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 2006  settembre 26 Martedì calendario

La Spagna che punta a superare l´Italia. La Repubblica 26 settembre 2006. Il prossimo passo sarà la richiesta che la Spagna entri nel G8

La Spagna che punta a superare l´Italia. La Repubblica 26 settembre 2006. Il prossimo passo sarà la richiesta che la Spagna entri nel G8. Zapatero ne parla, a mezza bocca, ormai da dicembre, da quando gli economisti da Madrid hanno concluso, numeri alla mano, che la Spagna non è più, per volume del Prodotto interno, la nona economia del mondo, ma l´ottava. Non è ancora il sorpasso dell´Italia, anche se, ai ritmi attuali di sviluppo (l´economia spagnola cresce ad un tasso doppio, rispetto a quella italiana) nessuno se la sente di smentire Zapatero, quando indica che il traguardo verrà raggiunto in quattro anni. Ma il Canada, fino a ieri fanalino di coda dei maggiori paesi industrializzati, dicono a Madrid, l´abbiamo già sorpassato. Trovarsi di fianco gli spagnoli nei summit esclusivi dei grandi del pianeta sarà scomodo, perché squadernerà, di fronte a tutti, il confronto fra una «success story» latina e un declino, o ristagno, altrettanto latini, i nostri. Ed è una storia, quella del successo spagnolo, che non raccontano solo i numeri grezzi dell´economia. Vero, noi abbiamo vinto il mondiale. Di calcio. Perché quello di pallacanestro, a sorpresa, l´hanno vinto subito dopo loro. Gli stessi spagnoli che, nel week-end, ci hanno stracciato in Coppa Davis, come Rafael Nadal e soci fanno ormai da anni. E, quest´anno, un altro spagnolo, Fernando Alonso, potrebbe soffiarci quell´icona del tifo italiano che è il mondiale di Formula Uno. L´esperienza dice che, quando i segnali si moltiplicano e vanno tutti nella stessa direzione, non è un caso. Del resto, a far squillare l´allarme non c´è solo quella grande metafora della società, che è lo sport. Prendete il cinema: quale regista italiano ha il peso e la rinomanza mondiale di Pedro Aldomodovar? Insomma, l´immagine che viene dalla penisola iberica è quella di un paese vispo, vitale, grintoso. Quella della penisola italiana è l´immagine di un paese in crisi di identità e di vocazione. La conferma viene dai piani alti della società, dalla politica. «Viva Zapatero» ha titolato, qualche giorno fa, l´Economist, un settimanale che interpreta spesso gli umori della grande finanza e che, abitualmente, arriccia il naso ogni volta che abbassa lo sguardo sotto il parallelo di Zurigo. L´ultimo titolo sull´Italia che si ricordi era un «Basta Berlusconi». E di «Viva Prodi» non sembra essere aria. Non è che la sindrome Zapatero, dopo avere travolto la sinistra italiana, a caccia di leader carismatici e determinati, abbia colpito anche i circoli politici e finanziari internazionali. Il confronto è, per noi, più sgradevole, perché coinvolge non due leader, ma due sistemi-paese, a prescindere dai rivolgimenti e dalle alternanze politiche. Zapatero ha proseguito il lavoro di Aznar e dei governi che si sono succeduti, dopo il franchismo, nell´assicurare un progresso ordinato e costante. L´economia spagnola ha elementi di fragilità, con un lungo boom sostenuto da una bolla immobiliare e dalla spinta dei consumi. L´inflazione viaggia sul 4 per cento e la disoccupazione, anche se ai minimi degli ultimi 25 anni, è all´8 per cento. Ma l´economia cresce costantemente sopra il 3 per cento. Soprattutto, i conti sono in ordine. Il debito pubblico è al 43 per cento del Pil (contro il 110 per cento italiano) e il deficit, che da anni azzoppa l´Italia, è addirittura un surplus, pari all´1 per cento del Pil. Gli spagnoli si sono dimostrati capaci di incassare appieno, sulla scena internazionale, il dividendo