Corriere della Sera 19/09/2006, pag.19 Giuliano Gallo, 19 settembre 2006
I nostri soldati senza base, Beirut non paga l’affitto. Corriere della Sera 19 settembre 2006. Tibnin (Libano meridionale)
I nostri soldati senza base, Beirut non paga l’affitto. Corriere della Sera 19 settembre 2006. Tibnin (Libano meridionale). Grandi cespugli di gerani, di oleandri e di piante grasse, sentieri e scalinate dipinti di un vezzoso «azzurro-Onu». E tutto intorno un boschetto di pini fitto fitto. In confronto all’arida pietraia di Jebel Maroun, la nuova base italiana sembra un piccolo paradiso: niente tende, ma bassi edifici in muratura, grande parcheggio per i mezzi, tutto rigorosamente asfaltato. Ma naturalmente c’è un «ma». Ed è che la nuova base di Tibnin, dove 300 soldati hanno traslocato da appena un giorno, non sarà la base di tutto il contingente italiano, ma solo la sede del comando. Gli altri sono stati per ora divisi in tre parti: 400 sono rimasti a Jebel Maroun, un plotone è andato ad accamparsi sulla collina di Maaraka – dove dovrebbe sorgere il campo principale – e altri 130 soldati, una compagnia, si sono trasferiti in una base che ospita il piccolo contingente cinese, 5 chilometri a sud di Tiro. Tutto per lasciare un po’ di posto ai poveri colleghi francesi, accampati da giorni nel porto di Beirut in attesa di una sistemazione definitiva. A Jebel Maroun per ora ne sono arrivati solo una sessantina. Il fatto è che, nonostante le mille dichiarazioni di buona volontà, il governo libanese non èriuscito finora a trovare una sistemazione per i soldati che stanno affluendo da mezzo mondo. Lentezze burocratiche, ma non solo. Il problema principale è che i proprietari dei terreni dove dovrebbero sorgere i vari campi non sono più disposti a cederli, perché quelli che lo hanno fatto negli anni passati non hanno mai ricevuto un soldo di indennizzo. Teoricamente l’Unifil chiede un pezzo di terra al governo, e il governo provvede a contrattare con i contadini: 15 dollari al metro quadro per le zone di montagna, su su fino a 500 dollari per i terreni vicino al mare, i più ambiti. Teoricamente. Perché dal ’78, accusano ora i proprietari dei terreni espropriati, il governo ha incassato dalle Nazioni Unite il danaro, ma non lo ha mai «girato» ai proprietari dei terreni. «La gente non ha fiducia nel governo – sintetizza Sari Allah, sindaco di Juwaya, uno dei villaggi dove dovrebbero sorgere dei campi ”. Qui noi siamo uomini d’affari, e non vogliamo cedere la nostra terra per niente». E Ali Sufan, l’impiegato che sta trattando con i contadini, spiega che ci sarebbero 6 luoghi diversi che potrebbero andar bene per le truppe. «Ma i proprietari dicono che non vogliono firmare nessun contratto se non direttamente con l’Unifil». Il generale francese Alain Pellegrini, che comanda tutte le truppe Onu del Libano meridionale, ha già fatto sapere a brutto muso che la situazione non gli garba affatto: «Ricordo alle autorità libanesi che siamo qui su loro richiesta, e che quindi "devono" offrirci la terra che ci serve, cosa che finora non hanno ancora fatto», era sbottato giorni fa in un’intervista. E gli italiani, arrivati per primi, sono le vittime principali di questa situazione: ieri forse si doveva firmare il contratto per il terreno di Maaraka, ma fino a tarda sera non si sapeva se i proprietari (due fratelli apertamente simpatizzanti di Hezbollah, che coltivano una piantagione di angurie) avessero accettato o meno l’esproprio. In ogni caso, se così fosse, gli italiani non potranno accamparsi lì prima di un mese. «Dobbiamo bonificare la zona, ché tutto intorno è piena di cluster bomb – spiega il contrammiraglio Claudio Confessore, comandante del contingente italiano – poi dovremo asfaltare il terreno, allargare la strada, costruire una recinzione...». E comunque, quando a fine ottobre arriverà la Pozzuolo del Friuli, e il contingente sarà al suo massimo, bisognerà cercare un’altra base ancora: a Maaraka tutti non c’entrano. Giuliano Gallo