Corriere della Sera 25/09/2006, pag.31 Paolo Isotta, 25 settembre 2006
Saramago sfida Mozart «Io assolvo il libertino». Corriere della Sera 25 settembre 2006. Va in scena alla Scala, in prima esecuzione assoluta, posposta però d’una stagione, l’ultima fatica nel teatro musicale di Azio Corghi, uno dei più notevoli compositori viventi
Saramago sfida Mozart «Io assolvo il libertino». Corriere della Sera 25 settembre 2006. Va in scena alla Scala, in prima esecuzione assoluta, posposta però d’una stagione, l’ultima fatica nel teatro musicale di Azio Corghi, uno dei più notevoli compositori viventi. S’intitola Il dissoluto assolto e vuol costituire l’ultima metamorfosi di don Giovanni, mitema che da qualche secolo è centrale nella civiltà europea. Il testo è del poeta portoghese José Saramago: in parte spettrale, in parte ironico, in parte ostesamente grottesco con ricorso felice a comicità e gags dell’avanspettacolo. Interpretazioni dell’antico, ma non eterno mito, continuano a fiorire: di queste settimane è l’apparizione in libreria di un romanzo raffinatissimo per suggestioni figurative e sostrato di cultura, anzi il primo volume di quattro, Il giardino dei melograni di Giorgio Taborelli (ed. Ponte alle Grazie), che di don Giovanni ambisce esser la riassuntiva mitobiografia. comune abitudine considerare don Giovanni una figura mitica universale e a-temporale, come Ulisse e Faust. Si tratta d’un’inconscia trasposizione ex tunc fatta dal Romanticismo ottocentesco ch’era stato folgorato dal Melodramma di Mozart: capolavoro musicale, va da sé, eccelso, ma non altrettanto sotto il profilo drammatico. Proprio taluna incongruenza drammatica del Don Giovanni venne assunta a chiave della demoniaca visione dei Romantici tedeschi; e vi s’aggiunsero a rifinir il quadro Byron e Baudelaire, che in un sol Sonetto dice più della caterva versificata del collega. Tale interpretazione è nella chiave della metafisica erotica: don Giovanni è colui che per eccellenza ama la Femmina in tutte le sue incarnazioni e sempre l’abbandona dopo possedutala. Non parlo delle ermeneutiche aggiuntesi, la psicoanalitica, il «doppio», l’omosessualità latente di Don Giovanni: rinvio ai Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello. Don Giovanni nacque siccome esempio della predicazione fatta dai monaci agli analfabeti, nell’incipiente Barocco. l’esempio per la continua esortazione: non si deve peccare, il peccato si sconta con l’Inferno. Giacché alle coscienze grosse il peccato per eccellenza è quello della carne, aggravato dallo spergiuro e dal disprezzo della Religione siccome sistema giuridico- sanzionatorio, ecco don Giovanni l’esempio del peccatore. Tuttavia la figura va acquistando altri e ben più inquietanti profili, come si vede dalla Commedia di Molière: e ne resta traccia persino in una lectio facilior del Don Giovanni di Mozart, ove una parola di Leporello vien sostituita perché non più comprensibile da tutti nell’Ottocento: «libertino» diviene «malandrino». Il libertino in senso stretto non è l’aggettivo della comune accezione, è sostantivo: indica il fautore del «libero pensiero» e, in fatto, l’Ateo. Per le coscienze non grosse, ecco il sommo dei peccati: dall’inesistenza di Dio discendendo ogni possibile conseguenza spirituale, etica e politica. Non meraviglia perciò che Voltaire stesso, considerato esempio del libero pensiero, sia tra i persecutori del Libertinismo. Il peccato erotico di don Giovanni e tutti gli altri suoi vanno ricompresi nel suo esser Libertino: quanto non si capisce più se il mito di don Giovanni si fonda sull’Opera di Mozart, la quale per ragioni drammatiche afferra solo il facile tema erotico e licenzioso. Ve ne sarebbe argomento per dimostrare che nel Seicento la libertà di pensiero fu autentica, presso gl’Illuministi un compromesso con i valori etico-economico-sociali correnti: ma ciò se Mozart fosse Illuminista, ch’è vecchia fola... stata, all’inizio dell’Opera di Mozart, donn’Anna forzata e deflorata da don Giovanni? A prescindere dall’autorevole testimonianza d’una Novella di E. Th.A. Hoffmann, tutta una serie d’intrinseci indizî testuali converge in sentenza inappellabile: sì, donde l’isterica persecuzione alla quale donn’Anna sottopone don Giovanni, quasi facendo pretesto l’uccisione, in regolare duello, del