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 2006  settembre 12 Martedì calendario

APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 18 SETTEMBRE 2006

Ha visto? Prodi ha cacciato Tronchetti Provera che dopo aver riempito di debiti la Telecom si voleva salvare vendendola ai cinesi! Di più: siccome quelli del governo gli dicevano di no, li aveva pure sputtanati su tutti i giornali raccontando di una lettera segreta per convincerlo a rifare l’Iri di nascosto...
Non è andata proprio così. Tronchetti Provera si è dimesso da presidente della Telecom spiegando a quelli del cda che è in atto «un attacco, da parte delle Autorità e della politica che interferisce con le Autorità» e che con lui di mezzo la pace era impossibile. [1] Poco più di una settimana fa aveva annunciato lo scorporo di Tim, i telefonini per intendersi, secondo molti il preludio alla messa in vendita. E siccome dei quattro operatori in Italia già tre (Vodafone, Wind, H3g) sono in mani straniere, molti temono che questo estrometterà del tutto gli italiani dal settore. [2]
E dei debiti che mi dice? Quanti miliardi sono?
Secondo i calcoli del gruppo, 41,3 a fine giugno, secondo l’agenzia di rating Standard & Poor’s 48. [3]
Ma come si fa ad accumulare quaranta miliardi di euro di debiti?
Tronchetti Provera, che s’è fatto un nome salvando la Pirelli (aveva sposato Cecilia, figlia di Leopoldo), ha da anni la fissa dei telefoni. Quando Prodi era presidente dell’Iri cercò di farsi vendere la Stet, che sarebbe la Telecom di oggi, ma non ci riuscì, e quando nel ’97 fu avviata la privatizzazione del gruppo (gestita da quel Guido Rossi cui adesso ha lasciato la presidenza), il controllo passò al cosiddetto ”nocciolo duro” guidato dagli Agnelli con meno dell’1 per cento. Quegli azionisti, però, si erano messi nell’affare solo perché invitati dai politici. E infatti la Telecom del ”nocciolo duro” durò poco. [4]
Quanto?
Grosso modo due anni. Nel ’99 Roberto Colaninno (un manager del gruppo De Benedetti che aveva assunto il controllo della Olivetti) lanciò insieme alla cosiddetta ”razza padana” (un club di ricchi di provincia) la famosa opa su Telecom. Erano ricchi sì, ma non abbastanza per una scalata di quelle dimensioni, che portarono a termine ricorrendo all’ingegneria finanziaria e creando la montagna di debiti che ancora oggi grava sul gruppo. [4]
E Tronchetti Provera quando arrivò?
A un certo punto i soci di Colaninno (per esempio quel Chicco Gnutti diventato famoso nell’estate del 2005 in mezzo ai ”furbetti del quartierino”) decisero di vendere, incassare un sacco di soldi, e lasciare Telecom al suo destino. Saputa la cosa, Tronchetti cominciò a cercar soci e ne trovò tre: la famiglia Benetton, il finanziere milanese Francesco Micheli e Mediaset. Quando si arrivò al dunque, nel luglio 2001, Micheli e Mediaset si tirarono però indietro perché il prezzo, più di 4 euro per azione (oggi siamo intorno a due), era troppo alto. Restarono Tronchetti (Pirelli) e Benetton, che ad ottobre, liquidate Unicredit e Banca Intesa, avranno in mano rispettivamente l’80 e il 20% di Olimpia, la società che controlla Telecom con una quota del 18%. [4]
Tim la vogliono vendere per pagare i debiti?
Meno di due anni fa Tronchetti Provera andava dicendo che bisognava scommettere sull’integrazione fisso-mobile, Telecom più Tim. Perciò la fusione, costata 14 miliardi di euro. Molti pensano che l’operazione fu fatta solo per tamponare col flusso di cassa dei telefonini i problemi degli altri settori. Da allora, il titolo è sceso da 3 a 2 euro, e la cosa si giudica da sé. [5]
E di chi è la colpa?
