La Stampa 25/09/2006, pag.12 Marina Verna, 25 settembre 2006
La marcia dei baroni tedeschi alla riconquista dei loro castelli. La Stampa 25 Settembre 2006. Berlino
La marcia dei baroni tedeschi alla riconquista dei loro castelli. La Stampa 25 Settembre 2006. Berlino. Il barone Helmuth von Maltzahn fece preparare il cestino del picnic, caricò sulla macchina con targa Francoforte moglie madre figlie e partì per quella «terra incognita» che nel 1990 era la Germania dell’Est subito dopo la caduta del Muro. «Andiamo a vedere che ne è del castello di Ulrichshusen», disse. E avviò il motore. Per ottocento anni i von Maltzahn erano vissuti in Meclemburgo, sparsi tra varie proprietà. Ma Ulrichshusen - costruito nel 1562 - era la residenza più antica della famiglia, venduta nel 1840 e dal 1945 nelle mani di una cooperativa agricola, che lì aveva installato mensa e cucina. Il barone era cresciuto a Ovest, lavorava a Francoforte per la Lancaster e nulla sarebbe cambiato nella sua vita se non fosse crollata la Ddr. Ma nel 1990 nulla era più come prima. Quando arrivò a Ulrichshusen trovò solo rovine e un’accoglienza di ghiaccio. «Che cosa ci fa lei qua?», lo assalì il capo della cooperativa, al quale non era sfuggita la targa dell’automobile. «Sono tornato - gli rispose - Ricostruiremo tutto». Per riavere terre e castello, dovette pagarli: per legge non aveva diritto alla restituzione, ma poteva ricomprare tutto. Era furioso, ma ricomprò. «Ricettazione di Stato», la definisce ancora oggi. Era cresciuto non con le fiabe, ma con le storie del Meclemburgo - «in tutte le feste di famiglia si parlava sempre della patria perduta», ha raccontato al settimanale "Der Spiegel" - e, a quarant’anni, voleva tornare alle radici. Per far capire ai trentatrè abitanti di Ulrichshusen che faceva sul serio, comprò una casetta di legno di 20 metri quadri e la piazzò nel parco: ci passava tutti i week end e le vacanze estive. «Volevamo mostrare alla gente che noi appartenevamo a quel luogo, e loro erano parte del castello». Il barone aveva un progetto preciso: un albergo di charme e, nelle ex stalle dei cavalli, una sala da concerti. Ha investito quattro milioni di euro, e ancora continua a investire. Quando la torre è stata pronta, ha lasciato Francoforte e i cosmetici e si è trasferito con la famiglia. Era il 1993. L’anno dopo, con un concerto di Menhuin, inaugurava il Festival di Musica del Meclemburgo-Pomerania anteriore. C’erano 1200 posti, arrivarono in tremila. Da allora Ulrichshusen non ha più conosciuto la disoccupazione. «Tutti qui intorno hanno pane e lavoro, e hanno ritrovato la fierezza e l’identità». Ha ripristinato un’economia terriera che gli fornisce la materia prima per un ristorante da gourmet: gamberi di fiume, cacciagione, verdure fresche, pane e dolci fatti in casa. Il ministro dell’Economia del Land - il più povero di tutta la Germania - l’ha pubblicamente lodato: «Il barone è un esempio di innovazione, forza delle idee e capacità di realizzarle». Ogni anno a Ulrichshusen arrivano cinquantamila persone, attratte dalla musica e dai gamberi di fiume. Helmuth von Maltzahn è uno dei cento Junker - la nobiltà terriera prussiana - che dopo la svolta del 1989 sono tornati nelle terre di famiglia della Germania dell’Est, le hanno ricomprate e hanno avviato un’attività economica. Una sola persona ha avuto diritto alla restituzione gratuita: la contessa Beatrix zu Lynar. Il castello di Luebbenau - dov’era nato suo marito - era stato confiscato dai nazisti dopo il fallito complotto contro Hitler. Il conte Wilhelm zu Lynar, uno dei congiurati, era stato condannato a morte e il castello - dal 1661 proprietà della famiglia - espropriato dai nazisti. Poi venne la Ddr, che ne fece una scuola. Poi, una lite giudiziaria con il Treuhandanstalt, l’agenzia per la privatizzazione dei beni statali che non voleva riconoscere quel comma della legge della restituzione che prevedeva la cessione gratuita dei beni confiscati dai nazisti. Il conte Guido zu Lynar - che viveva in Portogallo - ottenne giustizia e tornò. Il castello è ora un albergo con quaranta dipendenti, un posto incantevole a un’ora da Berlino, richiestissimo per i matrimoni. Il conte Heinrich von Bassewitz, un cow boy arrivato dal Paraguay a Dalwitz con otto cavalle e due stalloni, ha scelto invece un’altra strada: un’azienda agricola modello, dove alleva bovini all’aperto senza antibiotici né mangimi da ingrasso. Ha cominciato con cento ettari, adesso ne ha mille e dà lavoro a venti persone. E’ il presidente di un’associazione di bioagricoltori e ha un’altra dozzina di cariche onorifiche. «Sono un funzionario per passione», dice. In alcuni punti delle sue terre il telefonino non prende, lui scappa lì appena può e ai visitatori dice: «Non è bello, qua? C’è tutto quello che altrove non esiste più». E si sente tornato a casa. Marina Verna