Corriere della Sera 15/09/2006, pag.56 Armando Torno, 15 settembre 2006
Le follie di re Erode, maestro di inganni e sangue. Corriere della Sera 15 settembre 2006. Più che di Erode si dovrebbe parlare della dinastia degli Erodiani, ovvero di quei personaggi che dal 37 a
Le follie di re Erode, maestro di inganni e sangue. Corriere della Sera 15 settembre 2006. Più che di Erode si dovrebbe parlare della dinastia degli Erodiani, ovvero di quei personaggi che dal 37 a.C al 53 d.C. esercitarono quel potere che si legge nei racconti della Bibbia. Regnarono con storie diverse in Palestina e nelle regioni vicine; da questa famiglia i romani scelsero etnarchi, tetrarchi e re. L’Occidente da due millenni quando parla di Erode intende il monarca crudele per eccellenza: uomo sospettoso, implacabile, timoroso di Roma ma capace di macchiarsi di delitti atroci, insomma il simbolo del male sul trono che tiene saldo il suo potere con una giusta dose di ferocia. Questo nome però non corrisponde soltanto a una persona, perché vi sono almeno cinque Erode che possono essere identificati con le citazioni del Nuovo Testamento. Facciamo la loro conoscenza, seppur rapidamente. C’è innanzitutto Erode il Grande, nato nel 73 a.C. circa, nominato dal senato romano – su consiglio di Antonio e Ottaviano – «re dei Giudei» nel 37 a.C. Osserva Giovanni Pettinato, professore di assiriologia alla Sapienza di Roma e curatore di due recenti volumi sulla mitologia sumerica e assiro-babilonese nei «Classici delle religioni» Utet: «Erode il Grande fu un politico di acume straordinario, riuscendo a barcamenarsi nella lotta di potere tra Augusto, Cassio e Antonio». «Indubbiamente – prosegue Pettinato – dobbiamo considerarlo un buon comandante militare, un vero e proprio stratega», anche se non utilizzò particolari tattiche per far passare a fil di spada non poche persone, tra le quali c’erano la moglie Mariamne, uno zio e due figli. La sua fama è legata più a questi delitti che non ai risultati di governo o alle opere murarie. Di certo il carattere sospettoso e violento emerge dal racconto che si legge in Matteo (2, 1-18), dove sono narrati il suo atteggiamento con i Magi e la strage degli Innocenti. Circa quest’ultimo fatto, occorre ricordare che il numero dei bimbi uccisi per suo ordine è stato esagerato dai commentatori e dall’arte: nei quadri di Nicolas Poussin o di Guido Reni, per limitarci a due illustri esempi dei tantissimi possibili, è quasi tradotta in figura la valutazione di San Gerolamo che parla di parecchie migliaia («multa parvulorum millia») o del Martirologio di Usuardo, che fissava la cifra a 144 mila, cifra simbolica forse tratta da un passo dell’Apocalisse (7,4), indicante peraltro il numero degli eletti. Per quanto crudele fosse Erode, occorre notare che Betlemme in quel tempo aveva un migliaio di abitanti e quindi, pur comprendendo i dintorni, i bambini maschi «dai due anni in giù» (sono le parole del Vangelo di Matteo) potevano oscillare tra i 30 e i 40. Qualche esegeta tende a limitare ulteriormente il loro numero: si va da 10 o 12 uccisi (Bisping, Schegg) alla ventina (Lagrange, Simon-Dorado). Quel massacro, del quale tuttavia non conviene rapportare l’atrocità al numero, è stato narrato dal solo Matteo e costò al Re la condanna della storia e già in età antica si volle distinguerlo dalle leggende che il folclore aveva creato intorno alla culla di taluni eroi, come Ciro, Romolo o il dio indù Krishna. D’altra parte, l’avvenimento evangelico fu discusso animatamente nei primi secoli da più concilii, sino ad arrivare alla canonizzazione dei bambini che con il loro martirio salvarono Gesù, battezzati «non con l’acqua ma con il sangue». Si può ragionevolmente sostenere che la