Tronchetti dice che l’Authority per le comunicazioni (Agcom) gli ha messo troppi vincoli (ad esempio sul telefonino Unico), e allora è meglio tornare indietro. Molti pensano però che voglia lasciare la telefonia mobile per lanciarsi nella cosiddetta media company. [6]
Traduca
La televisione via internet. Un modello che il mercato oggi valuta con parametri più generosi di quelli delle società di telecomunicazioni tradizionali. Una svolta che passa anche per l’accordo con Murdoch per portare film, news, documentari, serie tv, calcio e altri sport di cui la NewsCorp ha i diritti, ai clienti di Telecom via Internet sul pc o sulla tv di casa. [7] Molti però pensano che vendere la telefonia mobile sia un errore. Indovini qual è la nazione con la più alta penetrazione di telefonini? [8]
L’Italia?
Bravo. Da noi ci sono 69 milioni e 300 mila utenti, contro una popolazione inferiore ai 55 milioni di abitanti. In Cina, più di due miliardi di anime, i telefonini sono 376 milioni, in America 208 milioni, in Russia 126, in Inghilterra 65, in Francia 47 milioni. In Italia ce l’hanno proprio tutti, ne hanno uno, due, tre. [8] La paura è che si venda senza che ce ne sia il bisogno. I sindacati dicono che le spiegazioni di Telecom sono state del tutto insignificanti e che ancora una volta le logiche finanziarie prevalgono sui piani industriali. [9]
Di cosa hanno paura?
Che una volta comprata Tim, i cinesi, o chi per loro, comincino a licenziare. Infatti vi sono 70 mila lavoratori già pronti allo sciopero. [9]
E questo rischio c’è?
Alcuni, per esempio l’economista Luigi Prosperetti, dicono che non sta scritto da nessuna parte che ci debba essere una compagnia di bandiera dei telefonini. Queste società danno lavoro a molte persone, ma quel lavoro resta in Italia. [10]
Ma quanto costerebbe ’sta Tim?
30-35 miliardi. Anche unendo le forze in cordata, per i nostri imprenditori sono troppi. Per chi ha grandi disponibilità in cassa, come Fininvest o Caltagirone, e per chi investe di mestiere, come Vito Gamberale, oggi socio del fondo Clessidra e negli anni 90 artefice del successo di Tim. La soluzione per rendere Tim abbordabile però ci sarebbe: gravarla di metà del debito che soffoca Telecom e abbassare così il prezzo a 10 miliardi. Ma non è detto che sia necessario acquistare il 100% di una società che Pirelli e Benetton controllano, di fatto, con il 18%: qualcuno potrebbe lanciare un’opa, cioè cercare di conquistarne il controllo in Borsa, e poi fare lo spezzatino a modo suo... [11]
Telecom non ha un altro modo per trovare i soldi?
Vendendo Telecom Brasile potrebbe incassare fino a 9 miliardi di euro. Dopo di che, le partecipazioni estere da vendere sono finite. [12] Angelo Rovati, consigliere economico di Prodi che giura di aver agito all’insaputa del capo, aveva mandato a Tronchetti Provera la proposta di cui tanto si parla in questi giorni: far intervenire la Cassa Depositi e Prestiti. [13]
Che roba è la Cassa Depositi e Prestiti?
Si tratta dell’istituto controllato dal ministero del Tesoro che investe il risparmio raccolto nei 14.000 sportelli postali italiani. La sua funzione è quella di concedere prestiti agli enti pubblici. L’idea sarebbe di fargli assumere la partecipazione di controllo di una rete fissa scorporata da Telecom e quotata in Borsa. La rete fissa telefonica tornerebbe pubblica secondo il disegno prodiano che vuole accorpare Terna (elettricità), Snam (gas) e telefoni in quello che i liberisti già chiamano «mostro di Stato». [13] L’operazione taglierebbe i debiti di 17-20 miliardi e garantirebbe allo Stato un flusso di imposte aggiuntive di 5-7 miliardi. [14] A essere scorporata potrebbe essere l’intera rete o, più probabilmente, solo il cosiddetto «ultimo miglio». [15]
Alt
 il filo di rame che collega le centrali telefoniche alle abitazioni. Se si eccettua la poco diffusa fibra ottica di Fastweb, è l’unico mezzo che le compagnie hanno per entrare nelle case ed è un monopolio Telecom, che lo affitta ai concorrenti a 7,8 euro al mese. Vale fra i 13 e i 19 miliardi. [15]
E che mi dice di quello che chiamano «modello inglese»?
