La Stampa 08/09/2006, pag.3 Fabio Martini, 8 settembre 2006
Una vacca da mungere a destra e a sinistra. La Stampa 8 settembre 2006. Roma. Renato Riverso e Fausto Cereti, Giuseppe Bonomi e Roberto Schisano, Domenico Cempella e Francesco Mengozzi, Marco Zanichelli e Giancarlo Cimoli
Una vacca da mungere a destra e a sinistra. La Stampa 8 settembre 2006. Roma. Renato Riverso e Fausto Cereti, Giuseppe Bonomi e Roberto Schisano, Domenico Cempella e Francesco Mengozzi, Marco Zanichelli e Giancarlo Cimoli. Difficile ricordare nomi e cognomi dei manager che negli ultimi 10 anni si sono succeduti alla cloche di comando dell’Alitalia su indicazione dei partiti. Ma mentre nel resto d’Europa con l’aiuto della politica, alcune compagnie di bandiera come Iberia e Air Lingus si sono salvate o, fallendo, si sono risollevate come Sabena e Swissair, lo sciopero di ieri ha riaccesso i riflettori su un’azienda come l’Alitalia che più vola e più perde. E che oramai «vale» poco, se si pensa che il valore in Borsa del 6 settembre (1 miliardo e 310 euro) era poco superiore all’ultima ricapitalizzazione di 1 miliardo di euro, di cui metà del Tesoro. E se alla crisi dell’Alitalia, uno dei simboli dell’identità nazionale, hanno «collaborato» in tanti, una bella spinta l’hanno data governi e politici degli ultimi 15 anni, avallando il sistema dei conti a pie’ di lista. In un modo o nell’altro tutti ci hanno messo le mani. Da Romano Prodi (che da presidente dell’Iri mandò via Umberto Nordio soprattutto per incompatibilità caratteriale), a Silvio Berlusconi sotto il cui governo è diventato presidente dell’Alitalia (dal 2003 al 2004) l’ex parlamentare leghista Giuseppe Bonomi, segnalatosi (tra le altre cose) per la sponsorizzazione del mondiale di equitazione di Assago, al quale volle partecipare (certo ad un concorso di contorno) anche lui, presidente della Compagnia di bandiera. A dorso del suo baio. Uno dei pochi battitori liberi del centrodestra come l’Udc Bruno Tabacci, già presidente della Commisssione Attività produttive della Camera, dice: «L’Alitalia è uno dei simboli del bipolarismo all’italiana per cui all’insegna dell’immobilismo più totale, la destra e la sinistra, i sindacati e i manager non tirano via le mani, fino a quando c’è una vaccarella da mungere. In una compagnia che ha avuto sei amministratori delegati in undici anni guadagnano tutti tranne l’Alitalia: guadagnano quelli che fanno il catering; quelli che fanno gli aeroporti; quelli che mettono la benzina, quelli del sindacato che hanno gente con lo stipendio e non lavora; i piloti che volano meno dei concorrenti». E la condanna della politica di tutti i partiti verso l’Alitalia fa dire ad un altro personaggio fuori dalle cordate come il radicale Daniele Capezzone, successore di Tabacci alle Attività produttive: «Destra e sinistra? A me pare una storia compatta, è difficile individuare delle fasi. C’è stata una assouta intercambiabilità. Proprio come alla Rai. E di una compagnia di bandiera così non sento alcun bisogno, perché l’unico interesse nazionale che conta è quello dell’utente». E Savino Pezzotta, che da segretario della Cisl si è battuto per salvare l’Alitalia, ora dice: «Se è consentito uno spunto autocritico: oggi non sono sicuro che rifarei tutto ciò che ho fatto». Ma a mandar giù l’Alitalia non è stata soltanto l’allegra gestione dei manager inviati dai politici. Negli ultimi anni, quasi a prescindere degli interessi dell’Alitalia, sono nati due «movimenti politici»: il «partito di Fiumicino», capitanato dall’ex presidente della Regione Lazio Francesco Storace e dal sindaco di Roma Walter Veltroni che vogliono difendere e allargare il traffico nell’aeroporto di Roma; il «partito di Malpensa» (presidente della Lombardia Roberto Formigoni, Lega, sindaco di Milano Letizia Moratti) che invece punta a valorizzare l’hub dello scalo milanese. E proprio per dare una svolta ad una storia di lottizzazioni, dopo aver ridato la fiducia a tempo al presidente-amministratore delegato Cimoli, a palazzo Chigi si sta pensando ad uno sdoppiamento e per l’incarico operativo di Ad il nome più quotato è quello di un giovane manager senza etichettatura politica, Ernesto Albanese, direttore generale di Coni Servizi. Fabio Martini