Corriere della Sera 13/09/2006, pag.25 Massimo Gaggi, 13 settembre 2006
Moto, elettrodomestici e cibi L’industria Usa scommette sui sogni dei «baby boomers». Corriere della Sera 13 settembre 2006
Moto, elettrodomestici e cibi L’industria Usa scommette sui sogni dei «baby boomers». Corriere della Sera 13 settembre 2006. New York. La Harley-Davidson, le cui moto sono divenute un’icona per le generazioni del dopoguerra (soprattutto dopo Easy Rider, film del 1969), da qualche tempo è in difficoltà: in America i figli del «baby boom» – l’era di alta natalità seguita alla fine del conflitto mondiale ed esauritasi nel ’64, quando, anche per la diffusione della pillola anticoncezionale, la dimensione della famiglia media è tornata a ridursi – continuano ad adorare questi bolidi cromati. Ma, superati i 50 anni, con qualche problema alla colonna vertebrale, alle anche e le ginocchia malferme spesso faticano a guidare una moto pesantissima e con sospensioni molto dure. Qualche giorno fa l’azienda fondata 103 anni fa a Milwaukee, sul lago Michigan, ha rotto gli indugi: visti i buoni risultati delle trasformazioni operate da alcune officine meccaniche, ha deciso di offrire ai suoi clienti anche la Harley Trike, una Harley Davidson trasformata in triciclo: meno affascinantemapiù stabile e confortevole. Quello delle moto è solo l’ultimo episodio della corsa che si è scatenata nell’industria americana alla conquista dell’ambito mercato dei «baby boomers». Un tempo gli esperti di marketing concentravano tutti i loro sforzi sui giovani: quando un consumatore superava i 50 anni diventava un obiettivo marginale delle campagne pubblicitarie. Con i f i g l i d e l «boom» demografico del dopoguerra tutto cambia: nei soli Stati Uniti i nati tra il 1946 e il ’64 sono 78 milioni e rappresentano la generazione più numerosa, più ricca e con le più lunghe aspettative di sopravvivenza della storia. Ed è una generazione che – a differenza dei padri e dei nonni, passati attraverso la Grande Depressione e i conflitti della prima parte del Ventesimo secolo – non si accontenta: ha scoperto la contestazione, ha imposto costumi permissivi, ma ha anche creato la cultura dei consumi. Sono i ragazzi che all’inizio degli anni ’60 videro in tv i primi «hula-hoop» e li chiesero ai loro genitori: in 4 mesi ne furono venduti 25 milioni. Per decenni si sono rifiutati di crescere, ora rifiutano di invecchiare; anche se gli ex «figli dei fiori» ora sono dei signori un po’ obesi col problema della calvizie e quello del mutuo che, con i tassi in rialzo, diventa ogni mese più costoso. E mentre il ruolo di questa generazione, il suo senso di leadership, il suo impatto sulla politica e la società, viene già passato al microscopio da storici e sociologi, le imprese lavorano a pancia bassa per conquistare quello che molti vedono come il consumatore ideale: tasche piene, voglia di comprare e gusti stabili. Ma non è tutto così facile: i figli del «boom» vogliono prodotti pratici ma con un tocco di fantasia: «A differenza delle altre generazioni, molto più lineari nel gestire il loro invecchiamento – spiega Matt Tornhill, presidente della società di consulenza Boomer Project – questa tenderà a vivere una vita ciclica, alternando lunghi periodi di vacanza a periodi in cui tornerà al lavoro». Il «boomer», poi, è anche un po’ suscettibile: guai a presentare un’auto, un elettrodomestico o un pezzo di arredamento – ad esempio un letto – come un prodotto «su misura» per la terza età. Le industrie stanno mettendo sul mercato automobili con gli sportelli sempre più larghi, con i numeri degli strumenti di bordo sempre più grandi e luminosi, e jeep col telaio sempre più basso, proprio per favorire l’accesso di cinquantenni e sessantenni; ma guai a dirlo esplicitamente. La Ford ha addirittura inventato una «tuta della terza età». Chi la indossa muove con più difficoltà ginocchia, gomiti, collo, mentre guanti e maschere speciali riducono il senso del tatto e rendono le immagini più sfocate: vengono consegnate