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 2006  settembre 18 Lunedì calendario

Guerra fredda a Corleone Il clan Riina sfida il sindaco. La Stampa 18 settembre 2006. Corleone (Palermo)

Guerra fredda a Corleone Il clan Riina sfida il sindaco. La Stampa 18 settembre 2006. Corleone (Palermo). A Corleone, quando una sconosciuta entra nel caffè davanti al Municipio, per prima cosa si pensa a una turista straniera impegnata nel solito mafia-tour, perciò si crea per lei un po’ d’atmosfera - come se non bastassero i manifesti di Marlon Brando e Al Pacino e la pubblicità dell’«Amaro del Padrino» - facendo partire il nastro col tema musicale del film di Coppola. Se poi la sconosciuta fa la sua ordinazione in italiano, il jingle s’interrompe bruscamente (pulsantiera sotto la macchina del caffè) e la seconda supposizione si rivela quella esatta: «E’ della carta stampata»? I corleonesi sono abituati a turisti e giornalisti, però li considerano persone un po’ tocche che s’inerpicano fin qui «convinte di trovare i vecchi vestiti di nero e con la lupara», come dice ridendo il giovane Luca fermo col motorino all’angolo tra piazza Falcone e Borsellino e via Francesca Morvillo, o a metà strada tra il bar «Sweet Tentation» e il pub «Strange Days». Invece trovano anche ragazzi e ragazze coi jeans a vita bassa, studenti liceali e lettori di Federico Moccia, adolescenti estroversi che se pronunci la parola mafia alzano gli occhi all’altezza di quei famosi tre metri sopra il cielo e scandiscono «al-giorno-d’oggi...» con la legittima insofferenza di chi è costretto a crescere in un luogo dove tutto sembra poter essere solo mafia o antimafia. La battaglia del brand Eppure è da lì che tocca ripartire, quattro mesi e mezzo dopo l’arresto di Bernardo Provenzano. Perché se la cronaca nera registra più che altro nervosismo e microcriminalità in crescita («si stanno «quartiando»), sul fronte del marketing scoppia una «guerra del brand» tra il Comune guidato dal centro-destra e un’azienda del posto, e non pare il simbolo del nuovo che avanza, casomai del sorprendente: l’azienda appartiene infatti ai familiari di Totò Riina, i quali citano in giudizio il sindaco Nicolò Nicolosi per aver utilizzato un loro marchio registrato - «I love Corleone», ovviamente - per lanciare una riuscita manifestazione di piazza: «I love Corleone», sfortunatamente. E ci vorrebbe Sciascia per descrivere quest’imbroglio che vede i familiari del padrino sanguinario rivolgersi alla giustizia per venire difesi dall’istituzione accusata d’essersi appropriata illegalmente del logo utilizzato, oltretutto, per la «festa della legalità». Ignorando il pessimismo dei corleonesi richiesti di indicazioni stradali («Non credo proprio che la riceveranno»...), ci si mette dunque alla ricerca del «Ricamificio industriale Maniamaax», che esiste: due vetrine affacciate su una stradetta polverosa, dove si verrà invece accolti con cortesia da Mattea Ciavarello, e congedati con l’omaggio di una coppola griffata. Mattea e il fratello Tony, marito della figlia di Totò Riina, producono e commercializzano dal 2002 le magliette e i caratteristici copricapo col logo conteso; li vendono soprattutto su Internet, «al Nord e all’estero». «Non ce l’abbiamo col sindaco, ma vogliamo recuperare ciò che ci è dovuto», taglia corto Mattea, assertiva ventiseienne innamorata del suo paese che descrive così: «Un posto tranquillissimo, non c’è droga, non ci sono scippi; se lei lascia l’auto aperta con le chiavi nel cruscotto, nessuno gliela tocca». Piccoli mafiosi crescono L’auto di Dino Paternostro, il segretario della Camera del lavoro che siede sulla graticola che fu di Placido Rizzotto, è stata bruciata pochi mesi fa, ma il suo proprietario dice che, «scomodando l’ottimismo della volontà, il dopo-Provenzano è iniziato, soprattutto con gli arresti successivi di persone con grande forza intimidatoria»; però, avverte, «sopravvive una complicità diffusa, più culturale che penale, e i prossimi mesi saranno decisivi: o si continua fino alla disarticolazione oppure... piccoli mafiosi crescono». Lui giudica «eticamente grave» la scelta del primo cittadino: «La gente è confusa, se il Comune perderà la causa sarà costretto a dare del denaro ai famigliari di Riina: così si rilanciare l’immagine del paese?». Pare che qui tutti sapessero che il brand col cuore (così come il dominio ”Corleone” su Internet) appartiene ai Ciavarello. «Ma io lo scopro ora», assicura il sindaco, «e a questo punto vado avanti: quel marchio, che mi è stato proposto da un consulente pensando a New York, non può appartenere a una famiglia che ha dimostrato nel tempo di non amare per niente il paese. Ne faccio una questione morale e di principio». Nicolosi «guarda avanti», e quando nomina la mafia usa rigorosamente il tempo passato, seppur prossimo. Nel futuro immediato, però, su questa storia del marchio rischia di lasciarci la poltrona: venerdì sera è all’ordine del giorno la mozione di sfiducia presentata da otto consiglieri della sua maggioranza. Segno, secondo gli oppositori politici, che il dopo-Provenzano è indubbiamente cominciato in paese. Il fattore Mogli Ma poi: quale paese? Quello dove gli ultimi boss hanno lasciato le loro rappresentanze, in cui vivono le due mogli, l’assai riverita signora Riina in collina, la compagna di Provenzano proprio di fronte alla trattoria Leon D’oro? Quello del marketing coppole&amari, dei matrimoni de danesi, dei russi e degli israeliani con l’uzzolo del «famolo strano»? O il paese in cui nella villa appartenuta a Totò u curtu hanno aperto una scuola e la caserma della guardia di Finanza? Quello dei ragazzi di «Addiopizzo» e dei dodici giovani assunti con regolare contratto dalla cooperativa agricola nata sui terreni confiscati, cosa per nulla ovvia qui dove il lavoro nero è considerato un ammortizzatore sociale? La sfida delle cooperative Le cooperative che nascono sui terreni confiscati grazie alla legge voluta da Libera sono il simbolo più vistoso della sconfitta, possibile, della mafia. Producono lavoro, dignità, legalità, passata di pomodoro biologica, cultura. «La galera per un mafioso fa parte del cursus honoris, venire spogliati delle proprie ricchezze davanti alla gente del posto è la vera sconfitta», dice Paternostro. E così anche l’antimafia ha qui le sue rappresentanze. A Portella della Ginestra, sui campi appartenuti ai Brusca, è nato l’agriturismo col maneggio intitolato a Giuseppe Di Matteo, il bambino sciolto nell’acido. Lo gestisce da San Giuseppe Jato la cooperativa «Placido Rizzotto», dove Francesca Massimino racconta ordinarie diffidenze ma anche successi, «i braccianti vengono e dicono: ”so che mettete in regola”». Francesca è di qui, sa che tra i suoi coetanei il figlio del boss è un mito non ancora scalzato da Costantino. Le fanno: «tu mi metti una giornata in più e io ti pago i contributi». Lei risponde: «la giornata te la metto, ma tu la lavori». «C’è l’abitudine al favore elargito», racconta, «capita di sentirsi dire ”allora era meglio quando c’era il mafioso”... Però tornano». I Gabibbi di Partinico TeleJato trasmette da Partinico verso San Giuseppe e Corleone, «il triangolo delle Bermude» lo chiama il direttore Pino Maniaci, un giornalista che tutti considerano un po’ l’erede di Peppino Impastato, un po’ un giustiziere stile Gabibbo. Le sue telecamere sono ovunque, i suoi tg eterni, il fine dichiarato: «Lotta alla mafia, attenzione all’operato delle amministrazioni». Sua figlia Letizia ha vinto il premio Maria Grazia Cutuli, inviata di guerra pure lei a ben vedere: 40 gomme tagliate, 220 querele, «ci hanno proposto la scorta», racconta Maniaci, «ma l’abbiamo rifiutata». E corre via, ogni vetrina saltata vale un servizio, «l’ultima l’hanno tirata giù l’altra sera con una bomba: perché qui siamo alle bombe, altro che cambiamento». La nuova sfida Il fatto è che le cose cambiano a seconda di dove ti metti a osservarle. Il casolare dove fu arrestato Provenzano, per esempio: se ci siamo fatti l’idea, sbagliata, che fosse isolato, è solo perché non sono state diffuse riprese aeree; invece, sorpresa, sull’altro lato della stradina s’affacciano villette col giardino curato. Da qui, il boss dei pizzini raccomandava ai suoi d’infiltrarsi nelle associazioni antimafia: una sfida per i giorni a venire, quando, loghi a parte, bisognerà volere molto bene a Corleone. Il simbolo della vittoria possibile Grazie alla legge voluta da «Libera», le proprietà della mafia tornano alla collettività, ospitano scuole, aziende agricole, caserme. «Vedersi spogliati dei propri beni davanti al paese, per i mafiosi è peggio del carcere», dice il segretario della Camera del lavoro di Corleone. Stefania Miretti