festa liturgica in loro onore ebbe inizio nel V secolo; il testo più antico che commemora i piccoli martiri è il Calendario di Cartagine risalente al 505 circa. Gianfranco Ravasi evidenzia la scena che è entrata più di molte altre della storia sacra nell’immaginario collettivo: «Erode che gelidamente ordina ai suoi soldati di procedere all’operazione, stando su un loggiato, mentre nella piazza una madre urla la sua disperazione e scaglia contro di lui una maledizione, è forse la rappresentazione più incisiva che sia stata mai offerta dal celebre racconto evangelico della strage degli Innocenti. A delinearla pittoricamente è stato Giotto nella Cappella degli Scrovegni di Padova». In altre parole, ben incarna «la storia di questo personaggio mezzo ebreo e mezzo idumeo che resse con pugno di ferro la Palestina durante l’impero d’Augusto e che non risparmiò sangue per conservare quanto amava e adorava di più: il potere». C’è poi Archelao, figlio maggiore di Erode il Grande e della samaritana Maltace, che «regnò in Giudea al posto di suo padre» (Matteo 2,22) dal 4 a.C. al 6 d.C. senza però il titolo di Re. Nelle monete fece incidere «Erode l’Etnarca». Invece quello che Gesù definì «una volpe» (Luca 13,32) fu Erode Antipa – Pettinato suggerisce di intendere con il termine suo padre, anche se costui fu un abile maneggione – o come lo chiama il ricordato evangelista (3,19) «il tetrarca Erode», secondo figlio del Grande e di Maltace. Sappiamo che fece arrestare e decapitare Giovanni il Battista (Marco 16, 14-18) e che Pilato, nel corso del processo, gli inviò Gesù ed egli con i suoi soldati «lo insultò e lo schernì, poi lo rivestì di una splendida veste e lo rimandò» (Luca 23,11). Inoltre si separò dalla moglie (figlia del Re nabateo Areta IV) per sposare Erodiade, già consorte di uno dei suoi fratellastri e nipote: in tal modo questa donna condivise il talamo con due zii. Secondo i Vangeli sinottici – cioè Matteo, Marco e Luca – Giovanni il Battista bollò di illegittimità tale unione attirandosi le ire del monarca; invece secondo lo storico Giuseppe Flavio, Antipa avrebbe temuto che quelle critiche potessero scatenare una rivolta dei sudditi (così nelle Antichità giudaiche 18, 118). Dopo la morte di Cristo non riuscì a conservare a lungo il trono: sconfitto dal suocero Areta IV, l’imperatore Caligola lo mandò in esilio con Erodiade, la quale avrebbe potuto evitare la pena, ma in tal caso fu fedele al suo uomo. La coppia regale finirà in una località dei Pirenei, probabilmente quella che poi sarebbe diventata Saint-Bertrand de Comminges, dove Antipa morirà intorno al 40 della nostra era. C’è ancora Agrippa I, «il re Erode» degli Atti degli Apostoli (12,1), nipote del Grande, che morì nel 44 d.C. quando aveva 54 anni. L’avvenimento è così descritto nel Nuovo Testamento: «Vestito del manto regale e seduto sul podio, tenne un discorso. Il popolo acclamava: "Parola di un dio e non di un uomo!". Ma improvvisamente un angelo del Signore lo colpì, perché non aveva dato gloria a Dio; e roso dai vermi, spirò» (Atti degli Apostoli 12, 21-23). E c’è infine il figlio di questo Re, Agrippa II, che – sempre secondo gli Atti (capitoli 25 e 26) – incontrò San Paolo. Sovente si fa confusione tra Erode il Grande ed Erode Antipa, ma il primo morì nel 4 a.C. e il suo regno riguarda l’infanzia di Gesù (la cui data di nascita è da spostare indietro di qualche anno oltre lo zero della nostra cronologia, per un errore di calcolo del monaco Dionigi il Piccolo); mentre il secondo vide e incontrò realmente Cristo. Anche se, per Pettinato, Antipa – nonostante gli sforzi compiuti nelle costruzioni – «fu una figura minore ed ebbe soltanto la fortuna di vivere in anni cruciali». Armando Torno