Commendatore. Secondo Corghi e Saramago, al contrario, l’inossidabile don Giovanni sarebbe stato colto da un’improvvisa défaillance proprio sul fatto: e avrebbe pertanto inutilmente ucciso il Commendatore. Il peccato di eros, se lo si considera in astratto, come, ripeto, a partire dall’Opera di Mozart quello di don Giovanni diviene, è il men grave di tutti: ma esso è il suo, non quello, come tenta di affermare il grande Abert per nobilitare Mozart, di aver «negato la Metafisica». Don Giovanni rivendica l’ipocrisia di chi ne lo accusa, e al tempo stesso deve subire, dimostratasi inane a punirlo la statua del Commendatore, una congiura tra Anna ed Elvira, che fanno sparire il celebre Catalogo e lo dichiarano impotente...: voce che una volta diffusasi divien verità effettuale. Zerlina, vogliosa d’una notte completa dopo aver ricevuto solo anticipi, salva la situazione. La commedia pare più brillante che profonda, e certo alla sua fralezza giova la suddetta comicità da avanspettacolo e film italiano anni Cinquanta, ond’è concepita in sé e per l’intelligentissima regia di Patrizia Frini, da un progetto di Giancarlo Cobelli, e per gl’impagabili bozzetti e figurini di Alessandro Ciammarughi, che riempie la scena di manichini metafisici alla de Chirico e una serie di diavoli desunti dal tardo-Gotico di Brueghel e Bosch. Ch’esista un continuo rapporto drammaturgico fra commedia e partitura musicale, non saprei. Da un lato, attesa anche l’acustica della Scala, non sempre il testo viene colto in sala; dall’altra talora, ché vi sono vivacissimi esempi di vera commedia musicale, l’interesse dell’Autore sembra puntare sulla partitura orchestrale in sé. Essa è il punto più interessante del tutto, sì che l’aggettivo di «magistrale» non appare assolutamente enfatico se a lei rivolto. Dopo aver osteso nel Prologo super-artistiche Variazioni del testo di Mozart, Corghi rinuncia alla composizione tematico-contrappuntistica di ascendenza «viennese» e, con stile affatto inimitabile, dà luogo a un’atomizzazione di singole note in sì rapida successione da creare un finissimo (e fittissimo) reticolo, il principio costruttivo del quale risiede sopra il ritmo e il timbro come produttore intrinseco di melodia. Lasua fantasia inesauribile fa di tale partitura qualcosa di prezioso che si vorrebbe astrarre e riascoltare spesso per proprio piacere. La serata è un dittico a due ante, il primo essendo l’atto unico di Hindemith Sancta Susanna che, insieme con i meravigliosi Lieder con orchestra, rappresenta la fase «espressionista» e migliore della sua arte: il testo è del grande poeta August Stramm. Perito questi durante la Prima Guerra Mondiale, ecco disegnarsi attorno a tali opere un reticolo che tocca Trakl, Gottfried Benn, Else Lasker-Schuler... Nello sconvolgente «idillio» di Hindemith la continua adorazione che una monaca d’età barocca fa del Crocifisso la induce a spogliarlo del lino cingentegli le reni: nuda essa stessa, vive un isterico atto erotico con la statua, trasformando in carnale, di mistico, il suo rapporto di coniugio col Cristo, come lo è quello della stessa Chiesa, la Sponsa Christi. Ora, ciò stabilisce un singolare legame col tema di don Giovanni: giacché il più grande poeta che l’affrontò, Nikolaus Lenau, dice nei suoi frammenti drammatici non altro essere l’eros che il nostro impossibile inseguimento di immagini ideali per mezzo dei corpi: «onde il matrimonio è adulterio». Che cos’è dunque il Cristo di carne che la monaca idealmente insegue usando quello di legno? e non si postula, in quest’oscenissimo capolavoro (che l’animo borghese dell’Autore portò poi a rinnegare), siccome adulterino il rapporto stesso della Chiesa col suo Cristo? L’inventiva del Ciammarughi unifica figurativamente le due ante, ricomprese entro una cornice «Salvator Rosa» che si spezza al peccato della monaca. Il Crocifisso è fitto sopra faglie di roccia granitica (primi versi del Finale in Cielo del Faust II di Goethe) alla Caspar David Friedrich: contrapposte al lavorìo ligneo da retropalcoscenico immaginato per Corghi. Marko Letonja è una vera rivelazione per dominio delle due partiture ed equilibrio interiore nel dirigerle. Dei cantanti ricordiamo almeno le due fulgenti protagoniste di Hindemith, il soprano Tatiana Serjan e il contralto Brigitte Pinter. Paolo Isotta