Corriere della Sera 13/09/2006, pag.38 Antonio Ferrari, 13 settembre 2006
Amicizie pericolose. Corriere della Sera 13 settembre 2006. forse la prima volta, in quasi un quarto di secolo, che la Siria ammette solennemente che è stato compiuto un «attacco terroristico» sul suo territorio, riconoscendo quindi che vi sono estremisti islamici che possono sfuggire al controllo dei suoi apparati di sicurezza; e che ieri hanno cercato di far saltare l’ambasciata americana, il compound più sorvegliato di Damasco dopo il palazzo-ufficio del presidente Bashar el Assad, che domina la capitale dalla collina
Amicizie pericolose. Corriere della Sera 13 settembre 2006. forse la prima volta, in quasi un quarto di secolo, che la Siria ammette solennemente che è stato compiuto un «attacco terroristico» sul suo territorio, riconoscendo quindi che vi sono estremisti islamici che possono sfuggire al controllo dei suoi apparati di sicurezza; e che ieri hanno cercato di far saltare l’ambasciata americana, il compound più sorvegliato di Damasco dopo il palazzo-ufficio del presidente Bashar el Assad, che domina la capitale dalla collina. Ammissione importante, perché a farla è uno degli uomini chiave del regime, il ministro dell’Interno Bassam Abdel Majid. Ammissione grave, perché rivela l’esistenza di una rete eversiva, che alcuni ritengono collegata ad Al Qaeda, con l’obiettivo di rovesciare l’ultimo regime laico della regione, dopo la defenestrazione di quello iracheno. Che i terroristi-suicidi volessero compiere un attentato spettacolare, il giorno dopo il quinto anniversario dell’11 settembre, è documentato dalle modalità dell’attacco. L’immediata reazione dei poliziotti siriani ha impedito l’esplosione. Morti tre attentatori e un agente, e ora Damasco incassa, per la prima volta dopo un nugolo d’anni, la «gratitudine » della Casa Bianca, e quella, ancor più esplicita, del segretario di Stato Condoleezza Rice, che riconosce alla Siria di aver «protetto il personale degli Stati Uniti». Se l’auto degli attentatori non fosse stata crivellata di colpi, vi sarebbe stata una strage. Non è la prima volta che gli estremisti attaccano istituzioni e rappresentanze diplomatiche straniere, ma il regine aveva sempre trovato il modo di sminuirne la portata. Ieri non era possibile, perché l’ambasciata americana si trova in pieno centro, accanto alle missioni italiana e cinese. L’inevitabile pubblicità all’attacco terroristico serve a dimostrare che anche Damasco, accusata di fomentare o proteggere il terrorismo, ne è a sua volta vittima. anche un brusco segnale inviato a coloro i quali ritengono che il vertice alauita (la minoranza musulmana di cui Bashar è il massimo esponente) debba essere scalzato e sostituito dai rappresentanti della maggioranza sunnita. Calcolo miope, e pericolo paventato soprattutto da Israele che teme, se cadesse il regime, di ritrovarsi alle frontiere settentrionali i Fratelli musulmani e una situazione di caos di stampo iracheno. Prevedibile, infatti, una catena di vendette, perché fu proprio il padre di Bashar, Hafez el Assad, a ordinare la brutale repressione degli islamici, nel 1982, nella città di Hama (circa 20.000 morti). logico chiedersi perché la Siria, che teme il contagio degli estremisti, offra ospitalità proprio ai leader di Hezbollah, di Hamas, del Jihad islamico, e dei gruppi palestinesi oltranzisti che non accettano la linea del presidente dell’Anp Mahmoud Abbas. Su questo punto il regime è intransigente, e considera gli ospiti come esponenti di una legittima resistenza per ottenere la liberazione dei territori occupati da Israele. Per questa ragione, in odio a Saddam Hussein, che pur essendo al vertice di un partito fratello, il Baath, è stato sempre considerato un nemico, Damasco ha stretto – sin dai tempi della guerra fra Teheran e Bagdad – una solida alleanza con il regine degli ayatollah. Alleanza che si è consolidata l’estate scorsa, dopo l’attacco di Israele agli Hezbollah sciiti libanesi. Da una parte, quindi, la Siria teme il contagio dell’estremismo islamico, che ieri ha dato prova della propria vitalità e pericolosità; dall’altra coltiva amicizie e alleanze ugualmente pericolose. Che si sono intensificate nell’ultimo anno e mezzo, dopo l’assassinio dell’ex premier libanese Rafic Hariri e l’inchiesta dell’Onu, che ha raggiunto alcuni apparati istituzionali di Damasco. Messa con le spalle al muro, la Siria ha reagito sventatamente. Ora l’attacco terroristico ne mette a nudo la fragilità. Ma il regime è sufficientemente cinico da saper trasformare lo smacco dei suoi onnipresenti servizi di sicurezza in un’opportunità. La gratitudine di Washington potrebbe essere il primo passo del disgelo. Antonio Ferrari