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 2006  settembre 18 Lunedì calendario

Caschi blu, tutti li vogliono. La Stampa 18 settembre 2006. New York. Ma se l’Onu è quella porcheria che dicono i suoi critici, perché la comunità internazionale gli sta chiedendo di mandare nel mondo il numero più alto di caschi blu della sua storia? Oggi, fra personale militare e civile, sotto la bandiera azzurra del Palazzo di Vetro sono schierate 90

Caschi blu, tutti li vogliono. La Stampa 18 settembre 2006. New York. Ma se l’Onu è quella porcheria che dicono i suoi critici, perché la comunità internazionale gli sta chiedendo di mandare nel mondo il numero più alto di caschi blu della sua storia? Oggi, fra personale militare e civile, sotto la bandiera azzurra del Palazzo di Vetro sono schierate 90.263 persone, impegnate in 18 operazioni di pace. Se si aggiungono i soldati in partenza per il Libano con la nuova Unifil, italiani compresi, il totale è destinato a superare quota 100.000 entro la fine dell’anno. Se poi il governo del Sudan darà via libera alla missione di 22.000 caschi blu per il Darfur, già approvata dal Consiglio di Sicurezza, il numero salirà oltre 120.000 uomini, ad un costo complessivo di circa 7 miliardi di dollari all’anno. Solo il Pentagono fa di più, con circa 130.000 militari schierati soltanto in Iraq, ma spende anche molto di più, visto che ha un bilancio annuale da 400 miliardi di dollari. Perché c’è questa esplosione dei caschi blu proprio adesso, se fino all’anno scorso l’obiettivo principale dell’amministrazione Bush, o almeno dei suoi consiglieri neocon, sembrava quello di trasformare il Palazzo di Vetro in un albergo di lusso? La storia delle operazioni di pace dell’Onu è lunga, e non sempre gloriosa. Il primo casco blu partì nel 1948 con la United Nations Truce Supervision Organization (Untso), che aveva il compito di supervisionare la tregua fra il neonato Stato di Israele e i palestinesi. La Untso è ancora lì e la pace non c’è. Da allora in poi il Palazzo di Vetro ha gestito 60 missioni in tutto il mondo, col contributo di oltre cento Paesi. Alcune hanno avuto successo, come quella per le elezioni in Cambogia, o quelle per la pace in Salvador e Mozambico. Altre sono state veri disastri, come quelle in Somalia, Bosnia e Ruanda. Le ragioni dei fallimenti variano. Alcuni incolpano la struttura troppo burocratica dell’Onu, che gestisce le missioni attraverso il Department of Peacekeeping Operation (Dpko), guidato da Kofi Annan all’inizio degli anni ”90 e ora dal francese Jean-Marie Guéhenno. Altri se la prendono con l’inerzia dei Paesi membri, che hanno il vero potere di decidere, finanziare e condurre gli interventi di pace con le loro truppe. Altri ancora puntano l’indice sugli errori politici. La missione in Somalia, ad esempio, fu voluta dal presidente Bush padre senza l’accordo delle fazione in lotta sul terreno. Quindi era un’operazione di peace enforcement, imposizione della pace, gestita da una struttura di peace keeping, cioé mantenimento di una tregua già concordata. Alcuni, poi, sostengono che dopo la fine della Guerra Fredda si è investito troppo e troppo in fretta sull’Onu, chiedendole di gestire una marea di interventi per riassettare il disordine mondiale, senza avere i mezzi e l’esperienza necessari. Qualunque sia la verità, quei fallimenti avevano provocato un’autentica ritirata del Palazzo di Vetro. Basti pensare che nel 1993 il bilancio delle operazioni di pace era 3,6 miliardi di dollari, e nel 1998 era sceso ad un miliardo. Ora la tendenza si è invertita, a velocità supersonica. Nella sua storia l’Onu non ha mai mandato in giro tanti caschi blu, al punto che alla vigilia della 61sima Assemblea Generale, aperta la settimana scorsa, lo stesso segretario Kofi Annan ha lanciato l’allarme: «Se uno dà un’occhiata nel mondo, siamo sovraimpegnati». Come mai tanta domanda? Per cominciare, si potrebbe ricordare che mantenere un casco blu costa 45.000 dollari all’anno, mentre un militare Nato ne costa 200.000. Ma la questione non può essere solo economica. La risposta più diplomatica forse l’ha data l’ambasciatore americano all’Onu Bolton, uno che fino a qualche anno fa sosteneva che nessuno avrebbe notato l’abbattimento di qualche piano del Palazzo di Vetro: «Il bisogno di creare le missioni di pace è dettato dalle circostanze nel mondo, perciò noi abbiamo risposto». Ancora più sincero il senatore repubblicano Coleman, uno che fino all’anno scorso pretendeva le dimissioni di Annan: «La realtà è che al momento non ci sono molte altre scelte». I critici del presidente Bush sostengono che il fallimento in Iraq ha riportato una salutare dose di realismo nell’amministrazione. Di sicuro c’è che il mondo resta un luogo piuttosto agitato, e spesso per cercare rimedio non ci sono alternative al multilateralismo che solo l’Onu può legittimare. I neocon, per esempio, si illudevano di sostiurla con l’Alleanza delle Democrazie, dimenticando che la grande lite sull’Iraq era avvenuta proprio fra democrazie, cioé Usa e Gran Bretagna favorevoli alla guerra, Francia e Germania contrarie. Oggi che Washington è stata costretta a ricorrere al Palazzo di Vetro per trovare una via d’uscita onorevole alla crisi libanese, chi può onestamente credere che il Medio Oriente in fiamme avrebbe accettato una forza di pace autorizzata e armata dalla filo americana Alleanza delle Democrazie? Naturalmente il ritorno di moda dei caschi blu non significa che tutti i problemi sono stati superati e il successo è garantito, specie in Libano. Per esempio c’è da cancellare la vergogna degli abusi sessuali, commessi dalle truppe Onu in Congo e in altri Paesi. Dopo il rapporto del diplomatico algerino Brahimi, il Palazzo di Vetro ha creato un’Unità disciplinare per controllare il comportamento dei suoi uomini. Poi c’è la questione dei contributi: Bangladesh, India e Pakistan guidano la classifica di chi dà più truppe, perché incassano mille dollari al mese per casco blu, e così i Paesi ricchi pagano per scaricare l’onere degli interventi più rischiosi su quelli poveri. Quindi c’è la questione politica. Il Consiglio di Sicurezza, ad esempio, ha già approvato la missione nel Darfur, ma nulla si muove perché il presidente Omar al Bashir rifiuta di accettare i caschi blu. Bush chiede di approvare una risoluzione che imponga il loro arrivo, e ha ragione: ma quali Paesi hanno voglia di rischiare una nuova Somalia, per salvare i civili massacrati dalle milizie janjaweed? Ancora una volta i mezzi, attraverso la vecchia Onu, ci sarebbero. Se solo l’ipocrisia dei suoi membri non li fermasse. Paolo Mastrolilli