Meno di un anno fa, Ben Verwaayen, amministratore delegato di British Telecom, annunciò la nascita di Openreach (accesso aperto). Si concludeva così un braccio di ferro lungo 18 mesi con l’Office of communications, il garante per il settore sul mercato britannico. Bt è potente, ma la Ofcom non scherza. Tra i boss della compagnia in quei giorni prevaleva la paura che la locale Antitrust potesse ordinare lo scorporo forzoso della rete e, magari, la vendita di quote. Nacque allora una divisione nuova, posseduta sempre al 100%, per controllare l’ultimo miglio e permettere piena parità di trattamento nell’accesso al crescente mercato dei servizi telefonici anche ai concorrenti. La proprietà rimase a Bt, ma la società insieme al nuovo board di controllo che deve valutarne la gestione (è questo il compromesso) traslocò in un altro edificio per non incrociare i vertici di Bt (magari alla macchinetta del caffè). In Italia questa funzione potrebbe essere svolta da una società quotata in Borsa e avente tra i suoi azionisti la Cassa Depositi e Prestiti (il Tesoro). [16]
E perché questa cosa non va bene a tutti?
Perché significherebbe un ritorno dello Stato nelle telecomunicazioni, un passo indietro dopo l’era delle privatizzazioni, il ritorno ad un’epoca che si riteneva ormai superata. Per questo si parla di ritorno all’Iri, l’Istituto di ricostruzione industriale nato nel ’33 e morto nel 2000. Rovati comunque dice che Tronchettti Provera non aveva approvato la sua idea. [17]
E che voleva fare?
Può essere che l’ex capo di Telecom volesse usare parte del ricavato dalla vendita di Tim per aumentare la sua quota in Rcs. Cioè nel Corriere della Sera. La banda larga di Alice, la tv generalista La7, il digitale terrestre, i cataloghi di Sky, avere Rcs Mediagroup sarebbe per Telecom come fare Bingo. Sulla carta è un’idea che non fa una piega. Magari, come ha scritto Paolo Madron su Panorama, la piega la fa Giovanni Bazoli all’idea di vendergli il Corriere. [18] E qualcuno insinua pure che sia questa la causa dell’animosità di Prodi. [19]
Bazoli è il padrone del Corriere della Sera?
Il Corriere della Sera appartiene ad Rcs Mediagroup, governata da un patto di sindacato che controlla quasi i due terzi del capitale. Ne fanno parte Mediobanca, Fiat, Banca Intesa (che ha per presidente Bazoli), Capitalia e, tra gli altri, anche la Pirelli, retta a sua volta da un patto di sindacato in cui è presente la Camfin di Tronchetti Provera (con Ras, Capitalia, Intesa, Mediobanca, Fonsai, Benetton, Moratti). Insomma: Tronchetti con una mano, Pirelli, sta dentro Rcs, con l’altra, Telecom Italia Media, possiede La7. Però attenzione a non fare l’errore di dire, come ha fatto il ministro delle Comunicazioni Gentiloni, che «Telecom ha una tv ed è azionista di Rcs». [20]
Non è così?
Azionista di Rcs è Pirelli, che ha potuto arrotondare la sua partecipazione solo dimostrando all’Agcom che non controlla Telecom Italia Media (che è di Telecom, quella sì di Pirelli). La legge, infatti, vieta la cross ownership tra quotidiani e televisioni fino al 2009: chi ha la tv non può possedere giornali. [20] Ma da qui al 2009 si possono fare pure altre ipotesi. [21]
Cioè?
Può essere che Tronchetti resti solo nella media company tanto per non smobilitare del tutto: azzerato o quasi il debito con la cessione di Tim, potrebbe aprire a terzi anche il capitale della rete fissa e così sciogliere il vincolo tra Pirelli e il «pachiderma telefonico dai piedi d’argilla», come lo chiama Oscar Giannino. A quel punto, fatta un po’ di cassa, potrebbe rilanciare Pirelli sulla via industriale, magari aggregandola a Michelin, che dopo la morte del giovane erede è priva di un socio familiare di comando. [21]