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 2006  settembre 10 Domenica calendario

La riscossa del ragazzaccio. Il Sole 24 Ore 10 settembre 2006. Nel marzo del 1906, il signor Bertelli compì quarantasei anni

La riscossa del ragazzaccio. Il Sole 24 Ore 10 settembre 2006. Nel marzo del 1906, il signor Bertelli compì quarantasei anni. A quel tempo, gli uomini di quarantasei anni portavano barba, baffi e basette, abiti ingessati e decorosi come la vita che dicevano di condurre. E indossavano la menzogna e il perbenismo con la stessa disinvoltura del cappello a cilindro. A quarantasei anni, o eri qualcuno o eri già vecchio. Il signor Bertelli non era né una cosa né l’altra. Era un giornalista politico e un pupazzettista, cioè un vignettista. Per questo si era inventato un’altra identità, un altro se stesso. Il suo pseudonimo era Vamba, come il buffone di Ivanhoe. Ai buffoni, lo sapeva anche Amleto, è consentito dire la verità perfino ai re. Con le sue caricature Vamba aveva fatto ridere e piangere molti, ma i giornali ai quali aveva lavorato non erano durati più del "Lumaca", il giornalino che aveva creato al collegio degli Scolopi, e che era stato sequestrato dal preside. E all’ingresso nel Novecento, Vamba il buffone era stanco di fustigare senatori e trasformisti, stava perdendo mordente e non faceva più ridere. A quel punto, il signor Bertelli decise di chiudere coi giornali per gli adulti e con gli adulti in generale. Con il supporto dell’editore Bemporad fondò un giornale per ragazzi, il "Giornalino della Domenica". Reclutarono i collaboratori fra gli scrittori e i pittori più celebri del tempo e in giugno uscì il primo numero. Il "Giornalino" vantava rubriche di attualità ed enigmistica, vignette, illustrazioni. Aveva un nobile intento pedagogico: formare, divulgando senza annoiare, la classe dirigente del futuro, alla quale era del resto diretto. Un numero costava 25 centesimi. Lo stesso Bertelli, di buona famiglia ma orfano di padre a 13 anni e costretto a trovarsi un impiego giovanissimo, probabilmente non avrebbe potuto leggerlo. Nato il giornale, si trattava ora di riempirlo. Il Bertelli si mise a cercare una storia da pubblicare a puntate. La collaboratrice Ester Modigliani propose un romanzo americano per ragazzi, Story of a bad boy. Ne tradusse alcuni capitoli. Al Bertelli piacque lo scapestrato protagonista, e decise di pubblicarlo. Però, a pensarci bene, i ragazzini italiani non si sarebbero identificati con quella storia. Così cominciò ad adattarla, spostando l’azione a Firenze. A quel punto, con un guizzo corsaro, Vamba detronizzò il signor Bertelli. Perché il signor Bertelli non aveva perso la speranza di educare gli italiani, ma non aveva potuto educare se stesso: e Vamba gli si rivoltò contro, ribelle e irrispettoso di ogni regola. E voleva scrivere. Non adattare il romanzo di un altro, ma farne uno suo. Aspettava da troppo quel momento. Anni prima, aveva pubblicato con successo un romanzo per ragazzi, Ciondolino, basato su una trovata a dir poco geniale. Un ragazzino sfaticato invidia la vita delle formiche, che gli sembra tanto più rilassata. Detto fatto: viene trasformato in formica. Ma lo scrittore non aveva osato rinunciare al mondo degli adulti. Stavolta Vamba non aveva tempo da perdere. Il romanzo doveva scriverlo subito. E lo scrisse. Nel mese di marzo dell’anno seguente apparve la prima puntata, presentata come opera di un ragazzino vero, un conoscente di Ester Modigliani. All’improvviso, su un giornalino animato di tante buone patriottiche intenzioni, nel sonnacchioso panorama delle patrie lettere, si abbatte - come la grandine - Gian Burrasca, il bambino più simpatico della letteratura italiana. Che di questa birbonata, come di tutte le altre, fu adeguatamente punito. Fu escluso dal canone e dalle scuole. Ma lui sarebbe stato contento: leggeva soltanto Il Corsaro Nero e a scuola ci andava poco. Come Vamba, anche Gian Burrasca è uno pseudonimo. Il bambino benestante di cui è la proiezione liberata si chiama Giannino Stoppani. Per il suo nono compleanno, la mamma gli regala un diario; il Giornalino appunto. Da quel giorno, per sette mesi, ci scrive le sue avventure che, pur svolgendosi in luoghi banalissimi - la casa, i negozi, la scuola - si susseguono una dietro l’altra, senza respiro. Gian Burrasca è un "pessimo soggetto, un ragazzaccio incorreggibile, sciagurato senza cervello e senza cuore" ma la sua colpa è di dire sempre la verità. Il problema è che gli adulti la predicano, ma non la accettano. Sono tutti bugiardi, ipocriti e conformisti. Così Gian Burrasca passa di punizione in punizione, di castigo in castigo. Con le sue rivelazioni, manda a monte matrimoni ed eredità, distrugge la carriera del cognato, l’automobile del padre di un compagno di scuola, il salotto buono di casa, mette a soqquadro il collegio in cui viene rinchiuso. Gian Burrasca viene picchiato e incarcerato: mai domato. E alla fine scappa anche dal Giornalino che lo ospita. Sta cominciando a soffocare, là dentro. Nel 1908, le avventure di Gian Burrasca si interrompono bruscamente; mentre, condannato dai parenti al riformatorio, progetta la fuga da casa. Vamba aveva l’intenzione di scrivere il seguito, e lo annunciò ai lettori. Ma in quel momento gli pareva di avere qualcosa di più importante da fare per il bene della nazione. Aveva stabilito rapporti strettissimi coi suoi piccoli lettori, che chiamava "grilli" (ne pubblicava le lettere e gli articoli): cominciò a organizzare giochi, concorsi, parate, e gli venne l’idea di creare una specie di Stato di minorenni, con tanto di ambasciatori e ministri, e perfino una città di bambini, Ragazzopoli, per l’Esposizione Universale di Roma del 1911. Ma mentre aspettava il ritorno di Gian Burrasca, il "Giornalino della Domenica" entrò in agonia. Gli abbonamenti non bastavano a pagare i costosi collaboratori. Seppelliti dai debiti, prima Bemporad, poi anche Vamba si arresero: e il "Giornalino" cessò le pubblicazioni. Dopo di che scoppiò la guerra, che Vamba aveva sostenuto con patriottico fervore, illudendosi di vedervi il compimento del Risorgimento. A centinaia, i "grilli" - cresciuti leggendo le avventure di Gian Burrasca - morirono al fronte. Ma Gian Burrasca non morì. Non crebbe. Non si arruolò volontario in guerra. Le sue avventure non ebbero un seguito. Ormai Vamba si era arreso al signor Bertelli: scriveva poesie malinconiche e tristi, e si sentiva davvero troppo vecchio per tornare a immedesimarsi nei panni del ragazzaccio. Nel 1920 morì, lasciandolo libero e ribelle per sempre. Forse, nel 1923, quando inaugurarono un monumento alla sua memoria, Gian Burrasca era tra la folla. Aveva comprato i fuochi d’artificio, e quando il sindaco pronunciò il discorso li fece scoppiare, per far festa. Melania Mazzucco