Con gli opportuni investimenti e le riforme, avrebbero potuto essere molto più ricchi". L’export pro-capite è una finzione statistica, al cittadino quei soldi non arrivano mai in tasca. Detto ciò, nel 1980 ogni venezuelano poteva contare su una quota di 2.654 $, nel 2006 il dato si è dimezzato. Non vanno meglio le cose in Arabia Saudita, la potenza energetica planetaria. Nel 1980 contava 9,5 milioni di abitanti. Oggi i sauditi sono 24 milioni. Il valore dell’export petrolifero pro-capite è crollato: dai 23mila $ del 1980 a 7.900. "Da qui al 2020 - commenta Drollas - calcoliamo la media pro-capite dell’Opec a 550 $, lo stesso valore del 1990". Per tenere il passo dell’aumento demografico, e quindi dei maggiori consumi energetici, senza diversificare i Paesi Opec si trovano in un vicolo cieco. "Hanno bisogno di prezzi sempre più alti - ci conferma Erik Kreil, analista del Dipartimento energetico Usa - per compensare il calo dell’export energetico pro-capite. Ma a un certo livello di prezzi, non sappiamo quale, la domanda mondiale si arresterà". Inoltre, se nessuno dubita che la popolazione del pianeta crescerà, chi garantisce che il prezzo del barile salirà anno dopo anno, senza soluzione di continuità? Roberto Bongiorni