ai progettisti che si mettono «nei panni» dei guidatori più anziani e cercano così di risolvere i loro problemi. L’auto è il settore in cui si concentrano gli sforzi maggiori. E’ comprensibile: l’americano medio nella sua vita cambia 13 vetture, 7 delle quali vengono acquistate dopo che ha compiuto i 50 anni. Veicoli che devono essere comodi, certo, anche se poi a fare «status» sono ancora quelli che li riportano agli anni giovanili: Ford Mustang, Mini Cooper e, tra le due ruote, la Vespa e la Triumph Bonneville. Anche i produttori di elettrodomestici stanno studiano lavatrici e lavastoviglie, più facili da riempire e svuotare mentre, in campo alimentare, la Kellogg è riuscita ad aumentare del 48% in un solo anno le vendite dei cereali della linea «Smart Start» pubblicizzandoli come ricchi di antiossidanti e proteine di soia: sostanze che vengono spesso presentate dai nutrizionisti come l’elisir per una lunghissima giovinezza. E la Procter & Gamble ha «richiamato in servizio» la supermodella 52enne Christie Brinkley – scelta come volto per la pubblicità 25 anni fa e «pensionata» nel 1996 – per cercare di imporre anche tra le signore di mezza età i cosmetici della linea «Cover Girl». L’avanguardia della generazione del «boom» quest’anno ha compiuto 60 anni: leader come George Bush e Bill Clinton sono della classe 1946, al pari di miliardari come Donald Trump e di personaggi dello spettacolo come Liza Minnelli, Cher, Sylvester Stallone, Diane Keaton. Presto questi 78 milioni di americani cominceranno ad andare in pensione: un evento che avrà dimensioni bibliche, sia come fenomeno sociale, sia per le sue conseguenze economiche. Le generazioni successive – che dovranno mantenere questi pensionati – hanno infatti ranghi molto più ridotti e si ritrovano sulle spalle il debito pubblico – notevole ovunque, elevatissimo in Italia – lasciato dai loro padri. Ma avranno problemi anche le imprese: in America, ad esempio, il 40 per cento dei dipendenti delle industrie dell’aerospazio e della difesa andranno in pensione nei prossimi cinque anni. Considerata la specializzazione necessaria in questi settori, rimpiazzarli sarà difficilissimo. Si spera, quindi, di convincerli a restare in fabbrica oltre i limiti di età. La Toyota sta adattando le sue catene di montaggio alle capacità fisiche di lavoratori che saranno sempre più anziani, mentre la Bmw ha aperto una fabbrica a Lipsia disegnata «su misura» per operai di età superiore ai 45 anni. Anche l’Ibm sta usando i suoi canali di reclutamento per assumere pensionati. I figli del «baby boom», sospettati di essere una generazione godereccia e anche un po’ parassita (non solo ha scaricato molti debiti suoi figli, ma gode anche delle eredità accumulate da padri che erano assai più parsimoniosi) sembra orientata ad adattarsi di buon grado a questa nuova realtà, almeno negli Usa. Nei sondaggi condotti in America, infatti, l’82 per cento degli intervistati dichiara di voler continuare a lavorare anche oltre l’età di pensionamento. A volte per bisogno (le pensioni pubbliche americane sono meno generose delle nostre), più spesso perché, se si è in buona salute, non si ha voglia di vivere per qualche decennio senza avere un «centro di gravità», un interesse da coltivare. E’ la filosofia di «Too young to retire» (Troppo giovani per andare in pensione), il best seller pubblicato di recente da Howard e Marika Stone. E l’analisi degli analisti della Merrill Lynch: «I figli del baby boom reinventeranno lo stesso concetto di pensionamento», inaugureranno una sorta di «seconda vita». Magari facendo lavori diversi da quelli svolti nella prima, a differenza di Cher, che ha appena firmato un nuovo contratto pluriennale per cantare a Las Vegas, o di Sylvester Stallone che si prepara all’ennesima interpretazione di un Rocky Balboa sempre più improbabile: il vecchio pugile che sconfigge un avversario che ha un terzo dei suoi anni. Poi sarà la volta di «Rambo 6», il più incredibile di tutti. Chi può dubitarne? Massimo Gaggi