che deriva da questa immagine virtuosa. La Spagna non sarà (ancora) nel G8, ma il capo del Fondo monetario internazionale è uno spagnolo (Rodrigo Rato), l´uomo che gestisce la politica estera della Ue è un altro spagnolo (Javier Solana), come spagnoli sono il commissario più potente a Bruxelles, dopo il presidente (Joaquin Almunia, all´Economia) e il presidente del Parlamento europeo (Josep Borrell). Anche qui, nella presenza internazionale, Zapatero si muove nel solco del suo predecessore Aznar. Alla Farnesina non hanno dimenticato l´umiliazione del periodo precedente alla guerra in Iraq, quando, benché l´Italia, come la Spagna, avesse promesso le sue truppe, Bush si incontrava ripetutamente con il premier spagnolo e solo occasionalmente con quello italiano, assente, al contrario di Aznar, dal vertice delle Azzorre in cui la guerra fu decisa. «Non è perché - scrisse allora l´Economist - Bush trovava il premier spagnolo ideologicamente più vicino di quello italiano. E´ perché la Spagna è un paese serio». E´ un´accusa pesante. Ma è vero che, se la stampa internazionale torna a spesso a dipingere l´Italia con il cliché di «pizza e mandolino», nessuno più osa inquadrare la Spagna sotto l´emblema «siesta y fiesta». Lo impediscono non solo i conti del governo, ma anche la stazza e l´aggressività delle sue imprese. Mentre quelle italiane, con l´eccezione dei vecchi giganti ex pubblici, come Eni, Enel e Telecom, stanno progressivamente sparendo dalle classifiche, la Spagna le sta scalando. Il Banco Santander è la prima banca europea. Telefònica è la terza azienda di telecomunicazioni al mondo. Cinque delle sette maggiori imprese di costruzione europee sono spagnole. E questo sistema imprenditoriale si sta espandendo con efficienza e determinazione all´estero, prima in America latina, adesso in Europa. Mentre (a parte l´eccezione Unicredito in Germania) l´Italia ha inanellato, con il flop del tentativo Enel sulla francese Suez, l´ennesima delusione internazionale, la spagnola Ferrovial comprava gli aeroporti britannici, Heathrow compresa, il Santander la Abbey, un grande banca inglese, Telefonica acquisiva O2, il secondo operatore di telefonini oltre Manica. Sono il Santander e il Banco Bilbao ad essere sbarcati nel mondo del credito italiano, non viceversa. E´ la spagnola Abertis che progetta di incorporare l´italiana Autostrade, non il contrario. L´ultima significativa avventura italiana in terra spagnola è quella, ormai remota, della berlusconiana Telecinco. Soprattutto, la Spagna sembra più pronta ad attrezzarsi per il futuro. In termini assoluti, l´Italia continua a spendere di più per la ricerca, ma in Spagna, al contrario che in Italia, è soprattutto il settore privato che la finanzia. Ad armi pari, cioè in rapporto al volume dell´economia, gli «investimenti in conoscenza» (cioè in software, ricerca ed educazione superiore, secondo la definizione dell´Ocse, l´organizzazione che riunisce i paesi industrializzati) sono superiori in Spagna. E, anche se la popolazione è due terzi di quella italiana, la Spagna fa lavorare a tempo pieno 100 mila ricercatori. L´Italia solo 70 mila. In più, a Madrid sembrano capaci di reagire più in fretta a grandi crisi come quelle dell´energia. Il 6 per cento dell´elettricità spagnola è generata dal vento. Tutta l´energia eolica italiana non arriva ai due terzi di quella installata nella sola Castiglia. Un´azienda europea si prepara a costruire un impianto ad energia solare da 220 milioni di euro in Nevada. E´ l´Acciona, un´impresa spagnola. I cicli economici e i numeri del Pil possono andare, di anno in anno, su e giù. Questi, da cui dipende il Pil del futuro, sono i sorpassi che fanno male. Maurizio Ricci