La Repubblica 13/09/2006, pag.7 Guido Rampoldi, 13 settembre 2006
Dalla Siria alla Turchia fiammate del caos iracheno. La Repubblica 13 settembre 2006. Un servizio segreto che riesce a sapere sempre in anticipo d´ogni minuscola riunione di dissidenti non ha bisogno di sparpagliare nugoli di poliziotti davanti alle ambasciate straniere per proteggerle dal terrorismo
Dalla Siria alla Turchia fiammate del caos iracheno. La Repubblica 13 settembre 2006. Un servizio segreto che riesce a sapere sempre in anticipo d´ogni minuscola riunione di dissidenti non ha bisogno di sparpagliare nugoli di poliziotti davanti alle ambasciate straniere per proteggerle dal terrorismo. E infatti la bianca ambasciata degli Stati Uniti a Damasco aveva fama di essere una delle più sicure dell´area, malgrado la sorveglianza esterna fosse esigua, rarefatta, quasi invisibile. L´attacco che ha subito ieri può suggerire il sospetto malizioso che il regime di Bashar Assad abbia cercato l´applauso della comunità internazionale sventando nel modo più spettacolare un assalto di cui in realtà conosceva da tempo i preparativi. Ma è più verosimile che quella convulsa sparatoria nel centro della capitale, dirimpetto alla nostra ambasciata, confermi una realtà che finora abbiamo preferito ignorare: ormai neppure uno Stato di polizia occhiuto può parare quel fenomeno sempre più evidente che è la tracimazione del caos iracheno oltre le frontiere dell´Iraq. In questo la bolgia mesopotamica ricalca altre crisi mediorientali che, irrisolte, hanno progressivamente incendiato i territori limitrofi, spargendo faville che a distanza di anni tuttora bruciano: come racconta bene la storia del Libano. Per giunta la Siria confina con la più infida provincia irachena, al-Anbar, una terra sinistra che negli ultimi tre anni ha conosciuto ogni sorta d´orrore, dalle decapitazioni degli ostaggi alle ferocie di Falluja. Non si può confinare con l´inferno senza mai scottarsi. Per i marines quella provincia desertica è la più mortale tra le 16 province irachene (965 uccisi dall´inizio della guerra, quasi un terzo del totale dei caduti americani in Iraq). Lì è confluita l´intera brigata internazionale del terrorismo takfir ("anatema"), così chiamato perché considera ripugnanti eretici i musulmani sciiti, quali si considerano anche gli alawiti, la setta cui appartengono gli Assad e le più potenti consorterie siriane legate al regime. Infine Damasco dapprima ha trescato con i baathisti fuggiti in Siria dopo la caduta di Saddan; e in seguito, emendatasi, ha voltato le spalle alla guerriglia, che dunque ha motivo per nutrire rancore. Una scuola di pensiero solo in apparenza diversa riconduce l´attentato di ieri ai seguaci libanesi di Al Qaeda: ma questi ultimi sono tutti reduci della guerra in Iraq, e anzi hanno inaugurato un pendolarismo per il quale, ancora nel 2005, un giovane in cerca d´emozioni forti poteva passare tre mesi a Bagdad o a Ramadi, provare l´ebbrezza della "guerra santa" e magari riuscire ad ammazzare un soldato americano per raccontarlo poi, tornato in Libano, ad amici ammirati. Dunque che il terrorismo arrivi da questa parte o dall´altra, dovrebbe esserci molto d´iracheno nell´attacco all´ambasciata americana. E questa sarebbe una pessima notizia anche per governi come il giordano, il turco o il saudita, che hanno motivi per temere d´essere investiti dall´anarchia militare in cui sta scivolando la Mesopotamia. Con la tracimazione del caos entra in crisi anche quella che fino a ieri era la granitica convinzione della diplomazia occidentale: se riusciamo a risolvere il conflitto arabo-israeliano stabilizzeremo il Medio Oriente. Troppe le linee di frattura che ormai attraversano la regione a partire dall´Iraq, epicentro di conflitti allo stesso tempo nuovi e antichi: sciiti contro sunniti, curdi contro arabi, curdi contro turchi, iraniani contro americani, iraniani e turchi contro curdi, khomeinisti contro sciiti non khomeinisti, e via declinando etnie, lealtà nazionali o religiose, credi politici. Questa proliferazione delle organizzazioni armate e dei conflitti confonde ulteriormente la nostra rudimentale geografia, per la quale il terrorismo è uno, e nitido il confine tra il Bene e il Male. Gli effetti sono paradossali. Poche ore dopo lo sventata strage di statunitensi, il Dipartimento di Stato ha ringraziato caldamente il regime che da 27 anni iscrive nella lista dei governi accusati di sponsorizzare il terrorismo, e ne ha lodato la prontezza nel reagire all´attacco terrorista. Eppure la Siria è quella di sempre: tanto generosa verso organizzazioni armate che controlla quanto determinata contro chi le porta la sovversione in casa (un tempo i Fratelli musulmani, poi i palestinesi). Non è nuovo neppure il buon senso mostrato ieri da Condoleezza Rice, dote non proprio comune nell´amministrazione Bush. Come ieri implicitamente suggeriva il Segretario di Stato, Washington e Damasco potrebbero scoprire d´avere almeno qualche nemico in comune e motivi formidabili per temere il caos. Ma nell´amministrazione Bush quanto nell´establishment siriano non sembrano mancare i fautori del diffondersi nella regione d´una certo grado di anarchia militare, propizia ai piani più avventurosi. Inoltre né Damasco né i regimi sunniti dell´area possono dare un contributo efficace ad un causa probabilmente ormai persa come la stabilizzazione dell´Iraq. Per effetto d´una guerra civile strisciante, negli ultimi mesi i morti ammazzati e i feriti d´arma da fuoco laggiù sono aumentati del 51%. La scorsa settimana il più forte partito iracheno, lo Sciri (khomeinista e filo-iraniano), ha proposto formalmente l´unificazione delle otto province sciite, cioè la metà del Paese, in una super-regione con diritto di formare milizie proprie e stipulare contratti per lo sfruttamento di giacimenti di idrocarburi, così come previsto dalla Costituzione. A nord l´Iraq curdo di fatto è già "confederato" e indipendente. Sul suo territorio ha perfino abrogato la bandiera irachena, con il pretesto che gli ricorda troppo Saddam. E concede ampia libertà d´azione al Pkk, l´organizzazione nazional-comunista di Ocalan che da mesi infiltra commandos in Turchia ed ammazza militari turchi. Per molto meno Israele invase il Libano. Trattenuta dagli americani, Ankara finora ha resistito alla tentazione in cui è caduta Israele. Ma nessuno può prevedere il futuro d´un´area in così tumultuosa trasformazione. Guido Rampoldi